Giustizia per la morte dell’ambasciatore Attanasio

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Il Wfp sotto accusa per la morte dell’ambasciatore Attanasio  La moglie, “Nessuno si sottragga alla giustizia”.

Chiuse le indagini della procura di Roma sull’agguato di un anno fa in Congo. La moglie del diplomatico all’AGI: pesanti responsabilità di chi non rispettò nemmeno le più elementari regole di prudenza.

© ALEXIS HUGUET / AFP – Le forze Onu impegnate in Congo intervengono dopo l’agguato all’ambasciatore italiano Attanasio

AGI – Rischiano di finire sotto processo due persone dipendenti del World Food Program – il Programma alimentare mondiale – che secondo la procura di Roma avrebbero delle responsabilità nella morte dell’ambasciatore italiano Luca Attanasio e del carabiniere Vittorio Iacovacci.

Il diplomatico e il suo uomo di scorta furono uccisi in Congo il 22 febbraio dell’anno scorso nella zona del parco di Virunga da un gruppo armato in un tentativo di sequestro. I pm di Roma hanno chiuso le indagini, l’atto che normalmente anticipa la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti degli indagati. A rischiare il processo, dopo l’inchiesta del procuratore aggiunto Sergio Colaiocco, sono i due organizzatori della missione nel nord del Paese africano

Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, coordinati dal procuratore Francesco Lo Voi, sono Rocco Leone e Mansour Luguru Rwagaza per aver “omesso, per negligenza, imprudenza e imperizia – si legge in una nota della Procura – secondo la ricostruzione effettuata allo stato, che risulta in linea con gli esiti dell’inchiesta interna all’Onu, ogni cautela idonea a tutelare l’integrità fisica dei partecipanti alla missione Wfp che percorreva la strada Rn2 sulla quale, negli ultimi anni, vi erano stati almeno una ventina di conflitti a fuoco tra gruppi criminali ed esercito regolare”.

La procura di Roma “ha ritenuto di aver raccolto elementi idonei a contestare il delitto di omicidio colposo agli organizzatori della missione nel Nord Kivu del 22 febbraio 2021.

In particolare allo stato degli atti, sono stati raccolti elementi secondo cui gli indagati “avrebbero attestato il falso, al fine di ottenere il permesso dagli uffici locali del Dipartimento di sicurezza dell’Onu, indicando nella richiesta di autorizzazione alla missione, al posto dei nominativi dell’ambasciatore Attanasio e del carabiniere Iacovacci, quelli di due dipendenti del Wfp così da indurre in errore gli uffici in ordine alla reale composizione del convoglio e ciò in quanto non avevano inoltrato la richiesta, come prescritto dai protocolli Onu, almeno 72 ore prima”.

Inoltre, si legge ancora nel comunicato stampa, “avrebbero omesso, in violazione dei protocolli Onu, di informare cinque giorni prima del viaggio, la missione di pace Monusco che è preposta a fornire indicazioni specifiche in materia di sicurezza informando gli organizzatori della missione dei rischi connessi e fornendo indicazioni sulle cautele da adottare (come una scorta armata e veicoli corazzati)”.

E ancora: “avrebbero omesso di predisporre le cautele richieste dalla classificazione di rischio attribuita al percorso da effettuare che, pur avendo dei tratti classificati verdi cioè a basso rischio, aveva anche delle parti classificate gialle, cioè a rischio medio che avrebbero imposto di indossare, o avere prontamente reperibile il casco e il giubbotto antiproiettili.  Avrebbero omesso, in presenza di un ambasciatore, che rappresentando il proprio Paese, costituisce soggetto particolarmente a rischio, e dopo aver dato assicurazioni al carabiniere Iacovacci, a seguito delle sue richieste, di poter usufruire di veicoli blindati (che il Wfp aveva in dotazione a Goma), che le misure di sicurezza base sarebbero state incrementate, di approntare ogni utile ulteriore misura di mitigazione del rischio”.

Inoltre l’ufficio, ricostruita in modo esaustiva la dinamica dei fatti avvenuti la mattina del 22 febbraio, in particolare le modalità del sequestro e del successivo conflitto a fuoco, “prosegue le attività di indagini per il reato di sequestro di persona a scopo di terrorismo, finalizzate a identificare i componenti del gruppo di fuoco, anche attraverso le tue rogatorie già inoltrate alle autorità della Repubblica democratica del Congo”.

Il j’accuse della moglie di Attanasio

“Dalle indagini svolte dalla procura di Roma è intanto emerso che la morte di mio marito Luca, di Vittorio Iacovacci e dell’autista Mustapha Milambo non si sarebbe verificata se il Wfp, come era suo obbligo fare, avesse gestito in modo scrupoloso e adeguato la sicurezza della missione a Goma” ha dichiarato all’AGI Zakia Seddiki, la moglie dell’ambasciatore Attanasio.

“La procura ha accertato che i due funzionari del Pam incaricati della sicurezza del convoglio hanno violato non solo i protocolli di protezione imposti dalla stessa Onu, ma anche le più elementari regole di cautela e prudenza, nonostante la notoria pericolosità della strada in cui si è verificato l’agguato”, spiega Seddiki. “Secondo le verifiche della procura, tali gravissime omissioni hanno concorso a cagionare la morte di Luca, di Vittorio e di Mustapha che sono stati esposti, senza alcuna effettiva protezione, alla furia degli assalitori”, aggiunge.

“Auspico adesso che nessuno si sottragga alle proprie responsabilità e che il Wfp non ostacoli in alcun modo lo svolgimento di un giusto processo nel Paese per cui Luca e Vittorio hanno sacrificato le loro giovani vite” aggiunge Seddiki, “Questo si aspettano la famiglia di Luca, Vittorio e l’Italia, senza dimenticare la famiglia di Mustapha. Ringrazio la magistratura e tutte le Istituzioni italiane che hanno lavorato strenuamente per accertare quanto accaduto”.

La Farnesina chiede la collaborazione del Wfp

Da parte sua la Farnesina auspica in un comunicato massima collaborazione da parte del Wfp con la magistratura italiana per “chiarire ogni aspetto dei tragici fatti del 22 febbraio 2021 e assicurare i responsabili alla giustizia”.

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