Ignazio Okamoto ed un breve racconto di Renato Pierri

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La Notizia: Morto dopo 31 anni di coma in stato vegetativo: la storia e la sofferenza di Ignazio Okamoto e di quei genitori che per il loro “Cito” hanno fatto di tutto… L’incredibile e sofferta esistenza di “Cito”, nome con cui era chiamato Ignazio Okamoto, è giunta alla sua ultima stazione della vita: è morto quel ragazzo, oggi 54enne, che 22 anni fa dopo un gravissimo incidente sull’A22 del Brennero rimase in coma e stato vegetativo di fatto fino ad oggi… Da quel giorno di fatto non è mai più rimasto cosciente, come raccontano oggi diversi approfondimenti sul Giornale di Brescia… Venerdì scorso, l’ultimo addio e il ritorno al cielo di un “angelo” che così tanto ha sofferto (Il Sussidiario del 25 agosto). “L’incredibile e sofferta esistenza di “Cito”, scrive l’autore dell’articolo, e poi ancora nella conclusione: “che così tanto ha sofferto”. Io voglio sperare che essendo in stato vegetativo, Ignazio Okamoto non abbia sofferto inutilmente per trentun anni, che non l’abbiano lasciato soffrire inutilmente per trentun anni.Qui di seguito riporto un mio breve racconto pubblicato sul blog Rosebud il 21 agosto. Quando l’ho scritto ignoravo l’esistenza di Ignazio Okamoto, la cui storia ho appreso solo oggi dai giornali. 

Il povero cane del veterinario pazzo

Pazzo il vecchio veterinario in pensione? Sadico? Incosciente? Oppure semplicemente troppo affezionato al suo cane? Non si sa. La gente diceva che aveva perso la testa dopo il grave incidente capitato al suo amico a quattro zampe. Troppo dolore nel vederlo così mal ridotto. Completamente cieco, povero cane, le quattro zampe erano diventate tre ed erano completamente fuori uso, paralizzate. Non abbaiava più, non guaiva più, non scodinzolava più, non correva più, non faceva più i suoi saltelli di gioia. Da quanti anni lo teneva in quelle condizioni il veterinario pazzo? Non mangiava e non beveva più, il povero cane, ma il veterinario grazie alle sue conoscenze mediche, aveva trovato il modo di nutrirlo con un tubicino che dal naso gli arrivava nello stomaco. Aveva trovato il modo di impedirgli di morire, povero cane. 

Crudeltà? Non si sa. Non voleva perderlo, non gli sembrava giusto che morisse prima che diventasse vecchio. Quanti anni ancora per diventare vecchio, povero cane? Se lo accarezzava, se lo coccolava come un bambino accarezza e coccola un peluche. Ma non era un peluche, il povero cane. Non era morto, ma era come se fosse morto e non sentiva le carezze del veterinario pazzo. E neppure udiva le sue dolci parole.  Il dottore del paese, lo chiese una volta al veterinario, se non gli sembrava una crudeltà tenere per anni la bestiola in quelle condizioni.  Si era ammalato, il veterinario pazzo, e aveva chiamato il dottore a casa sua. Il medico aveva visto accanto al letto, in una sorta di culla, il povero cane disteso, immobile, aveva sentito le chiacchiere della gente sulla pazzia del veterinario e non aveva potuto fare a meno di chiedergli: «Non le sembra una crudeltà, una folle crudeltà tenere quella bestiola in quelle condizioni per anni e anni?». Ed ecco che cosa rispose il veterinario pazzo: «Voi medici non fate lo stesso con gli uomini? Non li tenete per anni e anni nelle condizioni in cui si trova il mio cane?» Il medico gli fece osservare che non poteva mettere sullo stesso piano uomini e animali. Ed ecco che cosa rispose il veterinario pazzo: «Per l’appunto, la pietà per gli uomini dovrebbe essere molto maggiore della pietà per un cane».

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