Femminicidi a Torino: la ricerca del Dipartimento di Psicologia di Unito

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Pubblicata su Journal of Interpersonal Violence la prima ricerca italiana sul tema della violenza contro le donne che ha analizzato 330 casi di femminicidio avvenuti a Torino e nella Città Metropolitana.

La rivista internazionale Journal of Interpersonal Violence ha recentemente pubblicato uno studio condotto dal gruppo di ricerca, guidato dalla Prof.ssa Georgia Zara, docente del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Torino, sul tema della violenza contro le donne. Si tratta del primo lavoro di ricerca svolto in Italia in materia e uno dei pochi al mondo. Lo studio intitolato “Violence against prostitutes and non-prostitutes: an analysis of frequency, variety and severity” ha esaminato 330 casi di femminicidio avvenuti a Torino e nella Città metropolitana, tra il 1970 e il 2020, commessi da 303 uomini autori di reato.

I risultati della ricerca suggeriscono che solo una piccola parte dei femminicidi avviene in un contesto anonimo (9,2%) perché la maggior parte delle vittime dello studio sono state uccise da un uomo che conoscevano (90,8%). Nel 53,8% dei casi c’era una relazione intima tra l’assassino e la vittima e nel 36,9% dei casi il femminicida era un conoscente. Secondo la ricerca inoltre, il tipo e l’intensità della relazione sembrano aver influenzato il modo in cui la violenza è avvenuta.

Nei casi in cui le vittime e gli autori avevano una relazione intima, il rischio di overkill, cioè di un uso eccessivo di violenza che va oltre quello necessario per causare la morte, era quattro volte più alto (46,1%) rispetto a quando la violenza avveniva contro vittime sconosciute (16,7%). In particolare, l’overkill sembrava verificarsi più frequentemente quando la relazione tra vittima e autore era disfunzionale ed emotivamente tesa (nel 53,9% dei casi). Anche per le vittime prostitute, il rischio di overkill era quasi quadruplo per coloro che conoscevano i loro perpetratori (49,5%), rispetto a quando non lo conoscevano.

Inoltre, confrontando le prostitute con qualsiasi vittima sconosciuta, il rischio di essere uccise in overkilling era quasi cinque volte più alto per le prime, suggerendo che le prostitute sono comunque sempre più a rischio di essere uccise con eccessiva violenza ed efferatezza: una combinazione di rabbia esternalizzata e distruttività mirata. Questo sembra anche essere suggerito dal fatto che le prostitute avevano più probabilità di essere vittime di omicidi sessuali, mutilazioni post-mortem e di essere uccise da uomini coinvolti in una persistente carriera criminale.

Il campione della ricerca era composto da 330 vittime di femminicidio e includeva donne prostitute e donne non prostitute con età media di 44,31 anni. L’83,0% delle vittime erano italiane, mentre il 17% erano straniere. Gli autori di femminicidio sono 303 con un’età media di 42,88 anni: 288 di loro (95%) hanno ucciso una sola vittima, mentre 15 (il 5%) hanno ucciso almeno due vittime in episodi distinti. Nel complesso, il 26,4% degli autori di femminicidio aveva precedenti penali ufficiali. I dati sono stati raccolti all’Istituto di Medicina Legale e all’Archivio dell’Obitorio di Torino, resi anonimi, non identificabili e codificati numericamente a fini statistici.

I risultati di questo studio evidenziano come le donne vittime di violenza non siano un gruppo omogeneo, anche se alcuni dei correlati psicosociali sono i medesimi, e danno rilevanza alle caratteristiche che sottendono il tipo, l’intensità e la natura della relazione tra prostitute e non prostitute e i loro aggressori. Queste variabili, secondo la ricerca, sono ciò che rende la violenza contro le donne un problema prevenibile.

È guardando non solo al tipo della relazione, ma soprattutto all’intensità (intima/affettiva versus professionale versus superficiale) e alla qualità della stessa (disfunzionale o patologica) che un’accurata valutazione del rischio differenziale può essere pianificata, e misure di intervento informative e preventive possono essere realizzate.

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