Diritto alla disconnessione: le attuali regole (dove ci sono) in Italia e in Ue

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I primi passi in Francia, le scelte di Portogallo e Belgio, il galateo irlandese. Che cosa prevedono le norme in Italia e in altri Stati europei, aspettando l’Ue.

© ROMY ARROYO FERNANDEZ / NURPHOTO / AFP
– Lavoratore in smart working

AGI – Un diritto contro le distorsioni del lavoro digitale: essere liberi di disconnettersi per evitare che vita privata e professionale si mescolino. L’idea non è nuova, ma con la pandemia ha avuto un’accelerazione. Si procede in ordine sparso: ci sono i Paesi che hanno sancito il diritto di spegnere lo smartphone, quelli che hanno vietato le mail dei superiori e quello che ha suggerito il bon ton della disconnessione. Ecco cosa prevedono le norme in Italia e in altri Stati europei, aspettando l’Ue.

Belgio, diritto alla disconnessione per la Pa

L’ultimo arrivato è il Belgio. Dal primo febbraio i dipendenti pubblici hanno il diritto di non rispondere più a mail, messaggi e telefonate fuori dal proprio orario di lavoro. A meno che non ci siano “circostanze eccezionali e impreviste che richiedano un’azione che non può attendere” il rientro (cioè il giorno successivo o il primo dopo le ferie). Chi decide di staccare non potrà essere penalizzato dai superiori. La legge coinvolge tutti i 65 mila dipendenti pubblici, ma il governo ha già affermato di volerla estendere anche al settore privato. Come ha spiegato la ministra della PA Petra De Sutter, la legge si fonda su due pilastri: da una parte l’esigenza di tutelare la salute dei lavoratori e il loro equilibrio; dall’altra la convinzione che il riposo porti più concentrazione, energie e – in definitiva – maggiore produttività.

In un quadro europeo disomogeneo, il Belgio affianca così Francia, Spagna e Italia tra i Paesi che hanno in qualche modo riconosciuto il diritto alla disconnessione.

Il diritto alla disconnessione in Italia

In Italia, il primo cenno normativo alla disconnessione è contenuto nella legge 81 del 2017, quella che disciplina il lavoro agile. Se ha il merito di badare al problema, non parla ancora di un vero e proprio diritto. Rimanda infatti ad “accordi tra le parti” per definire “tempi di riposo, nonché misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche”.

Poi sono arrivate la pandemia e l’esigenza di tutelare i lavoratori da remoto (ma non solo). Il 13 maggio 2020, il Garante della Privacy ha invocato il diritto alla disconnessione, senza il quale “si rischia di vanificare la necessaria distinzione tra spazi di vita privata e attività lavorativa, annullando così alcune tra le più antiche conquiste raggiunte per il lavoro tradizionale”.

Il decreto numero 30 del 13 marzo 2021 (convertito in legge a maggio) è il primo a parlare esplicitamente di “diritto alla disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche e dalle piattaforme informatiche”, per “per tutelare i tempi di riposo e la salute del lavoratore”. Spegnere il telefono e disattivare le notifiche “non può avere ripercussioni sul rapporto di lavoro o sui trattamenti retributivi”. Cioè: se non si risponde al capo, non sono ammesse ritorsioni personali o in busta paga. La legge tutela quindi il diritto a non rispondere, ma non vieta al superiore di chiamare o inviare messaggi.

Il riferimento più recente è il Protocollo nazionale sul lavoro in modalità agile, firmato il 7 dicembre da 26 tra organizzazione sindacali e datoriali. Anche se lo smart working si caratterizza “per l’assenza di un preciso orario di lavoro”, è possibile organizzare “fasce orarie” e individuarne una “di disconnessione”, che va garantita adottando “specifiche misure tecniche e/o organizzative”. Anche perché (particolare non secondario) non si possono percepire straordinari in modalità agile. Il diritto viene esteso alle “assenze legittime”, come malattie, permessi e ferie: “Il lavoratore può disattivare i propri dispositivi di connessione e, in caso di ricezione di comunicazioni aziendali, non è obbligato a prenderle in carico prima della prevista ripresa dell’attività”.

