Il primo uomo, la memoria e la ricerca di sé sullo sfondo del Mediterraneo  

Arte, Cultura & Società

Di

di Ilaria Guidantoni

Questo approfondimento su Il primo uomo nasce da un ciclo di incontri che terrò a partire da questo venerdì 6 marzo al Circolo dei Lettori di Novara, “CAMUS, MEDITERRANEO MALINCONICO E APOLLINEO”, presieduto da Paola Turchelli, per raccontare un Camus soprattutto letterario, mediterraneo e intimo; che a partire dal romanzo autobiografico incompiuto si analizza come uomo sradicato e lacerato dalla poliedrica identità culturale e linguistica, in bilico tra le due sponde del Mar Mediterraneo: pied noir in Francia e «troppo francese» in Algeria. La memoria e il recupero dell’infanzia e della giovinezza algerina ci raccontano quanto il Mediterraneo sia stato protagonista della sua vita e del suo pensiero. “Sono cresciuto sul mare e la povertà mi è stata fastosa, poi ho perduto il mare, tutti i lussi mi sono sembrati grigi, la miseria intollerabile”, scriverà ne “Il mare da più vicino” da Diario di bordo.

Le premier homme, Il primo uomo -Le premier homme, folio, Gallimard, 1994; Il primo uomo, Collana I grandi tascabili, Milano, Bompiani, 2013. Dal libro è stato tratto il film Il primo uomo (Le premier homme) di Gianni Amelio, 2011 – romanzo autobiografico incompiuto per la morte improvvisa dell’autore il 4 gennaio 1960 in un incidente stradale insieme al suo editore Gallimard, offre l’analisi della sua storia e personalità quanto di un mondo lacerato, nutrito di contraddizioni.

Il libro esce postumo molto tempo dopo, grazie al lavoro editoriale di  Catherine Gallimard, figlia di Michel Gallimard, sopravvissuta assieme alla madre all’incidente d’auto che causò la morte del padre che era alla guida e di Albert Camus. A questo proposito ci sono state voci di una manomissione del veicolo da parte di agenti segreti sovietici.

Il testo, racconto autobiografico e insieme  affresco di una generazione di intellettuali mediterranei, è un punto di partenza a mio parere per conoscere Camus anche se in realtà  è l’ultimo dei suoi scritti. Questo libri ci consente di capire l’uomo, il suo pensiero, la sua vita e la sua posizione sociale e situarlo nel Mediterraneo di allora, attraverso alcuni confronti segnatamente con Jean Sénac dal quale siamo partiti, anche perché è stato una sorta di figlio adottivo dal quale poi è stato rigettato; d’altra parte se il poeta algerino deve molto a Camus, tanti amici sono comuni e formano una comunità intellettuale che ci aiuta a decifrare un mondo.

L’infanzia di Camus, ripercorsa nel romanzo e nel suo primo scritto, Le quartier pauvre, via del Lyon a Belcourt, è fondamentale per ammissione dello stesso Albert che tornerà sempre a quelle immagini e al silenzio che ha pesato su di lui come un macigno, tanto che le presenze femminili nei suoi scritti sono frammentarie e sporadiche (sebbene siano state una sua grande passione). Idealmente questo testo si riallaccia proprio al suo primo manoscritto, Le quartier pauvre, quello dell’infanzia.

