Giulio Regeni, l’Egitto annuncia una nuova squadra per le indagini

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“La nuova squadra studia e classifica tutti i documenti e lavora per prendere tutti i provvedimenti necessari per scoprire la verità in totale imparzialità e indipendenza” dice il procuratore Hamad al-Sawi

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ALBERTO PEZZALI / NURPHOTO
Striscione per Giulio Regeni a Milano

Il procuratore generale egiziano, Hamad al-Sawi, ha annunciato la costituzione di “una nuova squadra di inquirenti” per indagare sul rapimento e sull’uccisione di Giulio Regeni, il ricercatore italiano trovato morto al Cairo il 3 febbraio 2016.

“La nuova squadra studia e classifica tutti i documenti del caso e lavora per prendere tutti i provvedimento di indagini necessari per scoprire la verità in totale imparzialità e indipendenza”, ha sottolineato il procuratore nell’incontro con gli inquirenti italiani, secondo quanto riportano i media egiziani.

Al-Sawi ha assicurato la prosecuzione e il rafforzamento della cooperazione giudiziaria tra Il Cairo e Roma “al fine di raggiungere la verità in modo obiettivo e completamente trasparente, lontano dalle false informazioni diffuse sul caso”.

Il confronto tra gli investigatori del Cairo e di Roma

Sono necessari “risultati concreti” da parte dell’autorità investigative del Cairo affinché abbia ancora un senso l’inchiesta della procura di Roma sul sequestro, sulle torture e sulla morte di Giulio Regeni, il 28enne ricercatore di origine friulana scomparso il 25 gennaio del 2016 in una stazione della metropolitana del Cairo e trovato cadavere il 3 febbraio lungo la strada che collega la capitale egiziana ad Alessandria.

Questo è l’auspicio dei magistrati di piazzale Clodio, in linea con le parole pronunciate ieri dal premier Giuseppe Conte, alla luce del vertice, concluso oggi al Cairo, tra i team investigativi di Italia ed Egitto che hanno fatto il punto sullo stato delle indagini.

Un incontro nel quale le autorità giudiziarie locali (‘in primis’ Hamada Al Sawi, dallo scorso settembre procuratore generale della Repubblica Araba d’Egitto) hanno ribadito la disponibilità a collaborare e rinnovato l’impegno a stabilire la verità, manifestando la volontà di proseguire i rapporti bilaterali.

Argomentazioni che hanno spinto gli inquirenti romani a sperare che questi due giorni di confronto portino nelle prossime settimane a “risultati concreti” che possano gettare le basi per un incontro tra magistrati.

In questi giorni i carabinieri del Ros e la polizia del Servizio Centrale Operativo hanno presentato agli omologhi egiziani il quadro probatorio maturato in questi anni di istruttoria e che hanno portato all’iscrizione sul registro degli indagati di cinque ufficiali del Dipartimento di sicurezza nazionale e dell’Ufficio investigativo del Cairo, dal generale Sabir Tareq al maggiore Magdi Abdlaal Sharif, dal capitano Osan Helmy con il suo stretto collaboratore Mhamoud Najem al colonnello .

Dal canto loro, gli investigatori egiziani si sono impegnati a fare tutto quanto possibile, nel rispetto della normativa del proprio Paese, a dare seguito alle richieste presentate dalla procura di Roma con la rogatoria del 30 aprile scorso, basata in particolare sulla presenza del maggiore Sharif nell’agosto del 2017 a Nairobi.

Secondo un testimone che ha citato un episodio avvenuto nella capitale del Kenia, questo funzionario della National Security, nel corso di un pranzo, avrebbe parlato del “ragazzo italiano”, dei pedinamenti, delle intercettazioni telefoniche, fino al sequestro di Giulio. Ma sul punto una risposta ai magistrati di Roma non è mai pervenuta da quando Hamada Al Sawi ha preso il posto di Nabil Sadeq.

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