I pm vogliono processare due collaboratori di giustizia per l’omicidio di Mormile

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Un nuovo passaggio nell’intricata ricerca della verità giudiziaria sulla morte dell’educatore del carcere di Opera dopo che la famiglia ha fatto riaprire il caso.

© Fabio Sasso / AGF
– Polizia penitenziaria davanti ad un istituto carcerario

 

AGI –  Il capo della Dda di Milano Alessandra Dolci e il pm Stefano Ammendola hanno chiesto il rinvio a giudizio dei collaboratori di giustizia Vittorio Foschini e Salvatore Pace per l’omicidio di Umberto Mormile, il giovane educatore del carcere di Opera assassinato l’11 aprile del 1990 nelle campagne di Carpiano mentre si stava recando al lavoro. L’udienza preliminare si aprirà il 30 novembre davanti al gup Maria Pollicino.

I ruoli dei collaboratori di giustizia

E’ l’ultimo passaggio di una storia giudiziaria molto complessa, dopo che nel marzo del 2022 il giudice Natalia Imarisio aveva ordinato nuove indagini e respinto la richiesta di archiviazione della Dda accogliendo l’opposizione presentata dall’avvocato Fabio Repici, legale del fratello della vittima, Stefano Mormile, che si batte da anni per la verità sulla fine del fratello, ucciso a 34 anni.

Nel capo d’imputazione, letto dall’AGI, i rappresentanti dell’accusa accolgono l’ipotesi sostenuta da Repici. Il legale afferma che Foschini e Pace sono “rei confessi” alla luce dei verbali di loro interrogatori resi negli anni scorsi nell’ambito dell’inchiesta ‘Ndrangheta stragista’ di Reggio Calabria. Il rappresentante della famiglia aveva anche chiesto alla Dda di approfondire la rivendicazione della ‘Falange Armata’, la stessa sigla che si è attribuita la  strage di via Palestro e i delitti della ‘banda della Uno bianca’.
Nel delineare i ruoli degli indagati, i pm individuano Pace come “capo del gruppo criminale che si metteva a disposizione a richiesta delle associazioni criminali di Coco Trovato e dei Papalia, fornendo supporto logistico nella fase preparatoria dell’omicidio: in particolare faceva consegnare da appartenenti del suo gruppo armi e una moto per eseguire l’omicidio dell’educatore di Opera”.

A Foschini viene contestato “su ordine di Coco Trovato di avere dato disposizioni ai sodali di fornire l’auto e una moto con cui veniva eseguito l’omicidio”. I due sono accusati di avere agito in concorso coi mandanti Franco Trovato, Antonio Papalia, Domenico Papalia e con gli esecutori Antonino Cuzzola e Antonio Schettini.

Il movente

Sono due i processi già celebrati, conclusi nel 2005 e nel 2008, che hanno portato alla condanna definitiva, tra gli altri, di Antonio Papalia e Franco Coco Trovato, esponenti di spicco della criminalità organizzata. Una verità ritenuta però non completa e sufficiente dalla famiglia di Mornile anche perché, come spiegato da Repici nella denuncia che ha riaperto il caso, nelle motivazioni i giudici facevano propria una sorta di “condanna morale” nei confronti di Mornile, punito, secondo le dichiarazioni di Schettini e Di Giovine per avere rifiutato, pur avendo accettato del denaro, di agevolare un permesso premio a Papalia.

Il processo ‘Ndrangheta stragista” ha fatto però emergere un altro scenario attraverso le dichiarazioni di Vittorio Foschini e Antonino Cuzzola. In sostanza, dicono i due collaboratori di giustizia, Mornile non prese denaro per fare favori e Papalia  ma venne ucciso per volere del boss che lo riteneva testimone scomodo dei suoi incontri nel carcere di Parma con esponenti dei servizi segreti.

“Mormile – queste le parole di Foschini – venne ucciso perché rifiutò di fare una relazione compiacente a Domenico Papalia”. Secondo Repici, la rivendicazione della Falange Armata “era iniziativa tutt’altro che di mitomani ma di soggetti appartenenti a diverse organizzazioni criminali, come i Papalia, Santo Mazzei e gli affiliati della famiglia mafiosa dei Brancaccio”.

 

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