La critica francese ha ignorato “la parte oscura, quel che in me c’ è di cieco e di istintivo”, diceva Albert Camus. Numerosi saggi gli sono stati dedicati, ma il merito della biografia monumentale (855 pagine) dello scrittore e giornalista Olivier Todd sotto il semplice titolo Albert Camus-Une vie (edizioni Gallimard) è di aver messo in luce il volto oscuro, la fragilità, le contraddizioni dell’autore dell’Homme revolté. Questo, grazie ad anni di ricerche in Francia e all’estero, a innumerevoli testimonianze raccolte direttamente e soprattutto alla corrispondenza inedita e ai carnet personali di Camus che ha potuto consultare. Definire Camus un maître à penser è riduttivo. Per capire la complessità del personaggio occorre anzitutto considerare le sue origini di umile proletario francese, nato e cresciuto in Algeria, figlio di una madre analfabeta che faceva la domestica e di un padre cantiniere, morto quando il piccolo Albert era ancora in fasce. L’ orfanello cercherà sempre “follemente quel padre che non ha avuto”. E’ un ragazzino molto intelligente. La famiglia sogna che diventi maestro di scuola. I suoi insegnanti lo incoraggiano a proseguire gli studi superiori e l’orientano verso la filosofia, benché lui si senta più attirato dalla letteratura. Ancora liceale scrive i suoi primi poemi e collabora alla rivista Sud. Durante le vacanze svolge diverse attività manuali per finanziare i propri studi. Fragile di salute, fin dall’ adolescenza subisce i primi attacchi della tubercolosi, che lo minaccerà tutta la vita. Nel silenzio schivo della madre e nella presenza ingombrante e autoritaria della nonna si forma la frammentarietà del femminile, assenza ossessiva che farà di lui un Don Giovanni, di cui parleremo nel terzo incontro.

L’itinerario intellettuale e politico di Camus è complesso. Si laurea nel 1936 con una tesi sulla “Metafisica cristiana e il neoplatonismo”, lui che non è credente o perlomeno sogna di “un cristianesimo sbarazzato da Dio”. Frattanto comincia a militare in seno al partito comunista. Sono gli anni in cui gli scioperi si moltiplicano in Algeria e la polizia coloniale spara sui manifestanti arabi. Lui sostiene i militanti del partito popolare di Messali Hadj, e così diventerà sospetto agli occhi dei benpensanti francesi, come sarà sospetto a quelli dei vichysti quando emigra a Parigi nel 1940. Si ribellerà poi contro i clichés dell’ intellighentia di sinistra, a cui appartiene. I suoi studi sembravano destinarlo a una carriera di filosofo, di cui L’homme revolté nel 1951 consacrerà la fama. La biografia di Olivier Todd ha tra l’altro il merito di chiarire i suoi ambigui rapporti con Sartre, che cominciano come una storia d’amore e finiscono con una rottura violenta. In un articolo pubblicato nell’Alger republicain Camus rende un caloroso omaggio alla Nausea di Sartre, che definisce un “Kafka francese”, autore che tra l’altro Camus non ama per quel côté fantastico, a lui che interessa l’uomo immerso nella realtà e nella quotidianità, engagé appunto non solo nel senso strettamente politico che si detta allora all’espressione, di intellettuale organico (nel senso gramsciano). Sartre lo ripagherà con un brillante saggio per l’Etranger, che contribuirà notevolmente al suo successo. Poi lo introduce nei caffè letterari di Saint-Germain-des-Près. Sono entrambi atei, Sartre con compiacimento, Camus nella perplessità. Sartre è un borghese, sicuro di sé. Camus, di origine proletaria, non ama parlare dei suoi tormenti metafisici. Il primo resterà fedele a uno storicismo marxista; ne L’homme revolté il secondo rifiuterà in blocco l’universalismo giacobino e comunista. Allora Sartre lo denuncia in un saggio velenoso, che ha il peso di una scomunica. La rottura fra i due è consumata. In realtà Camus ha sempre rifiutato di considerarsi “un genio filosofico” e si è dedicato contemporaneamente a diverse attività. Fu un originale romanziere saggista coronato dal premio Nobel di letteratura nel 1957. Giornalista polivalente, prima all’Alger republicain, poi a Combat, e pure colonna della casa editrice Gallimard. Ma la sua vera passione è sempre stata il teatro. Drammaturgo (Caligula, Les Justes), attore, regista, poco più che ventenne aveva creato a Bab-el-Oued il suo “Teatro del lavoro”, che riscosse l’ entusiasmo di un pubblico popolare. Il suo ultimo sogno fu di poter dirigere un teatro a Parigi. Si cullava in questa speranza nell’ ultimo mese della sua vita, quando si era ritirato nella sua casa di campagna di Lourmarin per lavorare a Le premier homme. E questa speranza lo rendeva allegro: “Amo la vita, amo ridere, amo i piaceri e amo te”, diceva alla bella Mi, venuta a trovarlo nella sua solitudine campestre. Il 3 gennaio 1960 André Malraux, allora ministro della Cultura, gli scrisse per annunciargli l’attribuzione di un teatro nella capitale. Ma questa lettera Camus non ha potuto leggerla.

