Funerale in tenda

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di Massimo Corrado Di Florio

Per dirla con Luca Ronconi, ci sembra di assistere, attoniti, al funerale di qualcosa che sta finendo. Un dramma nel dramma lo definirei, giusto per rimarcarne la tragedia e, allo stesso tempo, l’assurdità. Di per sé, infatti, già la celebrazione di ciò che è passato, anzi, trapassato, è espressione di un dolore che si potrebbe e dovrebbe presumere collettivo. Se a questo aggiungiamo la lentissima agonia così ben scandita dalla medesima celebrazione di tutto ciò che è già passato a miglior vita, il dramma è più che servito. Ho citato Ronconi che, a sua volta, rileggeva la tragedia di Re Lear collocandola all’interno della ineluttabile crudeltà della natura quando il tempo che passa e, con esso, l’invecchiamento dell’uomo, devono necessariamente cedere il passo al nuovo.

È assai probabile che anche la <<giustizia>> si inserisca, a pieno titolo, in questo contesto crudele che tutto calpesta e tutto fagocita, ammesso e non concesso, che la stessa <<giustizia>> possa essere animisticamente accostata al concetto così miseramente umano dell’invecchiare. È come se le modalità attraverso cui la funzione deve essere amministrata, esercitata e gestita, abbiano fatto il loro tempo. Così come Re Lear, invecchiato (e anche un po’ rincoglionito, diciamolo), decide di cedere il suo regno alle proprie figlie -sia pur volontariamente riducendolo in brani e, pertanto, indebolendolo-, allo stesso modo, la giustizia italiana, invecchiata (?), è costretta a farsi sbranare disinteressandosi, perfino, della Suprema ed irrinunciabile Funzione che le è stata attribuita. Insomma, ci si trova di fronte ad un vero e proprio abdicare pur senza nemmeno aver individuato il soggetto nei cui confronti tale assurda attività dismissiva debba infine ricadere.

E, allora, sarei propenso a ritenere che la ineluttabile crudeltà della natura sia solo il frutto di una altrettanto crudele insipienza intellettuale, figlia degenere di un più generico fenomeno di impoverimento culturale in atto nel nostro Paese. Si attende un cambio di passo che, tuttavia, stenta ad arrivare. I segnali del ritardo sono sotto gli occhi di tutti. D’altronde, la stessa spinta verso una continua degiurisdizionalizzazione, a favore di una giustizia per i più abbienti (oggi lo afferma a chiarissime lettere anche il Presidente Prof. Giuseppe Conte nel suo discorso alla Camera dei Deputati), altro non è se non la cartina di tornasole di questo deprecabile fenomeno. Ancora, l’abbattimento progressivo delle risorse destinate alla amministrazione della giustizia, è esso stesso, il rovescio della identica medaglia. Medaglia di legno, ovviamente. Il funerale di qualcosa che sta finendo, nella sua più ampia cifra descrittiva, è perfettamente accostabile a tutto ciò che è progressivamente accaduto a Bari. Oggi, avvertiamo l’urgenza di intervenire poiché il diritto beduino, come ho già avuto modo di scrivere qualche giorno fa, ce lo ricorda senza più infingimenti. La tendopoli nel cortile del Palagiustizia è un vero e proprio monumento al degrado. La nostra medaglia di legno, forse nemmeno più di legno. Direi che questo <<oggi>> possiede la caratteristica di un tipico presente senza fine il cui dies a quo si colloca molto indietro nel tempo e, precisamente, in un altro presente senza tempo in cui nessuno (ma proprio nessuno!) si sarebbe mai sognato di indagare a fondo sul <<bubbone>> di una inesistente edilizia giudiziaria.

D’altra parte, lo scenario dell’impoverimento culturale ha da sempre imposto la sua regola aurea: il disinteressamento totale. Vorrei citare ancora me stesso, anche a costo di apparire inelegante, allorché, nel corso di una trasmissione radiofonica su Ora Legale, affermai l’esistenza di un vero e proprio tradimento delle Istituzioni nei confronti di noi amministrati. Per tornare ai classici, temo che neppure la morte della amatissima Cordelia, esattamente come nel dramma shakespeariano, potrà rimettere le cose a posto. Perché far finta di sperare che, dopo quasi venti anni, all’improvviso, un programma di edilizia giudiziaria venga ad esistenza per poi essere trasformato in qualcosa di concreto? Re Lear muore e, con esso, tutta la sua ben poco allegra famigliola. Attendo, con ansia, la fine del rito. In fin dei conti, di questo parliamo.

Massimo Corrado Di Florio

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