Finalmente abolita la censura cinematografica in Italia ma dilaga la pornografia senza controlli sul web

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La notizia è passata un pò in sordina probabilmente a causa del gravissimo stato di crisi in cui versa da oltre un anno il settore cinematografico; le sale cinematografiche chiuse hanno, com’è oramai risaputo,  messo in seria difficoltà produttori, registi, sceneggiatori, attori ed esercenti che si sono trovati nell’impossibilità, sul piano tecnico, organizzativo  ed economico, di realizzare nuove opere cinematografiche.

Il provvedimento adottato dal Ministro della Cultura Dario Franceschini va accolto di certo con soddisfazione in quanto, dopo anni di polemiche e di critiche molto dure, supera finalmente quel sistema di controlli e interventi che consentiva ancora allo Stato, anacronisticamente, di intervenire sulla libertà e sulla creatività degli artisti. La censura cinematografica è stata un grosso limite per molte delle maestranze che si sono occupati di cinema; ciononostante c’è ancora qualcuno che urla allo scandalo dopo avere visto -giusto per citare un esempio- il bacio gay del Leonardo televisivo; ricordiamo un altro esempio importante, che nel 1998 riguardò il film “Totò che visse due volte”, la critica si spaccò da subito in due fazioni: gli inorriditi e gli entusiasti, al via censure, divieti e filippiche d’ogni forma.

E come dimenticare “L’ultimo Tango a Parigi” di Bernardo Bertolucci (1976) per il quale il regista fece persino un appello all’allora presidente della Repubblica Giovanni Leone, con la concessione di salvare tre copie della pellicola (in custodia alla Cineteca nazionale come «corpo del reato»). Anche la filmografia di Pier Paolo Pasolini è stata attraversata da denunce, boicottaggi, scandali di vario tipo, come dimenticare “Salò”, film che venne sequestrato dalla magistratura dopo appena tre giorni di programmazione in quanto lesivo del comune senso del pudore, e solo nel 1991 gli venne riconosciuta piena dignità artistica.

L’elenco di film censurati è veramente interminabile oltre ai citati ricordiamo “Gola profonda” di Gerad Damiano, “Morituris” (2012) di Raffaele Picchio, “Colpo di Stato” di Luciani Salce, “Arancia Meccanica” di Stanley Kubrick, “Il Leone del deserto” di Moustapha Akkad, censurato dal Ministro Andreotti per una cattiva rappresentazione del colonialismo italiano in Libia, “Il grande dittatore” di Chalie Chaplin (1940),  e tanti, tanti altri. Il decreto firmato dal Ministro Franceschini, ai sensi dell’attuale Legge sul Cinema, introduce il sistema di classificazione e supera definitivamente la possibilità di censurare le opere cinematografiche: non è più previsto il divieto assoluto di uscita in sala né di uscita condizionata a tagli o modifiche. 

Va opportunamente precisato che questa nuova disposizione varrà soltanto per i film in uscita nelle sale cinematografiche, perché per quanto riguarda la visione dei film attraverso le sempre più diffuse piattaforme non rimane altro che il sistema del “parental control”, modalità rimessa alla famiglia con la responsabilità di vigilare sulla visione dei contenuti. Il ministro Franceschini plaude all’ abolizione della censura per i film cinematografici, ma lo stesso Ministro sembra ignorare la pornografia che dilaga sul web ed è facilmente accessibile ai minori, mentre l’Agcom a sua volta e in modo poco responsabile tace rispetto all’operato arbitrario di piattaforme come YouTube, Facebook, Google. Analizzandolo nel dettaglio va detto che in concreto il decreto non cambia di molto la situazione, e l’annuncio roboante è degno soltanto di una comunicazione retorica ed autopromozionale. Di fatto, il meccanismo censorio era stato allentato dallo stesso Dario Franceschini, autore della riforma del settore cinematografico e audiovisivo che reca il suo nome, la numero 220 divenuta legge dello Stato nel novembre del 2016: a distanza di quattro anni e mezzo dall’avvio della riforma, si chiarisce che non è il Ministero a decidere, ma i distributori, e la Commissione ministeriale si limiterà successivamente a validare.

