Difesa delle donne? Intervista a Marco Monzani

Arte, Cultura & Società

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“Su Instagram si scoprono sempre cose nuove: io oggi ho scoperto che in una foto in cui mi vedevano le tette coperte adesco adulti.

Cosa fai nella vita? Adesco adulti.

C’è Chiara Ferragni che è imprenditrice digitale e io che sono adescatrice digitale. Mi avete scoperta, con una foto con le tette coperte”.

Queste le parole di Giorgia Soleri dopo essere stata censurata su Instagram per aver postato una foto in topless mentre era al mare.

Sebbene avesse coperto i capezzoli con delle emoticon, l’algoritmo di Instagram ha bloccato il contenuto poiché considerato sessualmente esplicito.

Stando alla segnalazione arrivatale, avrebbe “violato le linee guida in materia di adescamento d’adulti”.

Segnalazione che indigna la Soleri che, di conseguenza, decide di condividere quanto successo.

Alla fine ha postato un nuovo scatto in topless, sempre con capezzolo “auto-censurato”, questa volta lasciando in vista anche i peli sotto le ascelle e le sopracciglia non depilate; altra battaglia fortemente voluta e difesa dal femminismo politicamente corretto.

Il tutto accompagnato dal motto di “Instagram sono capricorno possiamo andare avanti all’infinito”, la Soleri ha portato avanti con orgoglio la sua piccola rivoluzione.

Ma in cosa consiste questa rivoluzione?

Non è altro che l’ennesima battaglia femminista, tecnicamente dell’attuale femminismo, contro il doppio standard sessista che permette agli uomini di mostrare i capezzoli ma lo preclude alle donne.

Rivoluzione condotta da influencer e dalle paladine del femminismo e della body positivity .

Da Aurora Ramazzotti a Giorgia Soleri, in tante hanno abbracciato la campagna “Free the nipples”, letteralmente “Libera i capezzoli”, un movimento contro la censura del capezzolo femminile e l’abbattimento di queste disuguaglianze di genere.

Una lotta che ha portato celebrità italiane e internazionali a postare le loro foto in topless sfidando la censura.

Quesiti sulle attuali lotte femministe

Ma è davvero così che si raggiunge la parità di genere?

Sono realmente queste le battaglie in difesa delle donne? O forse lo erano quelle condotte dalle suffragette o dalle femministe contro il reato d’adulterio, il delitto d’onore, o per la parità anziché per lo scambio di genere?

Uno scambio ,o mera confusione, che porta l’universo in rosa a essere più mascolino cancellando così la sua femminilità.

Per questo motivo ci si pone un’ulteriore domanda: parità di genere o mero scambio di ruoli?

Il criminologo Marco Monzani, direttore del Centro Universitario di Studi e Ricerche in Scienze Criminologiche e Vittimologia, risponderà ai presenti quesiti per la rubrica “La discriminazione (S)corretta” .

“Credo che sia proprio la domanda corretta “Ma è davvero così che…?”;  ecco quel “così” sta a significare la questione del “modo”, vale a dire della modalità con la quale si impostano certe battaglie.

Perché, al di là degli aspetti di contenuto, ovviamente centrali, assumono una grande rilevanza anche le modalità con le quali queste battaglie vengono combattute, perché a volte modalità non corrette non rendono giustizia del valore della battaglia, quando non si trasformano in veri e propri boomerang per la battaglia stessa.

Tutti noi abbiamo ben presenti le manifestazioni organizzate, si dice, a difesa delle differenze di genere (o per gli abbattimenti delle differenze di genere), affinché dette differenze vengano riconosciute e tutelate (o abbattute); tutti noi, però, abbiamo anche presenti le modalità con le quali vengono organizzate queste manifestazioni: modalità, a volte, particolarmente “forti”, “clamorose” (appunto nel tentativo di provocare clamore), che potrebbero venire percepite come provocatorie (nel senso negativo del termine) nonostante questo non sia il loro reale intento; modalità che, a volte, rischiano di prendere il posto, di mettere in ombra, i contenuti, che dovrebbero essere, invece, il vero oggetto del dibattito.

Nel momento in cui ci ritroviamo a parlare della modalità con la quale è stata combattuta una battaglia, perdiamo un’occasione per parlare dei contenuti della battaglia stessa.

E a volte la sensazione potrebbe essere che una forma piuttosto clamorosa della battaglia nasconda, in realtà, una povertà di contenuti o, quantomeno, idee non chiare rispetto ad essa (ad esempio, battaglie per riconoscere le differenze di genere o per abbatterle?).

La domanda, dunque, “Ma è davvero così che…?”  risulta assolutamente centrata e centrale, anche per quanto riguarda le battaglie per il raggiungimento della parità di genere (o delle pari opportunità di genere), e soprattutto per queste.

Sono battaglie di contenuto, di grande contenuto: la lotta alle discriminazioni legate al genere, la lotta per le pari opportunità, la lotta alla violenza di genere (che io preferisco chiamare “relazionale”).

Si tratta di contenuti importanti, figli delle lotte e delle “vecchie” battaglie contro il reato dell’ adulterio, il delitto d’ onore, il movente passionale del reato, ecc.

Si tratta di contenuti importanti, che storicamente richiamano contenuti legati al “corpo” e alla “libertà di disporre del proprio corpo”, in particolare la questione dell’aborto”.

Contenuti importanti come lo è la difesa dei diritti umani che, di conseguenza, si dovrebbe trattare in modo altrettanto importante, magari armandosi di temi anziché slogan e di fatti concreti anziché di sterile vittimismo.

Rita Lazzaro

 

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