 

Il romanzo – questa la forma narrativa – doveva essere il primo di una trilogia e solo in pochi conoscevano il progetto ma rimase incompiuto per la morte accidentale dello scrittore in un incidente stradale di ritorno dal sud della Francia a Parigi insieme al suo editore Gallimard. Il libro è stato poi pubblicato postumo solamente nel 1994 da Gallimard dalla figlia Catherine.

In premessa tengo a dire che il Camus “romanziere”, poeta in prosa nella sua Algeria, il lato meno letto e meno conosciuto ma a mio parere il più suggestivo che non può esistere senza l’altro. La prima stesura del romanzo è fortemente autobiografica e forse questo lato era destinato a sparire in quella definitiva. L’ambizione nello scritto è forte: raccontare delle persone che ha amato e dar voce a coloro ai quali la parola è sempre stata negata.

Oggi è particolarmente interessante il lato ‘nascosto’ della sua infanzia per capire l’uomo e il personaggio, la genesi delle sue idee e del suo carattere, in particolare gli ambi capitoli La ricerca del padre e Il figlio o il primo uomo.

Cominciamo dal titolo: ‘il primo uomo’ è lui stesso nuovo e unico erede del cognome di una famiglia rimasta mutilata e in quest’espressione c’è tutto il senso di responsabilità e il peso che l’autore sente rispetto alla propria esistenza. Ma anche il fatto che in Algeria ognuno  un primo uomo che torna a nascere.

Nel romanzo l’autore ripercorre la propria vita attraverso le impressioni e le emozioni del protagonista Jacques Cormery, che fino alla scuola secondaria era sempre vissuto ad Algeri, in mezzo al mare e ad un sole infuocato: desiderando di ritrovare il ricordo del padre scomparso durante la prima guerra mondiale, egli torna in Algeria per incontrare nuovamente chi l’aveva conosciuto allora. E’ il 1957 quando il protagonista del romanzo, alter ego dello scrittore Camus, fa ritorno in Algeria per visitare la madre e la ricerca del padre diventa un cammino iniziatico per cercare se stesso. Ma il suo Paese è in pieno conflitto tra il Fronte di Liberazione Nazionale e l’esercito della Francia. Egli crede nella convivenza pacifica tra arabi e francesi, ma la realtà è costituita da attentati e pratiche di tortura. Camus evoca il padre che non ha conosciuto e lungo tutto il racconto non cesserà di esprimere l’amore che nutre per un invisibile, sforzandosi di trovarne traccia, tanto che si recherà al cimitero dov’è stato interrato.

Il libro esplora i rapporti dello scrittore con la sua famiglia evocando la madre e lo zio così come la famiglia nel senso più ampio e l’ambizione originaria era di parlare dei cugini, per parlare dei fratelli e parenti, dei primi avi arrivati in Algeria per poi prendere una posizione sulla Guerra d’Indipendenza algerina ma Camus non ne ebbe il tempo.

Di questo avrebbe dovuto trattare nel secondo volume.