Anche se alcuni giornalisti si sono entusiasmati per il provvedimento, bontà loro, la vera verità è un’altra: è stato sì definitivamente scardinato il principio secondo il quale è “lo Stato” a decidere i criteri di classificazione della censura cinematografica – la cosiddetta “revisione” – ma questi criteri erano di fatto divenuti evanescenti da molto tempo, e nella sostanza erano gli stessi distributori a definirli. Qualcuno ha sostenuto che è andato in soffitta, un sistema censorio che risaliva al 1913, e che, nel corso dei decenni, aveva limitato (in diversi  casi, impedito) la circolazione di numerosi film cinematografici (senza dimenticare ovviamente la parentesi buia del regime fascista).

Qualcuno ha addirittura evocato il concetto di “rivoluzione (così il quotidiano romanoIl Tempo”)! La notizia è stata segnalata, con un trafiletto di poche righe, anche dalla testata ufficiale del Vaticano L’Osservatore Romano”, mentre il quotidiano della Cei (Conferenza Episcopale Italiana) “Avvenire ha pubblicato un articolo, di approccio assolutamente neutro, nel quale si ricorda che nel 1962, con l’avvio dei governi di centro-sinistra, fu varata una riforma della censura, che soppresse parecchie limitazioni e circoscrisse l’azione repressiva ai film in cui si fosse identificata l’offesa al “buon costume” (concetto quanto mai di difficile interpretazione). La prudenza dei censori dette tuttavia origine a un nuovo fenomeno: contro i film “approvati” dalle apposite commissioni del Ministero del Turismo e dello Spettacolo (così si chiamava allora), insorsero procuratori, singoli cittadini e associazioni, le quali, appellandosi al Codice Penale, chiesero il sequestro delle opere ritenute “indecenti”.

Il caso più eclatante e simbolico, come abbiamo accennato, è stato quello di “Ultimo tango a Parigi (correva l’anno 1972), per il quale fu addirittura deciso dalla magistratura (con sentenza finale della Corte Costituzionale del 1976) che le pizze filmiche originarie, così come tutte le copie stampate, fossero mandate al rogo (il che non avvenne): il film di Bernardo Bertolucci (che fu privato anche dei diritti civili per cinque anni) fu scagionato da una sentenza riparatrice solo nel 1987, ed è stato persino mandato in onda dalla Rai (a fine gennaio 2019 fu trasmesso su Rai2, in versione integrale, con una esaltata introduzione dell’allora Direttore di Rai2  Carlo Freccero).Va evidenziato che l’intera questione va guardata nell’ottica della radicale modificazione dei paradigmi dell’economia audiovisiva ed alla luce della rivoluzione web. Fino ad oggi, un “film” – inteso come “opera audiovisiva” destinata ad una prioritaria “utilizzazione cinematografica” (ovvero “theatrical”) – doveva ottenere il cosiddetto visto di nulla osta ministeriale, per poter avere accesso alle sale cinematografiche.

Il sistema censorio, gestito dalla Direzione Cinema e Audiovisivo dell’ex Ministero per i Beni e le Attività Culturali (Mibact) ormai Mic (Ministero della Cultura), aveva il potere di imporre dei tagli oppure un “divieto ai minori”, nelle due fasce dei 14 anni o dei 18 anni. Questo “visto” era indispensabile anche per la successiva messa in onda televisiva dei film, in relazione alla cosiddetta “fascia protetta”, altro caso di “ipocrisia di Stato”: in effetti, in televisione si vedono ormai, anche negli orari di massima audience, film cinematografici e fiction televisive certamente non adatte ai minori. Il “visto preventivo”, quindi, non è più obbligatorio, e lo Stato si limiterà a verificare la corretta classificazione delle opere cinematografiche da parte dei rappresentanti della cosiddetta “industria”, ovvero i distributori “theatrical”. Sono abolite le vecchie “commissioni” ministeriali, ma ne viene istituita una nuova, discretamente pletorica (49 membri), la cui composizione è ancora ignota.

