I diavoli di Malebranche

Arte, Cultura & Società

Di

Ricordando il sommo poeta Dante Alighieri

nel settecentenario dalla morte

di Stefania Romito

Il canto XX con la quarta bolgia è tutto dedicato agli indovini, per i quali Dante ha escogitato un contrappasso per contrasto: essi hanno preteso in vita di vedere troppo avanti nel futuro e ora sono orribilmente stravolti, ma con il viso che guarda alle spalle, costretti a camminare all’indietro. Dante non può non piangere per l’umiliazione cui è sottoposta la figura umana, e Virgilio lo rimprovererà come di una debolezza.

Spetta a Virgilio personaggio il compito di presentare la serie degli indovini, anche perché vi prevalgono gli antichi ma soprattutto perché, venendo a parlare di Manto e dell’origine di Mantova, è indotto da Dante a modificare quanto aveva già scritto come autore, attribuendo a Ocno, figlio della maga, la fondazione della città. La cosa è certo singolare (Virgilio costretto, secoli dopo, a una palinodia).

Il canto XXI rappresenta una svolta narrativa importante, segnando il passaggio fra la 4° e la 5° bolgia, perché per la seconda volta Dante ci dà il titolo del suo poema (la prima volta era stato alla fine del  XVI canto, nel Purgatorio ne mancherà l’occasione, mentre nel Paradiso il titolo sarà mutato). Il paesaggio è ancora diverso: un lago di pece bollente, che fa venire in mente l’arsenale di Venezia. Appare un diavolo nero che regge sulle spalle un dannato e dalle sue parole si intuisce che viene da Lucca, città ricca di barattieri, dove intende tornare. Affida il dannato ai diavoli custodi di questa bolgia, caratterizzati dal nome espressivo di Malebranche (vv 34). Se ne deduce che il malcapitato apparteneva alla più importante magistratura lucchese, soprattutto che la baratteria è il corrispettivo laico della simonia, se consiste nella possibilità di trasformare (grazie a quella che noi oggi chiamiamo bustarella) una decisione negativa in positiva. Che poi Dante autore sia qui meno serio del solito e giochi un poco coi suoi personaggi, si può spiegare con il fatto che proprio lui era stato mandato in esilio con il pretesto della baratteria.

Siamo di fronte a una giocosa scena culinaria, con il lucchese immerso dai Malebranche nella pece con le loro roncole come un pezzo di carne perché si cuocia meglio, allo scorcio di un Dante terrorizzato che si nasconde dietro una roccia e un Virgilio che parlamenta con il comandante di quella schiera, di nome Malacoda, inducendolo a rassegnarsi alla volontà divina. Segue la farsa dei sottoposti (Scarmiglione in testa) che ancora si divertono a minacciare l’insolito viandante; infine, la maliziosa decisione di Malacoda di assegnare una scorta di dieci diavoli ai due poeti perché li accompagnino a un possibile valico, dato che il ponte di roccia più vicino è crollato. Mirabile l’inventività onomastica di Dante nell’assegnare i nomi ai diavoli (Alichino, Calcabrina, Barbariccia, ecc.).

Dante è sconvolto da questa terribile compagnia  per quanto ignaro del tranello che si nasconde dietro le parole di Malacoda. In realtà tutti i ponti che dalla pece conducono alla bolgia successiva sono caduti per il terremoto che accompagnò la morte di Cristo. Bastano a terrorizzarlo le smorfie minacciose e il digrignare dei denti dei diavoli. Né lo rallegra l’insolito segnale con cui Barbariccia avvia la partenza del drappello; anche se l’autore cu si sofferma sopra, non senza un sorriso, nel memorabile esordio del canto XXII, dove non si sa se ammirare di più il quadro di vita medievale (con le cavalcate, i tornei, ecc.) o la metafora burlesca della cornamusa suonata da Barbariccia.

Lungo la strada, i Malebranche riescono a catturare un dannato che non fa in tempo a nascondersi sotto la superficie. Prima che quelli continuino a straziarlo con i loro arnesi, Virgilio riesce a saperne il nome e la storia: è Ciampolo di Navarra, cortigiano del re Tebaldo. Il dannato approfitta dell’occasione per avere un qualche vantaggio dai diavoli, che si allontanino un poco, promettendo in cambio di tradire i compagni, facendoli venire a tiro con un fischio. I diavoli sospettano l’inganno: ma Alichino accetta la sfida.

Ciampolo coglie al volo il momento opportuno e riesce a tuffarsi sparendo ala vista, come un’anitra che sfugge al falco sott’acqua. Adirato per la beffa, Calcabrina assale il compagno: si azzuffano e cadono insieme nella pece. Dante e Virgilio approfittano della confusione per allontanarsi in silenzio.

La rissa alla quale Dante ha appena assistito gli fa venire in mente la favola di Esopo in cui i due litiganti sono messi d’accordo da un terzo personaggio, che nella favole è un nibbio, nella vicenda appena svoltasi, la pece; “il bollore funzionò subito da separatore”. Dante si rende conto che è imminente la vendetta dei Malebranche, in qualche modo beffati per la loro colpa; non fa in tempo a comunicare i timori a Virgilio che li vede sopravvenire in volo e Virgilio riesce appena ad afferrarlo e a buttarsi giù per la scarpata, fino alla sesta bolgia dove i Malebranche non possono seguirli.

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