Etna

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Da Siracusa la vedi nitidamente, da Palermo visibilità permettendo, da Catania ti sovrasta e da mille luoghi . La odi quando non ti fa scappare. Parliamo della grande madre Etna, quella che nonostante il dotto parere della Treccani, per ogni siciliano è e sarà sempre di genere femminile. “ a Muntagna”.

E’ tornata a fare parlare di se in questi giorni, eruttando lava e sbuffando lapilli che hanno ricoperto, tra gli altri, i centri urbani di Catania e Giarre.

E’ incavolata, sarà la pandemia che limita gli escursionisti, sarà, pertanto, l’isolamento forzato (l’Etna è “fimmina” e come tale fa la ritrosa ma poi d’essere ammirata da vicino “ci piaci”), sarà quel che sarà, ma ha dato spettacolo di se, s’è fatta notare e i reporter hanno ricominciato a parlare di Lei; “a Muntagna”.

Più a Nord, tra i megaliti preistorici dell’altopiano dell’Argimusco (sito archeologico tra i comuni di Roccella Valdemone, Tripi e Montalbano Elicona), anche i dolmen e i menhir, hanno assistito per l’ennesima volta, nella loro millenaria vita, alla potenza del vulcano.

Se da una parte l’Etna è una grande risorsa, dall’altra reca in se i limiti dell’imprevedibilità il cui prezzo è stato pagato da progetti, idee, programmi, tutti volti a potenziare il turismo del luogo. Quello invernale compreso. In proposito è opportuno precisare, per chi non conosce la zona, che il vulcano ha due stazioni invernali di un certo prestigio. La più antica si trova sul versante sud, sopra Catania, o per essere più precisi sopra Nicolosi, nei pressi del Rifugio Sapienza e quindi della funivia che porta in cima al vulcano. La seconda è più giovane, nasce negli anni ’70 del secolo scorso ed è sopra Linguaglossa nella zona nord, in località Piano Provenzana. La sua ubicazione, rispetto la rosa dei venti, la caratterizza per un innevamento più durevole. Ma entrambi sono sempre state e sempre lo saranno alla mercé dell’Etna.

Un tempo si disputava nella zona sud la mitica “Tre giorni dell’Etna”, gara internazionale di specialità alpine, discesa, slalom e slalom speciale (il gigante non era a quel tempo previsto), era valida per la coppa del mondo. Fortemente voluta da Mimmo Signorelli, indimenticato pioniere del locale sci agonistico, non fu più posta in calendario a causa di un’edizione funestata da una caduta di lapilli che condizionò pesantemente lo svolgimento delle prove. Ciò, nonostante il prodigarsi di volontari, esercito e forze dell’ordine, che tentarono di pulire al meglio le piste.  Allora i gatti delle nevi non avevano il largo impiego di oggi. E, poi, fresare il manto nevoso o spazzarlo? La scelta non era facile.

Nella zona sud, in origine, la vocazione sportiva era più orientata in direzione dello sci da fondo, da sempre animato dal primo presidente del CAI di Linguaglossa, cav. Carmelo Greco  Ma poi, negli anni ’70, vista la popolarità dello sci alpino, si pensò seriamente a costruire una stazione atta allo scopo.            

Nacquero così gli impianti di Piano Provenzana, costituiti da tre skilift e una seggiovia.

   Queste realizzazioni, in un modo o nell’altro, hanno tutte dovuto fare i conti con l’instabilità del vulcano. Infatti, tanto per ricordare gli eventi più prossimi, nel 2001, in soli 24 giorni d’intensa eruzione il “Mongibello” non solo tenne in apprensione gli abitanti di Nicolosi, ma distrusse in vari punti la strada di comunicazione con Zafferana Etnea, rese inservibile la funivia e danneggiò seriamente il rifugio Sapienza. L’anno seguente fu la volta della zona sopra Linguaglossa. L’eruzione in questo caso durò più di 90 giorni. Al suo inizio, il 27 ottobre 2002, la lava distrusse tutto ciò che si trovava a Piano Provenzana, impianti di risalita, negozi, bar e ristoranti. Questa fu definita l’eruzione perfetta, a causa della concomitanza di diversi eventi quali colate laviche e movimenti sismici.