Camus descrive la sua giovinezza e gli ingredienti che l’hanno caratterizzata: il suo far parte dei Pieds-noirs, il doloroso amore del figlio nei confronti della madre, catalana, quasi analfabeta e silenziosa o meglio silenziata, la presenza incombente e austera di una nonna della quale la madre rimane figlia senza emanciparsi nei confronti del figlio, l’intensità fisica del suo corpo in formazione (il tutto immerso nella psicologia ampiamente disinibita della fanciullezza), la ricerca di un padre perduto; così come la condizione del periodo coloniale francese in terra africana, non sempre ospitale nei confronti degli europei ed è dal recupero della memoria che si forma il pensiero di Camus: tiraillé, déraciné tra due mondi. In bilico sul limite del burrone e come ebbe a dire lo scrittore berbero algerino. Kateb Yacine (autore del romanzo Nedjma), il tuo cognome sarà pur sempre francese.

Venendo al racconto, nel 1913, Henry Cormery, arriva da Algeri per prendere la gestione di una fattoria in un paesino vicino a Bône, accompagnato dalla moglie in procinto di partorire tanto che al loro arrivo mette al mondo Jacques. Quarant’anni più tardi ritroviamo Jacques, diventato adulto che tenta di sapere chi era suo padre, morto un anno dopo la sua nascita. Jacques si reca così sulla sua tomba a Saint-Brieuc. Poco dopo, in occasione di un viaggio ad Algeri, e ritorna a Bône sempre alla ricerca del padre. Tentativo votato allo scacco perché le trace del passaggio di suo padre sono sparite. Sua madre, che parla molto poco, non riesce a dirgli nulla di più. Jacques si ricorda dell’infanzia nella casa della nonna dove Catherine vive, dopo la morte del marito con il fratello sorto e lo zio: una famiglia analfabeta molto povera. Jacques a scuola entra in contatto con bambini di famiglie più agiate e prende gusto a studiare. Il suo istitutore nota la sua attitudine e fa visita alla famiglia per persuaderla a lascialo continuare a studiare al liceo. La nonna dopo un primo rifiuto perché conta sul lavoro del nipote per migliorare la situazione economica si lascerà alla fine convincere a lasciarlo provare a tentare l’esame per la borsa di studio. L’istitutore si rende disponibile la sera a dargli delle lezioni private con altri compagni gratuitamente. Così Jacques entrerà al liceo. La nonna ci tiene che faccia la prima comunione prima dell’entrata al liceo e gli farà seguire un corso accelerato di catechismo. Con il liceo di Algeri scopre un nuovo universo situato dall’altra parte della città, in un quartiere borghese dove si reca ogni giorno con il tramway insieme all’amico Pierre.

Il rapporto con Sénac, il Pasolini d’Algeria e altri autori

Aziz Chouaki, drammaturgo, romanziere, compositore jazz algerino che vive a Parigi dopo le minacce degli islamisti nella decennie noire, ha conosciuto personalmente Jean Sénac e ha sottolineato come Camus porti le brume e le pastoie parigine nel Mediterraneo là dove Sénac porta il sole, anche se è un sole spesso feroce come quello di Pasolini che disegna un Mediterraneo meno apollineo di quello di Camus.

In certo senso Camus affascinato da Algeri e dal suo cielo, sente l’Algeria come un altrove e resta francese. Algeri come dirà ne L’été è il paese dell’estate.