Per Dario Franceschini : lo Stato non potrà intervenire sulla libertà degli artisti….gli artisti tornano finalmente liberi”; mentre il  Direttore Generale della Dgca Nicola Borrelli, in maniera più  sommessa, precisa: “in pratica, si mette in atto una sorta di autoregolamentazione, saranno i produttori o i distributori ad auto-classificare l’opera ed alla Commissione andrà il compito di validare la congruità delle scelte”. Il nuovo sistema determina una presunta “responsabilizzazione” (per così dire) degli operatori dell’industria cinematografica, i quali ovviamente hanno tutto l’interesse a rendere le maglie del sistema più larghe, dato che non sono benefattori spirituali ma mercanti con precisi interessi economici. Secondo la nuova disciplina, le opere cinematografiche, compresi gli spot pubblicitari destinati alle sale cinematografiche, dovranno essere classificate dagli operatori nel settore cinematografico. Le categorie sono 4: a) “opere per tutti”; b) opere non adatte ai “minori di anni 6”; c) opere vietate ai “minori di anni 14”; d) opere vietate ai “minori di anni 18”.

Il decreto stabilisce che, per i film vietati ai minori di anni 14 o 18, può essere consentito l’accesso in sala di un minore che abbia compiuto rispettivamente almeno 12 o 16 anni, ma solo nel caso in cui esso sia accompagnato da un genitore (o da chi eserciti la responsabilità genitoriale). Per rendere esplicite le classificazioni, i materiali pubblicitari e promozionali delle opere saranno caratterizzati da un sistema di “icone” che segnaleranno la presenza di materiali sensibili per la tutela dei minori, ovvero violenza, sesso, uso di armi, turpiloquio…Il decreto inoltre aggiorna il regime delle misure punitive (…), prevedendo anche meccanismi di tipo reputazionale con la pubblicazione online delle sanzioni. Ma resta, però, un problema: che senso ha disquisire dottamente (teoricamente e retoricamente) di “censura cinematografica”, allorquando la rivoluzione di internet ha scardinato i paradigmi storici del sistema dei media?! Ci si chiede: esiste forse una “censura” sul web?! Si ricordi che la parte prevalente della fruizione audiovisiva avviene ormai attraverso la tv ed il web: il “cinematografo”, inteso come luogo di fruizione (la sala), ha ormai un ruolo marginale, almeno in termini quantitativi.

Non occorre una sorta di vigilanza asfissiante da parte dei genitori per rendersi conto di quel che sugli schermi televisivi e soprattutto, ormai, sugli schermi dei pc, dei notebook, degli ipad, degli smartphone, e sulle “smart tv”: passa ormai di tutto, senza alcuna forma di controllo, senza alcuna forma di “censura”. Sulla carta almeno per il medium televisivo, esisterebbe anche un sistema di “protezione”, ovvero un Codice di autoregolamentazione Tv e Minori”, firmato dalla Rai insieme ad altre emittenti ed introdotto nel 1997, ma che esso sia evanescente quanto inefficace è ormai evidente ai più. Quel “codice” ha istituito la fascia protetta tra le ore 16:00 e le 19:00, in cui le emittenti si impegnano a trasmettere programmi idonei alla visione di un pubblico di bambini, con un controllo rigido sulle pubblicità, trailer e promo mandati in onda. Un nuovo codice è stato firmato nel 2002 e approvato dalla Commissione per l’assetto del sistema radiotelevisivo ed è divenuto parte integrante della “Legge Gasparri”, così impegnando la generalità delle emittenti a rispettarlo.