Ma la gente qui è tosta quanto paziente, vive la “Montagna” e ciò che essa distrugge testardamente ricostruisce.

Poi, ove tutto ciò non bastasse, a rovinare un progetto, ci si mette a volte anche l’uomo e la burocrazia. Parliamo del Villaggio Mare Neve di Linguaglossa, non distante dal più volte citato piano Provenzana e già ubicato sulla sinistra della strada che tra secolari boschi, da Linguaglossa s’inerpica verso la montagna. Oggi è un rudere.

E’ una storia lunga e triste quella del Villaggio perché offre la misura della insipienza degli uomini. Nato sul finire degli anni ’50 del secolo appena trascorso, era composto di un certo numero di bungalow decentrati rispetto a un corpo centrale utilizzato per reception, bar e ristorante. Aveva l’aspetto di un piccolo villaggio alpino, in legno, grazioso e originale, soprattutto per l’assenza da queste parti di manufatti simili. Nel giro di pochi anni ebbe vita grama, e anziché essere modernizzato, potenziato e rilanciato è stato abbandonato a se stesso, nonostante impegni politici di riesumazione progettuale.

Pensare che ci fu un tempo in cui era stata vagheggiata un’ipotesi suggestiva, quanto ardita. Cioè, pensare l’Etna e i suoi campi da sci in una prospettiva di stretta simbiosi con le spiagge del litorale non lontano.  Come dire “una sciata e poi un tuffo nello Ionio”. Gli appassionati di sci estivo, frequentatori dell’ex ghiacciaio sopra Bardonnecchia, il Someiller, ultimamente, prima della sua scomparsa, si accontentavano di poco più di un fazzoletto di neve, ebbene L’Etna se ben individuato il sito, poteva offrire molto di più. Il problema è sempre l’alea che sovrasta ogni locale realizzazione. Il Mongibello è un vulcano attivo, non dormiente.

E’ pur vero che la gente qui è paziente col monte, ha la vocazione della rondine che sin che può ricostruisce il nido sgretolato, ma prima o poi deve fare i conti col denaro ed il buon senso. Sfidare l’Etna tanto per fare, non ha significato. Ogni progetto va ponderato. Occorre prima rivolgersi alle statistiche, individuare i siti meno a rischio, studiare i corsi di lava pregressi e l’attitudine agli ingrottamenti, l’innevamento e i venti. Un grande lavoro, un crogiolo di più competenze volte a un solo fine, la tutela in termini di durabilità del bene, senza mai avere la presunzione di sfidare la “Muntagna”.

Sino a qualche anno fa, vicino ai crateri sommitali esisteva un luogo chiamato “Torre del Filosofo”. Secondo la leggenda qui si era rifugiato il  filosofo siciliano Empedocle, pensatore esimio, retore di gran fama e come tale maestro d’eloquenza. Ritenendo che l’universo fosse caratterizzato da quattro elementi, fuoco, aria, terra e acqua, al fine di studiare il primo da vicino non trovò di meglio che salire sull’Etna e dimorarvi. Tanta fu la sua curiosità e tanto il suo intento di approfondire i misteri del fuoco etneo che decise di salire sino al cratere principale e tuffarcisi dentro. Sul bordo di questo si trovò un suo sandalo.

Oggi come oggi, per studiare il vulcano, pur senza mai capirlo, s’intende, non occorre giungere a tanto. Anche perché i tempi sono cambiati: qui oggi stanno i vulcanologi, i retori si occupano di politica e i filosofi si affacciano non sui crateri ma dai teleschermi. A non cambiare è lei, immutabile nei secoli, l’Etna.

Giuseppe Rinaldi

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