Gli intrighi di Palamara e sodali hanno compromesso gravemente l’autorità morale della Magistratura

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di Raffaele Vairo

Gli intrighi di Palamara e sodali hanno compromesso gravemente l’autorità morale della Magistratura.

Luca Palamara, chi è costui? Se fino a qualche tempo fa il dr. Palamara, ex capo dell’Associazione magistrati ed ex membro del CSM, era conosciuto solo tra gli addetti al lavoro (avvocati e magistrati), adesso la sua fama, anzi la sua “malafama”, lo ha reso noto al grande pubblico. Le vicende di cui si è reso protagonista, con coinvolgimento di suoi colleghi, anche se riguardano un numero limitato di magistrati, rischia di travolgere l’intero sistema giudiziario. Quindi è doveroso che il Governo se ne occupi seriamente e predisponga un progetto di riforma che salvi la magistratura e ristabilisca la fiducia che i cittadini avevano del sistema giustizia.

In proposito Paolo Mieli, noto giornalista del “Corriere della Sera”, preoccupato per lo sconcerto che il caso Palamara ha prodotto nel Paese, ha scritto un editoriale (Corriere della Sera del 6 giugno 2020) di fuoco che è una dura condanna e nel contempo un grido di dolore per le conseguenze che l’intreccio di pericolose relazioni potrà avere nel sistema Paese. Le parole di condanna usate nel citato editoriale costituiscono un serio appello al Governo e alla politica in generale perché si provveda con urgenza alla riforma del sistema avvelenato dal mare di melma versato da soggetti che, per la loro qualifica, godevano della stima e della fiducia dei cittadini. Il giudizio di Paolo Mieli, sicuramente da condividere, costituisce un forte invito alla politica ad affrontare il problema con la mente rivolta all’intreccio di interessi e aspettative dei cittadini che aspirano al buon andamento della cosa pubblica.

Ma l’attenzione dell’editorialista è rivolto anche al dubbio sollevato dal dr. Nino Di Matteo circa interferenze mafiose, dirette o indirette, nell’azione di governo, in particolare in relazione alla nomina a capo del DAP (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria), avvenuta nel giugno 2018.

Al riguardo occorre precisare che all’epoca, quando Bonafede era Guardasigilli nel Governo giallo verde (coalizione Lega – 5 Stelle), Salvini era il potente Ministro dell’Interno e vice Presidente del Consiglio. Il dubbio che potrebbe sorgere è che la scelta di nominare il dr. Nino Di Matteo, magistrato molto noto per le inchieste antimafia e per l’indagine sulla trattativa Stato-Mafia, non abbia incontrato il favore dei mafiosi ristretti al 41-bis ma neanche dell’alleato di Governo che lo riteneva, e ritiene, il maggior persecutore di Silvio Berlusconi.

Certamente, le vicende Palamara offrono la stura per riparlare della separazione delle carriere tra magistrati inquirenti (PM) e giudici, riportando in auge il disegno di portare le Procure sotto la direzione del Governo e riproponendo la cancellazione della obbligatorietà dell’azione penale. Anche perché i magistrati delle Procure, nella maggior parte, hanno manifestamente atteggiamenti che con la giurisdizione non hanno nulla a che vedere. Ne consegue che, con i loro comportamenti, essi stessi, almeno nei fatti, hanno contribuito al risorgere della questione relativa al principio della separazione delle carriere. Anche perché la separazione delle carriere, se attuata come si deve, potrebbe dare maggiore forza al principio della parità tra accusa e difesa, ancora inattuata, nonostante l’affermazione costituzionale del giusto processo (art. 111 della Costituzione).

Certamente il clima che si è creato attorno alla magistratura non è caratterizzato da quella serenità che è tanto più necessaria quando si tratta di lavorare per riportare la magistratura sui binari indicati dalla Costituzione. Anzi c’è chi medita propositi di vendetta nei riguardi del potere giudiziario giudicato di parte e responsabile della crisi dei partiti causata, come affermano da tempo non solo le destre, dalla Procura di Milano con le indagini note come TANGENTOPOLI. Oggi se ne torna a parlare accusando le Procure di essere la causa della crisi politica.

Il discorso non può esaurirsi con la considerazione che le Procure siano la causa di tutti i mali. La Magistratura è parte della società e, quindi, dotata dei pregi e dei difetti presenti anche nelle altre istituzioni dello Stato. I maggiori difetti, ovviamente, sono ascrivibili alla politica che nulla ha fatto per prevenire episodi, anche gravi, di corruzione che ha invaso tutti i settori, anche a livelli infimi. Spesso ci giungono notizie circa episodi di coinvolgimento di politici in affari di mafia. Ma la politica, normalmente, utilizza strumenti volti alla loro tutela, qual è l’autorizzazione all’arresto di membri del Parlamento e all’utilizzo di prove assunte anche indirettamente attraverso, ad esempio, il controllo di persone estranee che, però, vengono intercettate in conversazioni con qualche deputato o senatore. La riforma del sistema giudiziario non può e non deve rimanere un problema isolato, occorrendo provvedere a una riforma complessiva. Certo, si può anche iniziare dalla riforma del CSM, che è l’organo costituzionale predisposto per la tutela dell’autonomia dei singoli magistrati. Occorre, anche, rivedere le garanzie previste per i parlamentari. Perché, a ben vedere, quando un magistrato commette reati, normalmente, viene giudicato severamente e punito dai suoi colleghi. Uno dei tanti esempi: il procuratore di Taranto, dr. Carlo Maria Capristo, accusato di gravi reati, è stato sospeso dal servizio e sottoposto agli arresti domiciliari, senza tanti complimenti. Diversamente, per i parlamentari succede molto raramente che la Camera di appartenenza conceda l’autorizzazione agli arresti di coloro che siano sospettati di gravi reati. Anzi, è già capitato che la magistratura non ha potuto utilizzare le prove a loro carico, perché acquisite in modo indiretto, senza la necessaria autorizzazione.

D’altra parte, proprio per rispetto del principio della separazione dei poteri, ogni riforma non può prescindere dal rispetto del necessario equilibrio tra le varie istituzioni di rango costituzionale. Comunque, le riforme parziali, se non inserite in un progetto generale, potrebbero creare squilibri pericolosi per la democrazia e, in ultima analisi, per i cittadini.

Attualmente, il pubblico ministero, nonostante si affermi che il processo penale si ispira al rito accusatorio, gode di poteri istruttori molto ampi, simili a quelli che gli erano riconosciuti in passato, quando il processo penale era ispirato al rito inquisitorio, in contrasto con il principio della parità tra accusa e difesa. Tale disparità è il motivo fondamentale per cui si chiede che sia predisposta e approvata una riforma che sancisca la parità tra difesa e accusa, principio, secondo alcuni, che può realizzarsi solo attraverso una effettiva separazione delle carriere dei giudici e dei magistrati della pubblica accusa. I quali hanno spesso abusato dei loro poteri, dimenticando che la loro funzione era ed è quella della ricerca della verità, come, del resto, vorrebbe la giurisdizione.

Raffaele Vairo

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