I centri commerciali hanno perso 17,8 miliardi nell’anno del Covid  

Economia & Finanza

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L’Osservatorio di Cncc e Nomisma fotografa l’impatto della pandemia. Nel 2020 si è avuta una perdita di fatturato complessiva del 25%. Giù l’occupazione con un calo di 40 mila posti di lavoro

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© AGF – Centri commerciali

AGI – Nell’anno della pandemia l’industria dei centri commerciali ha registrato una perdita di 17,8 miliardi di euro, con un fatturato di 53,4 miliardi rispetto ai 71,2 miliardi del 2019. È quanto rileva l’Osservatorio sull’Industry italiana dei centri commerciali 2021, uno studio di Cncc – Consiglio Nazionale dei Centri Commerciali – e Nomisma sull’impatto del Covid-19 sull’industry dei centri commerciali.      

Secondo l’Osservatorio, nel 2020 si è prodotta una perdita di fatturato complessiva – che include gli impatti diretti, indiretti e indotti generati dall’Industry dei centri commerciali – del 25% rispetto al 2019, pari a un decremento di 45,5 miliardi di euro, come conseguenza degli spillover generati sull’intera filiera dalle chiusure e dalle restrizioni a cui tutte le oltre 1.300 strutture sul territorio nazionale si sono dovute adeguare.

L’impatto sull’occupazione

Per quanto riguarda invece l’occupazione complessivamente generata dai centri commerciali sul Sistema Paese – prosegue l’analisi – si registra una contrazione di 55 mila posti di lavoro, che sono passati dai 783 mila del 2019 ai 728 mila del 2020. Se si considerano solo gli impieghi diretti nei centri commerciali, si registra un calo di 40 mila posti di lavoro, flessione riconducibile soprattutto al mancato rinnovo di contratti in essere e alla non attivazione di lavori stagionali (che hanno conosciuto una flessione del -27,5%). Meno intensa la perdita di posti di lavoro a tempo indeterminato, grazie soprattutto alle misure di tutela attivate.

Nuovi modelli di consumo, tra acquisti online e fisici

Con l’avvento dell’emergenza sanitaria da Covid-19, e le conseguenti numerose restrizioni che si sono succedute nel corso del 2020, gli italiani hanno modificato le proprie abitudini di spesa – sia per gli acquisti di prodotti essenziali che non essenziali – sperimentando nuovi canali di spesa e diminuendo il ricorso ad altri più “tradizionali”. In generale, quel che emerge dall’analisi è un aumento del numero di responsabili di acquisto che hanno effettuato spese sui canali online (sia come delivery che con click&collect), incrementando anche frequenza e valore della spesa sui negozi digitali.

Al contempo si è assistito a una generale riduzione – rispetto al 2019 – del ricorso al canale fisico (tanto nel numero di italiani che vi hanno fatto accesso almeno una volta, quanto nella frequenza e nel valore degli acquisti effettuati). Concentrando il focus sulle abitudini di acquisto nei centri commerciali, l’indagine fa emergere come il 42% degli italiani nel 2020 sono ricorsi con elevata frequenza al canale online per effettuare acquisti che nel 2019 avrebbero fatto in un centro commerciale.          

E-commerce: una crescita senza precedenti, ma…

Nel 2020 la spesa finale in consumi – per beni e servizi – complessivamente effettuati dalle famiglie italiane ha realizzato una perdita di 129 miliardi di euro rispetto all’anno precedente. L’aumento delle vendite di prodotti registrate dal canale online (+30% rispetto al 2019) non è quindi stato in grado di frenare il crollo della spesa per consumi finali in beni, che nel 2020 di è attestata a -36 miliardi di euro. Se poi si confronta il valore delle vendite online con la spesa per consumi finali effettuata dalle famiglie italiane in un paniere di prodotti coerente e confrontabile si evince come – nonostante il boom dell’ultimo anno – l’e-commerce (con i suoi 23,4 miliardi di euro) rappresenti solo il 6,8% della spesa complessivamente realizzata.