Hamid Nacer Khodja scrittore e poeta algerino, è nato nel 1953 a Lakhdaria e morto nel 2016 a Djelfa – si forma dapprima all’ENA locale, la scuola nazionale di amministrazione e, successivamente, alla Facoltà di Lettere moderne alla Sorbona e a Montpellier – racconta l’amicizia tra i due personaggi che ben conosce. Redigerà una tesi su Sénac come critico d’arte e si legherà particolarmente alla sua esperienza poetica. Scrive tra l’altro un saggio sul poeta e Camus, Albert CamusJean Sénac, ou le fils rebelle (con la prefazione di Dugas, Parigi, Éditions Paris-Méditerranée e Algeri, EDIF 2000, 2004). Egli evidenzia il valore dell’amicizia per Jean Sénac che parla di una “Trinità essenziale”, quella del suo maestro in filosofia Albert Camus; il suo maestro in poesia René Char; e il suo maestro nell’arte di vivere, il pittore Sauveur Galliéro, artista francese nato nel quartiere popolare di Bab el-oued ad Algeri nel 1914 e morto a Parigi nel 1963, da una famiglia modesta, da padre di origine italiana e madre di ascendenza alsaziana. Quest’ultimo, legato agli scrittori Mohamed Dib, Kateb Yacine, Mouloud Feraoun, dopo la guerra è tra coloro che assicurano il legame tra le comunità che vivono in Algeria. Secondo l’amico, Sénac serve da modello per L’Étranger d’Albert Camus, con il quale è compagno di studi al Liceo Bugeaud di Algeri. Questo per dire quanto stretti fossero i loro legami. Nel 1950 Galiéro riceve con Sénac una borsa di soggiorno alla Fondazione di Lourmarin, nella zona di Vaucluse, in Francia dove sarà poi Camus ad introdurlo nel circolo degli esistenzialisti.

“Il primo marzo 1947 – scrive Khodja – all’uscita da un’adolescenza febbricitante e trepidante nell’Algeri del dopoguerra dove sussistevano ancora delle tracce della sua aura di “capitale delle lettere francesi in esilio”, il poeta è ospedalizzato per una pleurite nel Sanatorio di Rivet – oggi Meftah – ai piedi dell’Atlas della zona di Blida. Lì riceve la visita di numerosi autori, riuniti nell’Association des Écrivains Algériens du mouvement algérianiste o intorno all’École Nord-Africaine des Lettres, tutti amici di Camus che è evocato continuamente per “avercela fatta” a Parigi.”

Sénac, che ha pubblicamente riconosciuto il suo debito, se non addirittura la sua filiazione letteraria, verso l’autore di Noces, prende il coraggio di scrivergli, soprattutto grazie all’insistenza di un comune amico, Sauveur Galliéro appunto, la cui amicizia con Camus risale a prima della Guerra ad Algeri quando Camus lo aveva aiutato materialmente ai tempi in cui ancora viveva ad Orano. Aveva firmato infatti la prefazione del catalogo di una delle sue esposizioni a Parigi nel 1945.

Il rapporto tra Sénac e Camus sarà molto complesso e da un’amicizia quasi simbiotica – Sénac vedrà in lui il padre che non aveva mai avuto, anche sotto il profilo del sostegno finanziario, visto che per tutta la vita il poeta algerino ebbe problemi di soldi – si arriverà al parricidio. Nella raccolta Per una terra possibile è ancora l’idillio e Camus è citato come maître de l’absolu, maestro dell’assoluto, salvo in alcune liriche, dove già trapela il dissenso.  “Nati nel mese di novembre – scrive Khodja – e morti tragicamente a 46 anni, hanno conosciuto la stessa infanzia povera e felice sotto il sole del Mediterraneo, in un quartiere popolare: rispettivamente, Belcourt ad Algeri e  Saint-Eugène a Orano. I due crescono accompagnati dall’assenza del padre – nato l’uno sotto il segno della morte, l’altro sotto il sigillo dell’ignoto – e dalla presenza affettuosa e invasiva della madre, entrambe con lo stesso sangue spagnolo e di origine catalana. Tutte e due donne delle pulizie eppure così diverse: silenziosa quella di Camus, chiacchierona e barocca quella di Sénac. Una complicità tacita tra malati, rafforzata da una comunanza di terra, un’origine straniera e una scrittura d’espressione francese. Camus d’altronde sarà il più grande commentatore e sostenitore della poesia di Sénac facendolo conoscere attraverso la rivista Empédocle diretta da Jean Vagne e di cui Camus è fondatore e membro del comitato di redazione, al pari di di René Char.”

