Femminicidio: impegno Regioni per centri antiviolenza e case rifugio

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Presentato e illustrato in audizione al Senato un documento della Conferenza delle Regioni

 ROMA –  Si è tenuta il 19 settembre in Senato un’audizione di una delegazione della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome presso la Commissione d’inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere. Nel corso dell’incontro è stata illustrata e lasciata agli atti la posizione della Conferenza delle Regioni nella quale, fra l’altro sono sintetizzati i molti passi in avanti compiuti dal varo della legge 119 del 2013.

Nel complesso, al 30 settembre 2016, risultavano presenti nei territori regionali 272 Centri antiviolenza e 186 Case rifugio. A questo proposito si è osservato che, all’ammontare delle risorse erogate dal Dpcm 2014 per il biennio 2013-2014 corrispondenti a circa 16 milioni di euro, si sono affiancati circa 27 milioni di risorse provenienti dai bilanci regionali; e a quelle del Dpcm 2016 per il biennio 2015-2016, oltre 18 milioni di euro, si sono affiancati circa 9,4 milioni di risorse provenienti dai bilanci regionali, laddove alcune Regioni hanno immesso nel sistema anche fondi europei. In questi ultimi mesi – è stato spiegato nel corso dell’audizione – si sta lavorando proficuamente con il dipartimento della pari opportunità per costruire una indispensabile base dati comune, si stanno individuando strumenti conoscitivi e metodologici, utili ad armonizzare le attività di raccolta.

Nel complesso si è passati da una situazione in cui ciascun territorio regionale era organizzato in maniera eterogenea (con servizi sostenuti per la maggior parte da organismi del privato sociale) ad uno scenario diverso. Con il varo del Decreto del 2014 stati fissati i requisiti minimi dei centri anti violenza (Cav) e delle case rifugio (Cr) e con l’intesa Stato-Regioni-enti locali del 2015 il Piano straordinario contro la violenza sessuale e di genere si è sviluppato sul territorio un sistema regionale di accoglienza e protezione della donna, vittima di violenza, che ha privilegiato un’organizzazione a rete degli interventi e delle strutture. Nella governance regionale sono coinvolti, nei vari livelli di programmazione e di attuazione degli interventi integrati e multidisciplinari: il sistema socio sanitario, i Comuni, le Istituzioni scolastiche e le Università, le Forze dell’ordine, le Prefetture, le Associazioni e gli Organismi del privato sociale, l’associazionismo femminile e/o di volontariato o fondazioni, gli enti religiosi, le organizzazioni sindacali, le aziende consortili per la gestione dei servizi comunali, la consigliera di parità, gli ordini professionali (es. avvocati e medici) e, in alcuni contesti regionali anche i Consolati, per lo specifico riferimento alle donne di nazionalità non italiana. Le risorse sia statali che regionali destinate ai Centri anti violenza e alle Case rifugio – è stato spiegato durante l’audizione – sono state erogate esclusivamente a quelle strutture riconosciute dalle regioni o iscritte in appositi registri o albi regionali.

Nelle “conclusioni” del documento della Conferenza delle Regioni si riportano alcuni caposaldi dell’azione che Stato e Regioni dovranno portare avanti nei prossimi mesi. Maggiore integrazione delle politiche di contrasto alla violenza di genere e di protezione delle donne vittime di violenza con le politiche sociali, socio-sanitarie e dell’educazione. Ulteriore sviluppo dell’organizzazione a reti territoriali per armonizzare azioni e interventi. Valorizzazione dei modelli di governancedifferenziati adottati dalle Regioni. Esigenza di far fronte all’eterogeneità dei contesti socio culturali dei territori riconducendo gradualmente a regole comuni l’esistente, soprattutto perché composto per la maggior parte da organismi non pubblici. Necessità di considerare che la rete di sostegno e protezione del sistema regionale di contrasto alla violenza di genere è sostenuta, per la maggior parte, dai volontari, unitamente ai fondi provenienti dai privati, dai Comuni, dalle Regioni e solo recentemente dai fondi statali. Dare maggiore concretezza al principio di leale collaborazione: dal livello statale a quello regionale e viceversa. Attenzione alle azioni sui territori regionali, evitando duplicazioni di interventi. Infine – nel loro documento – le Regioni propongono anche una modifica della normativa vigente con l’obiettivo di evitare che siano parcellizzati la programmazione, gli interventi e le relative risorse.

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