Dal terrazzo tra le nuvole, i piloti guardano la Ferrari

Sport & Motori

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«Son tutti lì, accanto a lei/ Tutti i suoi figli sono lì,/ con quello che lei maledì, tornato a braccia aperte a lei…..»

Ricordano un po’ questi bei versi di Aznavour i piloti Ferrari, di un tempo, affacciati dal terrazzo fra le nuvole. Seguono la Ferrari che non va. Da Ascari a Fangio passando per Villoresi e Farina,  e per i più recenti Surtees e Bandini, sino a Lauda,  Taruffi e Collins, sono tutti lì attoniti, basiti, stupiti e increduli, ma serafici. La “loro” macchina non va? Proprio così non va. E’ tutta gente che ha corso anche per altre squadre, sotto cento bandiere, ma colui che ha pilotato l’auto del cavallino rampante per una volta rimane ferrarista tutta la vita. Trattasi di un marchio, un tatuaggio, una voglia; molto di più, un “sacramento”: è come dire “sacerdos in aeternum”.

“Ai miei tempi…”, “Quando guidavo io…”, “Ricordo che allora le soste (ma quale pit stops: soste) si cambiavano gomme e si aggiungeva benzina, pericolosissimo e senza tuta ignifuga, quindi……”

Di quello che vuoi ma le cose stanno come stanno, al pari della canzone napoletana Tammuriata Nera: “Séh! gira e vota, séh../ Séh! vota e gira, séh…/ Ca tu ‘o chiamme Ciccio o ‘Ntuono,/ Ca tu ‘o chiamme Peppe o Ciro,/ Chillo, o fatto, è niro, niro,/ niro, niro comm’a che!…”

    Ma la fila degli ex piloti non bastano, in un altro reparto del cielo, zona auto e motori ci stanno le Ferrari (le autovetture) di una volta, le Rosse di un tempo. Quando il rosso non distingueva una scuderia ma una Nazione. A noi era toccato questo colore e, pertanto che fossero state Ferrari o Lancia, oppure Alfa o Bugatti erano tutte rosse. Infatti, è sufficiente fare una visita su Wikipedia per apprendere che “i colori nazionali nelle corse automobilistiche erano i colori assegnati alle automobili da competizione che definiscono la nazionalità della squadra motoristica oppure la nazionalità del pilota in competizioni tipo la Formula 1, le gare delle vetture sport, delle Sport Prototipo, e le competizioni automobilistiche turismo. Furono diffusamente utilizzati dai primi anni del XX secolo alla fine degli anni sessanta del XX secolo, quando vennero parzialmente abbandonati con l’introduzione delle livree ispirate ai colori degli sponsor. In genere i colori nazionali nelle corse automobilistiche sono differenti dai colori delle bandiere nazionali e sono l’equivalente nell’automobilismo dei colori della maglia per gli sport di squadra. Ad esempio l’Italia ha come colori nazionali il tricolore rosso, bianco e verde, come colore nell’automobilismo il rosso corsa e come colore negli sport di squadra l’azzurro, mentre i Paesi Bassi hanno l’arancio come colore nell’automobilismo e negli sport di squadra, e il tricolore rosso, bianco e blu come colori nazionali. La prima assegnazione di colori nazionali nelle corse automobilistiche avvenne durante la Gordon Bennett Automobile Cup dell’anno 1900, durante la quale vennero assegnati colori precisi legati alla nazionalità delle squadre partecipanti. Dopo vari cambiamenti, i colori divennero definitivi tra gli anni venti e gli anni trenta del XX secolo con l’assegnazione del blu (Blu di Francia) alle squadre francesi, il rosso (Rosso corsa) alle squadre italiane, il bianco alle squadre tedesche, il verde (British racing green) alle squadre britanniche, il biancoblù — con racing stripes — alle squadre statunitensi e il biancorosso alle squadre giapponesi.”

Frattanto che divaghiamo, cinque “cavalli di razza” della scuderia di Maranello, parlottano in disparte, mentre sotto di loro si inanellano i tragici giri del Gran Premio del Belgio. Sono, Villoresi, Farina, Taruffi, Ascari e Hawthorn, tutti piloti che sono stati al volante della mitica “Ferrari 500 F2” negli anni tra il 1951 al 1953, dove il “500” indicava la potenza in cm³ di ogni cilindro che in totale erano quattro. Auto da corsa  belle come quella il Cavallino Rampante ne sfornerà tante altre nella sua vita. Così come tante altre volte la scuderia, in passato, è stata al centro di deludenti stagioni. Non c’è da drammatizzare, o meglio non ci sarebbe, se attorno a questo sport (non è il solo per carità) non girassero tanti di quei soldi da fare girare la testa a tutti. Macchine costosissime, piloti pagati una fortuna in autovetture più sicure di quelle in cui correvano colleghi pagati molto, ma molto meno rischiando molto, ma molto di più. Senza polemiche, per carità. Lo sport va vissuto con animo sportivo, caso contrario è un continuo mal di stomaco. Deve divertire non affliggere. Il tifoso è destinato ad un perenne stare male. Va preso per quello che è. Si vince e si perde in tutto, in ogni ambito, giorno dopo giorno, è la legge della vita. Per quale ragione dovrebbe essere diverso ove si gareggia?

Sul terrazzo tra le nubi, gli ex piloti lo riconoscono, affermano e suggeriscono. Sono dispiaciuti, financo addolorati ma non affranti. “Storta va, deritta veni, sempre storta non po’ gghì”. Lo dice anche il Figlio del Capo che scorazza tra cirri e cumulonembi, indisciplinato, mai punito, su una autovettura targata NA. Napoli? No, Nazaret.

Giuseppe Rinaldi

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