I due personaggi, fragili di salute, crescono entrambi in un quartiere povero, multietnico, francofoni in modo quasi esclusivo entrambi, con una formazione scolastica buona e tradizionale (anche se la madre di Sénac diversamente dalla tiepida figura materna di Camus, ha sempre incoraggiato l’istruzione del figlio).

Camus nasce a Mondovi nel 1913 di origine alsaziana e spagnola; Sénac a Beni-Saf sempre nell’area di Orano nel 1926, nipote di immigrati spagnoli ma il suo rapporto con la spagna è più diretto e con la madre parla spagnolo. Fin da subito mentre Camus è lacerato tra le due identità, Sénac di sente parte di un tutto come meticcio e trova nella contraddizione una sua sintesi. L’Algeria per certi aspetti è molto vicina alla Spagna, oltre che alla Francia e alla prima per scelta e per natura. Come scrive ne L’été (Gallimard, 1959), testo che raccoglie una serie di ‘passeggiate nel Mediterraneo, di sorprendente lirismo, scrive “E’ la Spagna alla quale questa terra (l’Algeria, ndr) assomiglia di più. Ma la Spagna senza la tradizione non sarebbe che un bel deserto.” Difficile per Camus comunicare il richiamo del deserto che dichiara se uno non vi è nato non può capire; lui ci è nato, non ne può fare a meno eppure gli manca l’Europa della storia, anche se l’Algeria è come una bella donna, “se la si ama la si prende in blocco” (sue testuali parole).

Il deserto secondo Camus però è anche la prigionia di un popolo che ha voltato le spalle al mare e il suo racconto di Orano ne è emblematico, città di polvere alla quale tutto cede.

“Ci si aspetta un città aperta sul mare, lavata, rinfrescata dalla brezza serale, E, fatta eccezione per il quartiere spagnolo, si trova una città che dà le spalle al mare, che si è costruita girando su se stessa, come una chiocciola. Orano è un grande muro circolare e giallo, ricoperta da un cielo duro. All’inizio si erra nel labirinto, si cerca il mare come il filo d’Arianna. Ma si gira in tondo nelle vie bestiali e opprimenti e, alla dine, il Minotauro divora gli abitanti di Orano: à la noia. Dopo molto tempo, gli abitanti di Orano non errano più. Hanno accettato di essere mangiati. Non si può sapere cosa sia la pietra senza venire ad orano. In questa città polverosa tra tutte, il ciottolo è il re”.

D’altronde per Camus, lo vedremo poi in modo più approfondito nel capitolo dedicato al tema, il Mediterraneo sognato è quello greco non quello arabo (diversamente da Sénac).

Il mare che confina con il deserto è aspro, inghiotte l’uomo.

Lo stesso Sénac parla di una felicità che è feroce da queste parti, di un mare che prende alla gola e non lascia più, di un’amicizia dura con il sole che brucia, divora, come quello di Pier Paolo Pasolini in Le ceneri di Gramsci (1957).

Entrambi allievi brillanti, per l’insofferenza alla routine rinunciano ad insegnare (Sénac lo farà per un breve periodo per potersi mantenere).

Il Mediterraneo, occidentale, solare, dove si è ferocemente felici per Sénac,  pur essendo per Camus apollineo, richiama in terra algerina la ferocia, l’idea di una felicità che si brucia in fretta, che ti si attacca alla gola e le espressioni nei due testi sono molto simili.

In fondo il Mediterraneo con le sue contraddizioni è l’unico elemento per entrambi di ‘composizione’: il letto coniugale per Sénac e il luogo della ricerca della misura per Camus. Solo che poi interviene la guerra, uno spartiacque che fa male a entrambi: nulla sarebbe stato più come prima e le posizioni dei due autori divaricano nel tempo come le forbici fino alla rottura.

