Il destino amaro di una decrescita infelice

Politica

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Il tradizionale scontro tra conservatori e statalisti, sia pure appartenenti a diverse obbedienze ideologiche, ma accomunati da un riflesso antiliberale, orientato alla espansione a dismisura della spesa pubblica, oggi in Italia si profila come una competizione tra populismi con venature autoritarie contrapposte.

L’alleanza attualmente al Governo, che sembra consolidarsi, è costituita da una componente antipolitica ed anticostituzionale dominante, nemica del progresso, che aspira alla decrescita felice, alleata ad un’altra post catto comunista a corto di idee e forse anche di consenso, che, ha in mente di trasformare la democrazia rappresentativa in una forma plebiscitaria di peronismo pauperista all’italiana. Il primo colpo di maglio è stato il simbolico abbattimento dei vitalizi, per poi proseguire con la distribuzione di risorse pubbliche, procurate a debito, prima a pensionati e nullafacenti, oggi da allargare, grazie all’emergenza epidemia, al mondo dei lavoratori dipendenti, sempre più in una logica assistenzialista, con la mediazione dei sindacati e con effetti disastrosi per la finanza pubblica.

La inevitabile conseguenza sarà, dopo la fuga all’estero della grande industria, di assestare il colpo mortale e finale alla già debole e tartassata classe media delle partite IVA, del commercio, degli artigiani, delle piccole imprese e principalmente dei professionisti, ritenuti pericolosi, perché forniti dell’attrezzatura culturale idonea ad organizzare una consistente forza di ispirazione liberale, che si potrebbe contrapporre politicamente all’autoritarismo dominante. I partiti di una maggioranza politica, che era stata di fatto già sconfitta dalle proprie contraddizioni e dalla ostinata guida verso le scelte scellerate dei pentastellati, sono casualmente risorti  per l’epidemia di Corona virus, che li sta rafforzando.  Un modesto Presidente del Consiglio, trovato in un angolo di spazzatura, ma spregiudicato e determinato, si è trasformato, di fronte all’emergenza, in una sorta di “ducetto con la pochette”, che ha preso ad esempio il modello della dittatura cinese e si avvia a realizzare un vero e proprio strisciante colpo di  Stato, esautorando tutte le altre istituzioni, forte anche di un solido accordo con la magistratura militante, che si pone come il braccio armato del disegno destabilizzante.

A tale pericoloso disegno si oppone, dovrei dire si opponeva, perché oggi sembra fuori gioco, una  destra di stampo conservatore, dove l’incultura è dominante ed il cui vero obiettivo in fondo non era molto diverso, perché anch’essa vocata ad un populismo gridato con l’obiettivo della gestione del potere, ma priva di un disegno politico di respiro. Essa, di fronte all’emergenza sanitaria, non ha trovato argomenti, se non quello di assumere un finto atteggiamento responsabile a sostegno delle iniziative governative per assecondare il panico e lo smarrimento diffuso nel proprio stesso elettorato, limitandosi a suonare il piffero a favore di altre elargizioni a questa o a quell’altra categoria a scopo elettorale, con il rischio di venire accontentata, come avvenne per la disastrosa proposta di quota cento, e per venire successivamente ammutolita.

In questo contesto ci sarebbe uno spazio per i liberali, che rappresentano l’altra faccia della luna, quali difensori della legge, dello Stato di diritto, del bilanciamento ed equilibrio dei poteri, di una politica di austerità che tagli subito, sempre per effetto della crisi, almeno cento miliardi di spesa pubblica inutile ed improduttiva ed investa altrettanto, o di più, possibilmente con il sostegno dell’UE, in un grande programma di infrastrutture pubbliche al Sud, individuando dieci priorità da avviare immediatamente, affidandone la realizzazione a commissari governativi ed abolendo per legge ogni formalità burocratica. Le principali direttrici dovrebbero essere la realizzazione nel Mezzogiorno dell’alta velocità ferroviaria, di nuove necessarie autostrade, di porti, di infrastrutture, con i relativi accordi commerciali internazionali per poter finalmente avviare una politica mediterranea attenta allo sviluppo delle attività turistiche e culturali, nonché alla creazione, secondo le rispettive vocazioni, di poli universitari di eccellenza.

Come non si può fare la guerra con le scarpe di cartone e le divise stracciate, non si può raccogliere la sfida della modernità senza una programmata preparazione di eccellenza per le nuove generazioni, che dovrebbe servire a trattenere i nostri giovani più intelligenti e condurre la ripresa del Paese in stretta collaborazione con la componente più vivace del mondo imprenditoriale, animata da spirito di iniziativa e sorretta dalla speciale fantasia del nostro popolo.

Di fronte ad un’Europa debole e disunita, sarebbe necessaria una completa rinegoziazione di tutta la struttura politica ed amministrativa dell’Unione, partendo dalla elezione diretta del Presidente della Commissione e dalla concessione al Parlamento di poteri legislativi effettivi. Allo stesso tempo andrebbe rafforzato il ruolo della BCE, affidandole anche il compito, oltre che di responsabile della politica monetaria, in raccordo stretto con il sistema bancario, anche il polmone finanziario per il rilancio degli investimenti e della produttività. Bisognerebbe inoltre, con rinnovato slancio unitario, pervenire in tempi rapidi ad una Costituzione agile, che separi le competenze degli Stati nazionali da quella riservata all’Unione, che dovrebbe assumere la denominazione di Stati Uniti d’Europa. Tale percorso potrebbe far ripartire il Vecchio Continente, che ne ha tutte le potenzialità e che potrebbe rappresentare la nostra difesa nel contesto mondiale per evitare l’ulteriore declino al quale ci hanno relegato gli ultimi anni caratterizzati dalla disunione, spesso divenuta ostilità, all’interno del mondo occidentale, per altro aggravata dal disimpegno americano. Infatti l’unica alternativa sarebbe quella disastrosa dello scioglimento dei vincoli e del ritorno agli anacronistici Stati Nazionali, nel quale contesto l’Italia avrebbe il destino del vaso di coccio, destinata quindi al completo fallimento, anche tenendo conto della infima qualità della classe dirigente emersa dopo la grande crisi politica emersa dopo il golpe american mediatico giudiziario dell’inizio degli anni novanta.

Essa, fuori dal più ampio contesto continentale, non potrebbe che rifugiarsi in una scelta di tipo peronista, di destra o di sinistra poco importa, perché entrambe rappresentate egualmente da ignoranti, privi di cultura istituzionale e con la vocazione verso un sistema plebiscitario di stampo fortemente autoritario.

Stefano de Luca

 

 

 

 

 

 

 

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