Il raccolto arriverà

Arte, Cultura & Società

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Di Daniela Piesco

Dopo aver visto il film Nomadland non posso fare a meno di ricordare le diverse chiavi interpretative che furono date alla grave crisi economica che colpì gli Stati Uniti d’America da altri registri e scrittori .

È notorio che alla fine degli anni Venti il mondo sembrava avviato a superare i traumi della Grande Guerra, perché i rapporti fra le potenze mondiali attraversavano una fase di distensione e “il problema tedesco” sembrava avviato a una soluzione equilibrata soprattutto in seguito al Patto di Locarno del 1925.

Ma in questo quadro di apparente stabilità politica e sociale, nel 1929 si abbatté, prima negli Stati Uniti e poi nel mondo intero, una crisi economica tanto imprevista quanto catastrofica destinata a cambiare le sorti del Novecento.

Quella che avrebbe preso il nome di Grande Depressione, fece sentire i suoi effetti sia sulla politica che sulla cultura del tempo influenzando così lo sviluppo storico delle società occidentali. Sconvolse i vecchi assetti, accelerò le trasformazioni già in atto e mise in moto una catena di eventi che avrebbero presto portato a un nuovo conflitto mondiale.

La vita sulla strada divenne una scelta obbligata per tantissime persone,così come raccontato nel film ‘Furore’: migliaia di contadini furono costretti a caricare su camion sfasciati tutto quel che potevano salvare delle loro esistenze e a spostarsi verso Ovest dalla Grande Depressione degli anni ‘30.

Ma Tom Joad e la sua famiglia, protagonisti del film assieme agli ‘ altri’ come loro, avevano una mèta, una terra promessa. Sulla strada riuscivano a costruire comunità solidali. Erano consapevoli di chi li avesse cacciati dalle loro case, conoscevano i loro nemici e da quella consapevolezza ricavavano un’identità comune.

Nel capolavoro epico tratto dal romanzo, John Ford riuscí a restituire precisamente quel senso di comunità flagellata ma non vinta, disperata ma reattiva.

Nel film Nomadland della regista asiatica Chloé Zhao, non c’è più nulla di tutto questo.

I personaggi vengono rappresentati come nuovi schiavi da strizzare e poi buttare quando inutili. Essi non vanno mai oltre la rassegnazione.

Nomadland si basa sul libro-inchiesta della giornalista Jessica Bruder che, per scrivere le storie degli americani ,in larga misura anziani cacciati dal mercato del lavoro dalla Grande Recessione del 2007-09, e di conseguenza rimasti anche senza un tetto ,ha passato mesi vivendo come loro su un camper, seguendo le loro rotte da un lavoro occasionale all’altro.

La grande recessione fu come e oltre il 1929.

Esplose nel paese più avanzato del mondo ,gli Stati Uniti, e si diffuse con straordinaria rapidità in gran parte del globo e si caratterizzó principalmente per la contrazione delle attività produttive, degli scambi e dei consumi, per la crescita consistente del debito pubblico, per i tassi elevati di disoccupazione, per l’ impoverimento delle classi medie e il conseguente au­mento della povertà assoluta con un netto acuirsi delle diseguaglianze.

Eppure c’era chi, come Paul Claudel (www.paulclaudel.wikipedia)che in una situazione siffatta immaginava che se qualche finanziere si lanciava dalla finestra, lo faceva nella ingannevole speranza di rimbalzare.

E ciò a sottolineare il segreto di una nazione e della sua gente, capace da sempre di reinventarsi da zero, di darsi una seconda chance, di eleggere un presidente nero contro ogni previsione, di rimettersi in cammino anche dopo che la più grave recessione del dopoguerra aveva travolto la vita di milioni di persone

Piuttosto Mario Calabresi nel suo libro “la fortuna non esiste” raccontó le storie di chi rifiutó di arrendersi dopo che la recessione lo aveva costretto a vendere la casa in cui viveva e a partire per chissà dove, portando il lettore in un viaggio nel cuore di chi cade e trova la forza di rialzarsi. Magari con fatica, con dolore, ma con tenacia incrollabile e soprattutto senza aspettare la fortuna.

Perché il raccolto arriverà

Abbiate pazienza.

In particolare in un capitolo del libro di Calabresi, intitolato appunto “il raccolto arriverà”, venne descritta la storia di Pittsburgh in Pennsylvania. Proprio nella periferia di quel centro urbano, era situato un quartiere chiamato Braddock, la cui economia era basata sull’esistenza di un’acciaieria. Dopo il fallimento dell’industria siderurgica nel ’50, la città si trasformó in un vero e proprio deserto.

Se a questo aggiungiamo che negli anni ’80 il crack ci ha messo, per così dire, il carico da novanta ecco che Braddock diventa una specie di città fantasma.

Un’epopea del declino, un esodo infernale che però è stata raccontata da Mario Calabresi attraverso gli occhi di Vicky Vergo, la bibliotecaria che, armata di tanta passione, non ha voluto arrendersi al destino di una cittadina che il tempo ha coperto di polvere forse con troppa cattiveria, attraverso la tenacia del sindaco John Letterman (che a far rinascere la città ce la sta mettendo proprio tutta) e Mayor John, che tenta di rimettere in sesto i pezzi di un puzzle ormai andati perduti.

Allegria, tristezza, inventiva ,desolazione ma mai rassegnazione.

A Fern, la protagonista interpretata da una straordinaria Frances McNormand, viene offerto un tetto in diverse occasioni. Lo rifiuta sempre, senza spiegazioni. Ma nulla indica che lo faccia perché preferisce il senso di libertà o lo sradicamento e la conseguente apertura a ogni eventualità che la strada offre. Vedova, senza lavoro, proveniente da una città uccisa dalla chiusura della fabbrica che la sostentava, senza più casa, sembra piuttosto che Fern non voglia più cercare niente, non intenda neppure immaginare un’altra vita oltre il ricordo di un passato perduto.

Un’opera che trasforma la strada e gli spazi sconfinati da luogo delle possibilità inesauribili in un cimitero degli elefanti dove si può solo aspettare la fine.

Dove non arriverà nessun raccolto.

Daniela Piesco Vice Direttore Radici

www.progetto-radici.it

Redazione@progetto-radici.it

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