Le proposte del Cncc in ottica sostenibilità e Pnrr

Da anni l’Industria dei centri commerciali è impegnata in strategie e azioni sempre più orientate alla responsabilità sociale e ambientale, con l’obiettivo di affermarsi quale punto di riferimento per il territorio e la comunità in cui i centri sono presenti. La più evidente espressione di questo impegno è stata la recente creazione di 23 hub vaccinali, iniziativa che sta contribuendo al successo alla campagna di vaccinazione nazionale. Non solo, il Cncc si è recentemente dotato di un “Manifesto per la sostenibilità”, un vero e proprio programma di crescita etico-valoriale misurabile, con cui si pone l’ambizioso obiettivo di perseguire 8 dei 17 Sustainable Development Goals (SDGs) definiti dalle Nazioni Unite nell’ambito dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile.

In tema di Pnrr, nonostante sia stata rilevata una scarsa attenzione nei confronti del commercio, il Cncc ritiene comunque che questo settore, che rappresenta circa il 60% del PIL italiano ed è un insostituibile presidio socio-economico capace di garantire alti livelli di occupazione e di attrarre investimenti privati a integrazione di quelli pubblici, sia in grado di offrire un contributo decisivo alla realizzazione dei diversi obiettivi.

In particolare digitalizzazione, efficienza energetica, rigenerazione urbana e servizi sanitari territoriali: sono le Missioni individuate dal Cncc, alla cui realizzazione il comparto dei centri commerciali potrebbe dare un maggiore apporto.

Il Cncc ha, infine, avanzato delle proposte volte a eliminare le barriere regolatorie e alcuni dei vantaggi competitivi che attualmente discriminano il commercio fisico rispetto all’e-commerce, nonché alcune misure fiscali che, a suo parere, sono in grado di favorire e sostenere i consumi in questo momento d’importante rilancio del Paese.

Roberto Zoia, Presidente del Cncc, ha dichiarato: “Presentare questa importante indagine realizzata da Nomisma è un punto di partenza fondamentale per comprendere gli effetti profondi della pandemia sul nostro comparto. Tra gli aspetti più interessanti che sono emersi dalla ricerca – ha proseguito – mi preme segnalare la centralità che il commercio fisico continua ad avere, pur nel contesto di un’evoluzione del mercato sempre più caratterizzata dall’integrazione dell’esperienza fisica con quella digitale”. Dall’analisi, ha aggiunto, “emerge con chiarezza come, nonostante per mesi il digitale sia stato spesso l’unica opzione d’acquisto possibile e abbia realizzato una crescita importante, esso non sia stato in grado di sopperire neppure lontanamente al crollo dei consumi a cui abbiamo assistito nel corso del 2020. Per questo motivo, il sostegno alle attività del commercio tradizionale resta prioritario nell’ambito di politiche economiche e industriali che si prefiggano di rilanciare i consumi. Solo sostenendo il canale fisico, che rimane la scelta preferita dalle famiglie italiane, si potrà infatti realmente contribuire ad agevolare la ripresa economica del Sistema Paese nel suo complesso”.      

Luca Dondi, amministratore delegato di Nomisma, ha affermato da parte sua: “L’Osservatorio sull’Industry dei Centri Commerciali sviluppato da Nomisma per CNCC mette in luce importanti note di attenzione su cui soffermare riflessioni di sviluppo futuro, ora che siamo all’alba dell’atteso New Normal”. Per Dondi, “il primo aspetto riguarda i motivi della mancata visita ai Centri Commerciali, riconducibile principalmente alle chiusure dei negozi dettate dalle misure di contenimento della pandemia e dalla confusione degli acquirenti a capire gli effettivi giorni di chiusura e apertura dei punti vendita. Importante nella scelta di diminuire la frequenza di visita ai centri commerciali anche la percezione – reale o indotta – del rischio sanitario e a seguire effetti di sostituzione dei canali”. L’altro elemento, prosegue nella riflessione, riguarda l’andamento delle vendite del commercio al dettaglio sul canale online. L’analisi mensile dell’indice delle vendite del commercio al dettaglio evidenzia dei picchi in corrispondenza dei periodi di lockdown – oltre che nei momenti in cui gli acquisti online si intensificano in maniera ricorrente (es Black Friday e Natale). Il vero interrogativo è quindi quanto i nuovi modelli di acquisto degli italiani rimarranno in maniera strutturale riuscendo a modificare l’assetto dei consumi pre-Covid”.

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