Analisi comparata con Ebauche du père

  • Romanzo incompiuto, del quale faceva leggere ampi stralci a pochi amici cari e a Jean Miel, come scrive nello stesso testo. Il progetto era molto ambizioso perché era ispirato come nella ricerca dalla Recherche proustiana, autore che per altro aveva trovato noioso e non aveva finito di leggere, pensato in 7/9 volumi mentre resterà sostanzialmente incompiuto. Lo scritto però si fermò alla prima tappa e quel sottotitolo pour enfinir avec l’enfance, “per finire” o “per farla finita con l’infanzia”, resta in sospeso.
  • Il padre è il grande fantasma anche se in questo caso è nato bastardo e il padre è una presenza ingombrante, un vuoto che è come un oggetto appuntito sotto la pelle e non amato ma per il quale prova una strana attrazione: è il Cristo rispetto al Padre; è un violentatore ma incredibilmente bello nel suo immaginario. Un romanzo intitolato al padre come Il primo uomo ma dove domina la figura della madre: cattolica, modesta, analfabeta, donna delle pulizie, innamorata del figlio.
  • La madre: Silenziosa quella di Camus succube della madre; chiacchierona, esuberante, contraddittoria quella di Sénac che sintetizza alcuni caratteri della madre e altri della nonna di Camus. Presenze in qualche modo invasive ma non risolutive.
  • L’infanzia che per entrambi è stata felice malgrado la povertà.
  • Un’adolescenza di iniziazione ai piacere del corpo controversa, in Sénac con un grande senso di colpa, con un forte retaggio cattolico, mentre Camus sembra più autonomo dal modello materno. Sénac è più trasgressivo ma più gioioso. Camus, lo vedremo poi nel terzo incontro, ebbe un rapporto complicato con il mondo femminile.
  • L’Algeria per entrambi è una regione di confine con la Spagna, assonanza che per Camus è più forte. Per Camus gli Algerini sono una razza bastarda formatasi da incroci brutali e che ha dato grandi risultati. Una terra che è simbolo dell’estate, un richiamo del quale non si può fare a meno anche se non c’è un’identificazione con la madre patria algerina; mentre Sénac si sente algerino, quindi francese, spagnolo, ebreo, costruttore di minareti, mozabite… e chiede di essere sepolto in Algeria da algerino.
  • L’ambiente è legato al tema del mare, protagonista e amore indiscusso; il sole che brucia e che è anche violento; la natura arsa: il cactus, l’asfodelo in Camus; il cardo e il diss in Sénac.
  • La prosa ha molti punti in comune: un francese impeccabile, ammorbidito dalla mediterraneità, un fraseggio ricco e poetico: più rigoroso e consequenziale in Camus, che ha una formazione filosofico-giornalistica; folgorante, onirica, fino al non-sense nel poeta Jean Sénac. Sulla scrittura di Camus voglio sottolineare, tornando al punto di partenza quanto diversa sia nei testi teatrali, nei saggi e nei romanzi, dove ci si dimentica per certi aspetti il suo esistenzialismo.
  • La riflessione di Camus è tutta orientata sulla condizione dell’uomo, a partire dalla propria, che partendo dall’assurdo, trova uno sbocco nella rivolta e, partendo dalle passioni mediterranee, è approdato a un umanismo inquieto. “Io mi rivolto dunque siamo”. Là dove in Sénac c’è uno slancio dionisiaco, romantico, estremo. Per Camus Promoteo è il simbolo dell’uomo che porta a livello degli uomini tuoni, fulmini e fuoco simboli divini ed è il simbolo della fiducia nell’uomo.
  • Sul tema politico la riflessione di Camus è più articolata tutta orientata sull’uomo (in questo il recupero di Nietzsche è superiore a Hegel e Marx): il superamento del nichilismo avviene quando negli Anni Quaranta si rende conto che il delitto e la tortura sono pratiche abituali e Camus non può accettarlo ma nemmeno può accettare la giustificazione della violenza, con la lotta o la mitizzazione degli sconfitti. Non si può non sperare che i proletari un giorno siano liberati dalla loro condizione.

