Flop del referendum, il quorum finisce nel mirino dei partiti

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Il risultato peggiore della storia repubblicana. E c’è chi ne chiede l’abolizione

© AGF – Referendum

AGI – Dopo il flop sui quesiti sulla giustizia, la politica chiede di rivedere l’istituto del referendum. I dati sull’affluenza parlano chiaro: solo due elettori su dieci hanno deciso di partecipare alla consultazione. Il 20,9% degli aventi diritto, per dirla con i dati del Viminale.

Molto meno del 50% più uno prescritto dalla Costituzione.

Il risultato peggiore della storia repubblicana. Diverse le proposte in campo che i politici dei vari schieramenti tornano oggi a ribadire. Riccardo Magi, parlamentare di +Europa, chiede di modificare il quorum e di “ridefinire i poteri della Corte Costituzionale nel giudizio di ammissibilità” dei quesiti. “Una soluzione – dice a Repubblica – potrebbe essere quella di legare la validità del referendum al 25% dei favorevoli, cioè dei Si’ all’abrogazione: in questo modo anche chi è per il No, sarebbe incentivato a recarsi a votare”.

Se non si interverrà in questo senso, avverte, “vincerà sempre il partito del non voto”. Benedetto della Vedova, segretario di +Europa, condivide il pensiero del collega di partito. “Dobbiamo capire se lasciare il quorum al 50%, che è grosso modo la partecipazione al voto in molti Comuni, abbia ancora un senso. Se vogliamo che il referendum possa avere prospettive come strumento di democrazia, dobbiamo discutere anche di questo”.

Tra chi chiede una modifica del numero legale c’è anche il leader della Lega: “Una riflessione va fatta, perchè se si va avanti di questo passo nessun referendum raggiungerà il quorum”, afferma Matteo Salvini, mentre Mario Segni spiega a La Stampa: “Bisogna avere il coraggio di ammettere che un altro tassello del nostro sistema costituzionale è saltato, credo definitivamente. Se non si riforma il quorum, lo strumento referendario è praticamente morto”. Un istituto ricorda, “importantissimo per la democrazia che ha permesso di decidere temi come il divorzio e la legge elettorale”.

Per Andrea Cangini, senatore di Forza Italia, è necessario “salvare l’istituto referendario, ormai inconciliabile con il crollo generalizzato delle passioni civili e delle affluenze elettorali: eliminiamo il quorum e prevediamo che la Corte costituzionale si esprima prima e non dopo la raccolta delle firme”, afferma. Anche per Loredana de Petris, capogruppo di Leu a Palazzo Madama, l’esito del voto di ieri impone un ripensamento sull’istituto referendario, “che è prezioso e deve essere salvaguardato”, e “pone un problema serio sul quorum. Non è possibile – sottolinea – che i No possano avvalersi dell’astensione come se fosse un voto a favore della loro posizione. Il quorum deve quindi essere modificato e il referendum deve essere considerato valido se vota la metà più uno degli elettori che avevano votato nelle precedenti elezioni politiche”, suggerisce.

Di segno opposto il parere del Movimento 5 stelle. Maria Edera Spadoni, vice presidente della Camera, esclude una “crisi dei referendum e della democrazia diretta: siamo di fronte alla crisi di una politica più attenta a tutelare sè stessa che a dare risposte ai bisogni reali delle persone”, dice e ricorda che nel 2011, ” temi che evidentemente stavano davvero a cuore delle persone, non ci furono problemi di quorum. Se si fossero trattati temi quali il salario minimo, la cannabis legale, il ddl Zan, l’eutanasia, certamente l’affluenza sarebbe stata molto più ampia”, conclude.

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