I timori di un rialzo dei tassi ‘aggressivo’ mettono Wall Street in rosso

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Gli indici Usa sono stati trascinati al ribasso dalle parole del presidente della Federal Reserve di St. Louis, James Bullard, che ha aperto a un rialzo dei tassi di mezzo punto a marzo, alimentando le preoccupazioni che la banca centrale statunitense agisca in modo più deciso per contrastare l’inflazione.

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AGI – I timori per una stretta della Fed più aggressiva del previsto hanno affossato Wall Street.

Dopo una seduta in altalena, gli indici Usa hanno virato in negativo, trascinati al ribasso dalle parole del presidente della Federal Reserve di St. Louis, James Bullard, che ha aperto a un rialzo dei tassi di mezzo punto a marzo, alimentando le preoccupazioni che la banca centrale statunitense agisca in modo più deciso per contrastare l’inflazione, balzata ai massimi da 40 anni a gennaio.

Il Dow Jones ha ceduto l’1,47% a 35,241.69 punti, il Nasadq è arretrato del 2,10% a 14,185.60 punti e l’S&P 500 ha lasciato sul terreno l’1,84% a 4,502.85 punti.

I mercati continuano a chiedersi quanti saranno i rialzi dei tassi d’interesse nel 2022 e tra gli investitori regna l’incertezza.

Il numero uno della Fed, Jerome Powell, non ha chiarito nell’ultima conferenza stampa post-Fomc quale sarà l’ammontare delle singole strette, se da 25 punti base come da tradizione o da mezzo punto percentuale.

E le parole del super falco Bullard hanno fatto tremare il mercato Usa, rafforzando le attese di una stretta più accentuata del previsto.

Bullard, che da quest’anno è membro con diritto di voto del Fomc, ha detto che i dati sull’inflazione lo hanno reso “drammaticamente” più prudente, e si è detto a favore di un rialzo dei tassi d’interesse di 50 punti base a marzo – sarebbe il primo dal 2000 – così da arrivare a un aumento di un intero punto percentuale nelle prossime tre riunioni del comitato esecutivo di politica monetaria, ovvero entro luglio.

Dopo le sue parole i future sui tassi prezzavano un aumento dell’intervallo target all’1%-1,25% entro la fine di giugno, con alcuni investitori pronti a scommettere su un percorso di rialzi ancora più forte.

I prezzi al consumo lo scorso mese negli Stati Uniti sono saliti al +7,5% su base annua dal +7% di dicembre, schizzando ai massimi dal 1982.

Il dato ha superato le attese degli analisti che scommettevano su un +7,3%. Su base mensile l’inflazione è rimasta ferma al +0,6% come a dicembre e contro un atteso +0,5%.

L’impennata dei prezzi è il risultato di una combinazione di fattori legati al virus, compresi i problemi della catena di approvvigionamento, la carenza di componenti e la mancanza di manodopera. Il surriscaldamento dell’inflazione ha ridotto il potere d’acquisto delle famiglie ed eroso la popolarità del presidente Joe Biden.

Questo nonostante l’economia sia cresciuta al suo tasso più forte da 37 anni nel 2021 e il mercato del lavoro stia rapidamente sfornando posti.

Nel dettaglio in un anno, i prezzi dell’energia sono aumentati del 27% e i prezzi dei prodotti alimentari del 7%.

L’inflazione rallenterà “sostanzialmente” entro fine anno, ha detto Biden. Il presidente Usa ha riconosciuto la “pressione reale” sulle famiglie americane ma ha voluto inviare un messaggio rassicurante: ci sono “anche segni che supereremo questa sfida”.

Dopo il dato sull’inflazione sono finiti sotto pressione anche i titoli di Stato: il rendimento dei Treasury decennali è schizzato al 2%, al livello più alto da agosto 2019.

Sui listini titoli come Tesla e Microsoft hanno perso quasi il 3% in chiusura. Apple ha lasciato sul terreno il 2,3%, Alphabet oltre il 2% e Amazon l’1,3%.

Anche le quotazioni del petrolio hanno subito contraccolpi. Nonostante le previsioni per un aumento più forte della domanda di energia, il Wti, dopo aver superato quota 91 dollari, ha virato in negativo sui timori per le mosse della Fed, per poi terminare le contrattazioni a 89,88 dollari al barile, in rialzo dello 0,3%.

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