Anticipando il prossimo capitolo: in entrambi gli scrittori il Mediterraneo è protagonista, apollineo e dionisiaco e nella sua contraddizione offre anche una possibilità di conciliazione tra luce e ombra, terra solida e liquidità mutevole. 

L’orizzonte mediterraneo. Il cosiddetto pensiero solare di Camus, da lui stesso definito così, si forma proprio nell’ambiente nel quale cresce e che resterà sempre nel suo cuore. Ne L’été descrive il desiderio di tornare a Tipasa, in Algeria, paese delle estati. La voglia di “revenir sur les lieux de sa jeunesse et de vouloir revivre à quarante ans ce qu’on a aimé ou dont on a fortement joui à vingt. Mais j’étais averti de cette folie….J’éspérais, je crois, y retrouver une liberté que je ne pouvais oublier…” Questo luogo pieno di ricordi, divorato dalla luce. Poi dopo quindici anni tutto è cambiato. “Mais les ruines étaient maintenant entourées de barbelés et l’on ne pouvait y péneterr que par les seuils autorisés….Je ne pouvais, en effet, remonter le cours du temps, redonner au monde le visage que j’avais aimé et qui avait disparu en un jour, longtemps auparavant”. C’è l’impotenza di ritornare alle origini che sono anche origini mitiche, il ritorno all’innocenza, quando si ignorava l’esistenza della morale. Però non c’è un ripiegamento sulla nostalgia né mitizzazione alcuna. Nel Diario di bordo di Camus, la descrizione del viaggio in nave a New York che è soprattutto cielo là dove l’Algeria è soprattutto mare.

Ad  Albert Camus

Che mi trattava da tagliagole

Io, dice il Poeta

le mie mani rimestano nella melma

all’affusto degli astri estinti.

C’è un altro mezzo di

condurli alla superficie,

di farne dei diamanti,

di irraggiare i vetri opachi?

Chi ci laverà, dice il Maestro dell’Assoluto[1]

quale Mediterraneo contro tanto fango

….(Conclusione)

Il Maestro dell’Assoluto

verso il guado dello Zarqa rideva sotto il naso dell’Amico

Custodiva le sue mani pure (iceberg!)

mentre il Poeta scriveva nella frenesia

e il Poeta l’amava.

Parigi, 1-15 settembre 1956 

OPERE

(selezione delle principali legate ai temi trattati in questo ciclo di incontri, alle quali si aggiungono la produzione teatrale (Caligola) e la corrispondenza (con Jean Grenier e René Char ad esempio). 

Romanzi

  • Lo straniero(L’Étranger, 1942)
  • La peste(La Peste, 1947)
  • Il primo uomo(Le Premier Homme, incompiuto, pubblicato postumo Trad. Ettore Capriolo, Bompiani 1994, Collana Classici contemporanei, Bompiani, 2020

Racconti

  • L’esilio e il regno (L’exile et le royaume, 1957), traduzione di Y. Mélaouah, Milano-Firenze, Bompiani, 2018 [1959, Bompiani].[raccolta di 6 racconti] 

Saggi

  • Nozze(Noces, 1938)
  • Miseria della Cabilia, prefazione di Laura Barile; traduzione di Marco Vitale, Torino, Aragno, 2012,  [reportage del giugno 1939]
  • Il mito di Sisifo(Le Mythe de Sisyphe), Parigi/Milano, Gallimard/Bompiani, 1942/1947.
  • L’uomo in rivolta(L’Homme révolté), Parigi/Milano, Gallimard/Bompiani, 1951/2002.
  • L’estate(L’Été, 1954)(si apre in una nuova scheda)

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