Il ‘Corona equity’ divide gli esperti

Economia & Finanza

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Fa discutere l’potesi che lo Stato possa entrare con un contributo del 49% nella compagine societaria delle aziende che chiedono la ricapitalizzazione

 

© AGF – Stefano Patuanelli

È iniziata la Fase 2 e il governo pensa a tutti gli strumenti da mettere in campo per aiutare la ripartenza. A tenere banco è il tema dei Corona Equity. Se da un lato, il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, assicura che “mettere a disposizione risorse da parte dello Stato per accompagnare l’imprenditore che vuole fare investimenti e ricapitalizzare non significa sovietizzare il nostro sistema produttivo”, dall’altro alcuni esperti del mondo economico bollano l’iniziativa come un’idea “pericolosissima e delirante” oppure come una soluzione cui ricorrere ma solo “in extrema ratio”. 

L’ipotesi allo studio del governo

L’esecutivo, tra le misure per le imprese in arrivo con il nuovo decreto, sta valutando l’ipotesi che lo Stato possa entrare con un contributo del 49% nella compagine societaria delle aziende che chiedono la ricapitalizzazione.

Per Patuanelli questo “significa mettere a disposizione dell’imprenditore, che ha nel diritto costituzionale della libera impresa tutte le possibilità di decidere la sua linea industriale, parte di capitale sociale dandogli uno strumento per aumentare il capitale della sua impresa”.

Ma non è tutto, sarebbe in arrivo infatti un vero e proprio “un mix di interventi” e non uno solo per sostenere le famiglie e le imprese, ha spiegato la ministra del lavoro Nunzia Catalfo così da “garantire la ripresa”. Lo schema è ancora allo studio e intanto il confronto nella maggioranza resta aperto. 

Da idea pericolosa a strumento necessario, le posizioni degli esperti

Ma questa ipotesi, oltre a far discutere la maggioranza fa emergere anche diverse posizioni all’interno del mondo economico. Tra gli esperti, infatti, c’è chi la definisce una idea “pericolosissima e delirante”, chi invece la reputa “necessaria” per dare liquidità alle imprese e chi apre ma solo “in extrema ratio”.      

Per Alberto Mingardi, direttore generale dell’Istituto Bruno Leoni, quella del ‘Corona Equity’ è “un’idea pericolosissima” e anche “completamente sbagliata per la tempistica” in quanto oggi il sistema produttivo italiano “ha bisogno di sopravvivere e le imprese italiane hanno bisogno di certezze. L’ultima cosa di cui le aziende hanno bisogno è che gli aiuti e i ristori che vengono dati loro siano sostanzialmente funzionali all’ingresso dello Stato nel capitale delle imprese”.     

Con la ripresa, secondo Luigi Guiso, professore all’Einaudi Institute for Economics and Finance​ di Roma, “molte aziende devono essere ricapitalizzate perché le perdite che accumulano azzerano il capitale”. Per questo motivo, la possibilità di iniettare quote di capitale nelle Pmi è qualcosa che necessariamente si deve “vagliare, bisogna trovare la modalità per farlo e la novità è che molto probabilmente le imprese saranno disposte ad accettare quote di capitale esterno e a superare la ritrosia che tradizionalmente hanno sempre manifestato.

Però – prosegue – la circostanza è talmente particolare e il fabbisogno di capitale è talmente stringente che la sopravvivenza a questo punto comporterà una decisa predisposizione delle imprese di piccole e medie dimensioni ad accettare quote di capitale esterno”.

 La proposta in campo “è una estrema ratio che va trattata con massima cautela, che può avere una sua logica in limitatissimi casi e che deve essere comunque disciplinata da certi principi”, spiega poi Fabrizio Pagani, economista ed ex capo della segreteria tecnica del Mef.

L’ipotesi è definita “interessante” da Giorgio Arfaras, direttore della Lettera Economica del Centro di ricerca e documentazione Luigi Einaudi, ma “ha un tallone d’Achille” cioè “come lo Stato prevede di uscirne? A meno che non voglia rimanere un azionista silente ‘nei secoli'”.

Le alternative degli economisti 

Lo strumento pensato dal governo non convince quindi in pieno alcuni economisti che per andare incontro alle imprese propongono delle alternative.

Secondo Mingardi se sarà necessaria una ricapitalizzazione per le aziende italiane, l’apporto di equity può arrivare dal sistema privato, ad esempio da fondi specializzati, e dare così “una mano importante ed avere un orizzonte di crescita”. Ma si tratta comunque di “decisioni decentrate, fatte da professionisti”. ​

Secondo Pagani bisognerebbe puntare sulle “detrazioni per persone fisiche e giuridiche che fanno investimenti in start up”, si tratta di “uno strumento molto potente che si potrebbe estendere a tutte le imprese. Oggi le detrazioni valgono solo per le start up, domani potrebbe valere per tutte le imprese, magari innalzando i cap all’investimento oggi esistenti. Questo mi sembra uno strumento molto più di mercato, che utilizza la leva fiscale e che non vede un intervento diretto dello Stato”. 

Invece di entrare nel capitale delle aziende, per il professor Sapelli, sarebbe “meglio aiutare le imprese con liquidità abbondante in conto capitale, negoziando alcuni obiettivi”. E insiste: “Questi sono esperimenti che non hanno alcun senso. È una cosa molto grave e pericolosa. La politica economica e la politica industriale sono tutt’altra cosa”. 

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