Anche con questo codice, viene confermata l’esistenza della “fascia protetta” dalle ore 16:00 alle 19:00, denominata Tv per minori”, accostata allaTv per tutti”, composta dalla fascia che va dalle 7:00 alle 22:30. In quest’ultima fascia, si deve tenere conto delle esigenze esistenti in tutte le fasce d’età, rispettando le esigenze dei minori. A verificare il rispetto delle norme contenute nel codice, è stato istituito un Comitato di applicazione del Codice di autoregolamentazione Tv e Minori”, composto da 15 membri di nomina ministeriale (Ministero delle Comunicazioni ora Mise) insieme all’Agcom. Il Comitato, però, non sembra aver brillato per attivismo ed interventismo, e parrebbe abbia piuttosto avuto la funzione della classica italica “foglia di fico”: basti leggere l’autodescrittivo. Qualche sanzione, su questi temi, è stata effettivamente decisa dall’Agcom: per esempio 100mila euro di multa alla Rai per una trasmissione di Lost (decimo episodio della seconda stagione) nella quale un bambino uccideva con una pistola un vecchio, ma si ha ragione di ritenere che la gran parte del flusso ovvero dell’offerta non sia sottoposto ad adeguato controllo. Al di là della televisione, va osservato che non esiste alcuna forma di tutela dei minori sul flusso incontrollato di immagini audiovisive che sono ormai accessibili con un clic: basta, infatti, digitare la parolina magica “YouPorn”, e qualsiasi bambina e bambino d’Italia, ragazzo e ragazza, può liberamente fruire, senza alcuna limitazione, di una quantità infinita di immagini pornografiche! Se l’ Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom) è di per se inerte è meglio stendere un velo di pietoso silenzio sullAutorità Garante dell’Infanzia e dell’Adolescenza (Agia). Per loro è come se il problema non esistesse.

E si tratta di pornografia pesante, non quella che caratterizzava gli innocenti filmetti (cinematografici, appunto, e spesso “censurati”) di certa commedia all’italiana di “serie B” (basti per tutti citare, il mitico “Giovannona coscialunga disonorata con onore” con Edwige Fenech, per la regia di Sergio Martino): quella attuale e liberamente accessibile è pornografia spesso caratterizzata da approcci tipici della perversione erotica, e pedagogicamente (in termini di educazione sessuale e di rispetto dell’altro) deleteri. Al di là della succitata delicata questione della tutela dei minori (un problema drammatico che sembra ignorato dai più, in primis dalle istituzioni e dai “policy maker”), esiste un altro problema che rientra nel calderone della “censura” in versione digitale: il rischio di deriva censoria da parte delle piattaforme “social” ovvero degli “over-the-top”.

Il caso, sintomatico ed emblematico, è quello dell’oscuramento della piattaforma web (ma potremmo anche definirla “emittente” audiovisiva) “Byoblu – La tv dei cittadini”, un “videoblog” lanciato nel 2007 da Claudio Messora  (divenuto famoso come consulente per la comunicazione del Movimento 5 Stelle), che, nel corso degli anni, si è trasformata in una vera e propria “televisione” di fatto (vanta tra l’altro oltre 200milioni di visualizzazioni video ed un archivio di oltre 2mila interviste). Una emittente televisiva eterodossa, controcorrente, eccentrica, che spesso ha dato spazio a voci fuori dal coro del “pensiero dominante”, dei media “mainstream”, del “politically correct”.

Secondo alcuni osservatori critici, ha amplificato e quindi promosso tesi negazioniste e complottiste oltre ad aver diffuso notizie false sulla pandemia. La notizia ci ha lasciato sbigottitinon può essere un algoritmo a stabilire la verità, a stabilire che cosa può essere pubblicato e cosa no, nei Paesi democratici, lo stabiliscono solo le norme approvate in Parlamento, non il colore politico di chi pubblica. Anche perché se tutto il potere viene lasciato in mano ai privati, prima o poi i privati si accorderanno con chi è pro tempore al governo. Rendendo le nostre già acciaccate democrazie una sempre più ignobile farsa”. In Italia esiste ancora uno Stato di diritto ,anche se la sempre invocata “certezza del diritto” spesso vacilla radicalmente come in casi come questo, e l’articolo 21 della Costituzione sembra divenire carta straccia.

Sta a tutti noi richiamare gli organi istituzionali all’uopo deputati per fare in modo che questo Stato di diritto non venga ignorato.

Giacomo Marcario

Comitato di Redazione del Il Corriere Nazionale

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