Circa un mese fa l’Italia ha adottato i nuovi decreti sicurezza introducendo il riconoscimento dei migranti climatici, la maggior parte provenienti dall’Africa e dal Sud America, Paesi già distrutti dalla instabilità economica, sociale e politica.
Quello delle migrazioni legate alla crisi climatica, infatti, sta diventando un fenomeno sempre più massiccio: solo nel 2018, secondo i dati dell’Internal Displacement Monitoring Centre, ben 17,2 milioni di persone sono state costrette a migrare a causa degli eventi climatici estremi, diretta conseguenza, della crisi climatica.
Nel Sahel, ad esempio, la situazione è drammatica: siccità, desertificazione, agricoltura pari allo zero… una condanna a morte!
Un recente studio, uscito sulla rivista internazionale Environmental Research Communications, ci dice che “dall’area del Sahel provengono nove su dieci migranti che arrivano nel nostro Paese attraverso la rotta mediterranea e che, dato forse ancora più significativo, la prima causa di flussi migratori verso l’Italia è rappresentata proprio da fenomeni legati ai cambiamenti climatici”.
I migranti climatici hanno, quindi, gli stessi diritti riservati a chi fugge da guerre e carestie: il diritto alla protezione umanitaria.
I DIRITTI NELLA CONVENZIONE DI GINEVRA
Nel 1951, con la Convezione di Ginevra, si stabilisce che viene riconosciuta la condizione di rifugiato quando “si trovava costretto ad attraversare una frontiera internazionale a causa del timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per un’opinione politica”.
Si garantirà protezione umanitaria a chi fugge dalle conseguenze devastanti della crisi climatica.
Adriano Pistilli
Responsabile Tecnico Gestione Rifiuti, esperto di Diritto Ambientale