Francia, Spagna e Portogallo

Il primo Paese europeo a riconoscere il diritto alla disconnessione è stato la Francia, con la Loi du Travail del 2016: riguarda le imprese con più di 50 dipendenti, ma non sono previste sanzioni specifiche. I dettagli devono essere discussi durante la contrattazione aziendale. Anche la Spagna ha avuto un approccio simile, con una legge del 2020.

Lo scorso novembre si è molto parlato di una misura introdotta in Portogallo. Lisbona ha varato una legge molto concreta (come in Belgio), imboccando però la direzione opposta. La norma vieta ai superiori di inviare mail e messaggi fuori dall’orario di lavoro. Si tratta quindi di una tutela indiretta nei confronti dei lavoratori. Sembra una sottigliezza, ma non lo è. Introducendo un divieto dall’alto, il parlamento portoghese non riconosce un pieno diritto alla disconnessione di cui i lavoratori possono avvalersi.

Irlanda, il galateo della disconnessione

Sul tema sta lavorando anche l’Irlanda. Non c’è ancora una legge, ma nel 2021 il governo ha emanato un “Codice di condotta” che faccia da base per le contrattazioni e le regole aziendali. Oltre a fissare alcuni principi comuni agli altri Paesi, si sofferma su alcuni aspetti singolari. Il codice non prevede doveri solo per le imprese ma anche per i dipendenti, che devono “collaborare pienamente” per far sì che le aziende possano “registrare il tempo di lavoro, anche da remoto”. Un orientamento, questo, distante – ad esempio – dal protocollo italiano. Le linee guida si soffermano anche su una sorta di galateo della disconnessione. I messaggi fuori dall’orario di lavoro non sono vietati, ma non dovrebbero essere la norma. Dovrebbero avere “un tono proporzionato all’urgenza”, per evitare che il destinatario “interpreti erroneamente” e sia portato a intervenire quando in realtà non ce ne sarebbe bisogno. Quando si spedisce una mail fuori orario, sarebbe opportuno scrivere che “non è necessaria una risposta immediata”. Ancora meglio sarebbe programmare l’invio al giorno successivo. Da parte sua, chi si disconnette dovrebbe attivare una risposta automatica che confermi la sua assenza.

A che punto è l’Europa

Il diritto alla disconnessione procede in ordine sparso. E la frammentazione aumenta se si considera che, anche nei Paesi dove non è riconosciuto (come la Germania), le imprese si muovono in autonomia. Si attende quindi una normativa europea che permetta di uniformare lo scenario. Il Parlamento Ue, nella Risoluzione del 21 gennaio 2021, ha invitato gli Stati membri a “riconoscere il diritto alla disconnessione come fondamentale”, perché “inseparabile dai nuovi modelli di lavoro”. E ha spinto la Commissione a presentare una proposta di direttiva per “disciplinare l’uso degli strumenti digitali”, definire le “condizioni minime” per poter esercitare il proprio diritto alla disconnessione e mettere in atto “meccanismi per il trattamento delle denunce o delle violazioni”.

Dal diritto al suo esercizio

Per garantire un diritto non basta definirlo: è necessario tutelarlo. Nei fatti, può essere complicato, se non altro perché la prassi ha più zone grigie delle norme. Non è scontato, ad esempio, dire quando si è connessi. Si può essere online e fare tutt’altro, oppure silenziare le notifiche continuando a lavorare. In un modello organizzativo che dà più importanza alle lancette dell’orologio che agli obiettivi raggiunti, la conciliazione non è semplice.

Tutte le leggi sul tema aprono – com’è normale che sia – alle eccezioni in caso di urgenza. Ma chi e cosa definisce cos’è urgente? Lasciare ampia libertà d’interpretazione rischia di creare scappatoie. D’altro canto, il diritto alla disconnessione nasce proprio dall’esigenza di sfruttare i vantaggi di un’organizzazione più flessibile. Definire norme troppo rigide sarebbe quantomeno incoerente, se non controproducente. Sancire l’esistenza di un diritto, quindi, non è che l’inizio.

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