Neutralità: questa è la posizione dei cinque Paesi dell’Asia centrale (Kazakistan, Uzbekistan, Tagikistan, Kirghizistan e Turkmenistan) nei confronti dell’ex dominatore russo e della sua aggressione all’Ucraina.
Ma c’è di più. Alla fine di maggio, i servizi di sicurezza kirghisi (GKNB) hanno incriminato un cittadino kirghiso che combatteva nelle file delle forze ucraine. Il mese precedente, gli stessi servizi avevano avvertito i cittadini di astenersi dall’esporre la lettera Z, simbolo dell’offensiva russa, pena azioni legali.
Inoltre, nessuno dei capi di Stato dei cinque Paesi dell’Asia centrale si è recato ad omaggiare Vladimir Putin alla parata del 9 maggio di quest’anno sulla Piazza Rossa, per celebrare la vittoria sul nazismo. Il Kazakistan è arrivato a cancellare la parata militare in patria per la prima volta dall’indipendenza del 1991.
Invece della tradizionale visita a Mosca, il presidente kazako Kassym-Jomart Tokayev si è addirittura recato in Turchia per firmare accordi di cooperazione militare (qui inclusa la costruzione di una fabbrica di droni d’attacco ANKA in Kazakistan) e lo sviluppo di corridoi logistici (merci e idrocarburi) che aggirino il territorio russo. Questo è stato considerato un affronto dalla Russia, ispirando una serie di dichiarazioni aggressive, come persino l’invito a “denazificare il Kazakistan” da parte di un deputato della duma di Mosca.
La questione sostanzialmente nuova è comunque che le cancellerie dell’Asia centrale si sono tutte rifiutate di seguire Mosca nel riconoscimento, a scapito della sovranità territoriale dell’Ucraina, dell’indipendenza delle due repubbliche autoproclamate di Donetsk e Luhansk. Alcuni analisti presagiscono in questa mossa l’insorgere di nuovi scenari geopolitici nell’area.