Dichiarazione dei diritti umani e latte andato a male

Arte, Cultura & Società

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Ho un caratteraccio, non riesco a uniformarmi e a lasciarmi plasmare di volta in volta dalle situazioni, dalle mode del tempo – tantomeno dai media – o a cavalcare l’onda. Ora è il momento del dramma delle donne afghane, già, le afghane perché lo hanno detto in TV ed è il momento di crederci. Eppure queste donne stanno subendo l’inferno da decenni (secoli fa non eravamo messe bene neanche in occidente) senza che nessuno abbia mai alzato un dito – o pollice per graziarle – per migliorare le loro condizioni di non-vita o quelle dei dieci figli pro capite.

“Ciò che Caino non sa” non è un nome scelto a caso per un piccolo movimento poetico-letterario nato a inizio 2013 con l’intento di informare e sensibilizzare su fenomeni riguardanti non solo gli abusi e i soprusi verso l’universo femminile di casa nostra ma con l’occhio rivolto a culture in cui la donna è ai margini della vita sociale, priva di qualsiasi forma di considerazione. 

In questi volumi abbiamo abbondantemente parlato, disquisito e informato anche riguardo alle sofferenze e le inaudite violenze in atto nei paesi asiatici (tra cui l’Afghanistan), le terre d’ Africa e varie Nazioni in cui il sottosviluppo socio-culturale penalizza fortemente la donna considerata solo un’appendice dell’uomo, atta a soddisfare istinti primordiali e prolificare selvaggiamente, senza godere dei diritti più elementari e naturali come individuo. (Non è una forma di vendita pubblicitaria perché questi volumi, circa pp. 400 cadauno, andati in ristampa più volte – pubblicati nel 2014/’15/’16 – non sono più disponibili).  Oltre duecento Autori hanno creduto in tale progetto e gli hanno dato voce per tenere alta la soglia di attenzione e scuotere dal torpore o dall’indifferenza ma noi non siamo personaggi televisivi e la scossa è stata indolore.

Pagine intere dedicate alla nascita del burqa – introdotto nel 1890, vietato nel 1961 e poi reintrodotto dal regime teocratico talebano – del chador o niqab. Nulla a che vedere con il Corano, in cui non vi è traccia di tale abbigliamento, ma frutto di menti deviate atte a relegare la donna nell’antro buio della sottomissione, ingabbiandola fisicamente e mentalmente (non mi vedi/non esisto). Tanti gli articoli di denuncia, tante le poesie degli Autori, sincere, genuine, sgorgate da una sofferenza condivisa intimamente a livello emotivo.

 

E poi le mutilazioni genitali, pratiche orribili quali l’infibulazione per dire che questo atto di profonda inciviltà, in seguito alle migrazioni di massa, viene praticato tuttora anche nel mondo occidentale, al riparo da sguardi indiscreti tra le mura domestiche, senza anestesia e con arnesi rudimentali, tra le urla e il terrore delle bambine, tra l’abominevole omertà familiare e il degrado di un background culturale difficile da estirpare. Una mutilazione del corpo e nell’anima – inflitta da donna a donna – non conosceranno mai il piacere ma solo il dolore nell’amplesso e una doppia sofferenza ad ogni parto “con scucitura e ricucitura.” 

 

E ancora le spose bambine (Kenya, India, Pakistan…) e che non si creda sia una leggenda metropolitana o sia un gioco il matrimonio precoce a otto/nove anni con le giovani morti in seguito a ciò che è un vero e proprio stupro o, se va bene, con le gravidanze in tenera età. A quindici anni sono madri di più figli. E che non si creda ancora che la nascita di una femmina in tali paesi sia considerata una disgrazia anzi, è una grande fortuna, festeggiata nel villaggio, perché potrà essere venduta in cambio di danaro/cammelli/beni materiali e porterà una maggiore agiatezza alla famiglia. Viva le donne!

 

E le lapidazioni. No, non parliamo del Nuovo Testamento –  E Gesù le disse: “Neppure io ti condanno; va’ e non peccare più” (Giovanni 8:7-11) –  ma di storia odierna in cui la violenza raggiunge vertici di una crudeltà inaudita, quasi sempre verso la donna. E che non si creda debba essere per forza un’adultera, basta una parola inadeguata, un gesto, l’espressione di un pensiero, la richiesta di un bisogno o di un diritto per essere condannata senza alcun processo e infossata lasciando fuori solo la testa. Il resto lo lascio immaginare. Su YouTube esiste un video “Ciabattine bianche”, non sono mai riuscita a vederlo fino in fondo, non è possibile, ma ho dedicato dei versi alla bambina che prima di essere infossata, inconsapevole del destino che l’attendeva, si è sfilata le ciabattine e le ha allineate ordinatamente accanto alla fossa, nella certezza di doverle calzare nuovamente. “Se questo è un uomo!”

E l’acidificazione (Bangladesh, Pakistan, Nepal, Afghanistan, Nigeria…) pratica di uso quotidiano per punire le donne e deturparle nel volto ma che spesso porta anche alla morte se l’acido penetra nelle vie respiratorie, corrodendole. Se sono fortunate a sopravvivere a un dolore indicibile resteranno sfregiate a vita e nessuna parte delle zone colpite (naso, occhi, bocca) risponderà più alle abituali funzioni. Alcune si sottopongono a una lunga sequela di operazioni chirurgiche con risultati appena accettabili. Anche in Italia, a rischio emulazione, abbiamo avuto dei casi tra cui quello dell’avvocatessa Lucia Annibali e, di contro, un caso di acidificazione da parte di una donna Valentina Levato ai danni di un uomo.

Potrei continuare a oltranza ma tanto basta per comprendere che la DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI UMANI – firmata tra l’altro anche dall’Afghanistan e dal Pakistan –  non è altro che inchiostro, imbrattato da lacrime di sangue e latte femminile andato a male.

E questa non è leggenda metropolitana ma vergognosa e inaccettabile realtà.

Ma non statemi a sentire, io non ho la TV, ho la cattiva abitudine di leggere e a volte scribacchiare tra un caffè amaro e un dolcificante in versi. Difficile da mandare giù.

Maria Teresa Infante

https://mariateresainfante.com/

Redazione Corriere Nazionale

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