Il ruolo degli “altri” nelle nostre vite imperfette Intervista ad Aisha Cerami

Teocrazia e Cristianità oltre Tevere

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Esiste un condominio ideale in cui tutti i residenti vivono pacificamente e in armonia? Il Roseto è una palazzina circondata da siepi fiorite in cui i suoi abitanti non perdono occasione per incontrarsi, scambiarsi consigli, ricette. Alla base di questa convivenza vi sono regole ferree da rispettare, capaci di garantire efficacemente il quieto vivere di ogni condomino. Improvvisamente muore la signora Dora e il suo appartamento viene occupato da tre nuovi inquilini: una coppia con figlio tredicenne a seguito. Il loro arrivo sconvolgerà la quiete e gli equilibri sui quali era basata fino ad allora la convivenza al Roseto. Tutti gli abitanti verranno investiti da un inaspettato grigiore, rancore. Emergeranno inaspettati conflitti, screzi invidie e inimicizie.

Con questo romanzo intitolato “Gli Altri” (Rizzoli), Aisha Cerami affronta con ironia la tematica dell’intolleranza tra vicini inducendoci a riflettere sulle “maschere” costruite ad arte e che indossiamo per non mostrarci per quello che siamo. Lo facciamo per paura dell’occhio critico altrui e per non rivelare quello che siamo davvero. Non esiste la “vita perfetta”, né tanto meno la convivenza senza litigi. La Cerami ci insegna che “gli altri” ci servono come specchio della realtà. Attraverso gli altri facciamo emergere lati del nostro carattere e del nostro vivere che spesso nascondiamo come fanno i personaggi di questo romanzo. Essi temono la realtà e la verità cruda e amara.

“Gli Altri” è un romanzo corale che trascinerà il lettore che si ritroverà a leggerlo tutto d’un fiato per seguire le vicissitudini di ogni personaggio ben delineato psicologicamente dalla Cerami. Dei personaggi del suo romanzo, del rapporto tra vicini e delle pesanti “maschere” che si indossano nelle relazioni interpersonali ci parla Aisha Cerami in questa esclusiva intervista.

Com’è nata l’idea di creare Il Roseto un posto all’apparenza pacifico e perfetto per il suo primo romanzo?

Avevo voglia di far parlare i miei personaggi. Di farli scontrare, mentire, architettare, amare. E volevo che tutto accadesse attraverso la comunicazione. Mi sono immaginata come la luce di un palcoscenico, il cosiddetto occhio di bue, a seguire gli attori e a spiarli. Ecco io ho sbirciato tra le pieghe dell’umanità, ho rubato dei momenti intimi, o trascritto scene di convivialità, ho raccontato chi possiamo essere o chi non vorremmo mai essere. Il condominio mi era parso il luogo più adatto.

Come mai la scelta di un romanzo corale?

La coralità è necessaria quando si vogliono mettere in luce i dialoghi. Solo due o tre personaggi non avrebbero avuto lo stesso impatto. Troppo pochi per raccontare le nostre ombre e le nostre bellezze. Una comunità invece racchiude tutto. Ecco perché tredici personaggi. Vero è che poi ne seguo soprattutto tre, per aiutare il lettore a non perdersi tre le numerose personalità.

I personaggi del suo romanzo attraverso “gli altri” sono portati a riflettere sulle proprie esistenze non perfette. Quanto l’Altro nella vita quotidiana ci fa da specchio secondo lei?

Chi non ci somiglia ci mette in crisi, soprattutto se con quella persona tanto diversa dobbiamo, in un modo o nell’altro, farci i conti. La diversità, quando ci entra in casa, crea diffidenza, cautela, scompiglio, perché nella diversità noi vediamo il rifiuto. Come se chi non rispetta le nostre abitudini, le regole, ci stesse puntando il dito contro. Come se ci stesse giudicando. E questo, vero o falso che sia, ci mette in crisi, perché nessuno ha voglia di guardarsi dentro e di rivedere le proprie priorità, o le proprie debolezze. Da qui il grande dilemma dell’intolleranza, che tanto ci accomuna.

Perché il confronto con gli altri fa paura così come accade ai personaggi del suo romanzo che preferiscono indossare delle maschere piuttosto che rivelarsi per quello che sono realmente?

 

 

Il confronto con gli altri fa paura quando non siamo in grado di confrontarci con noi stessi. Se rifiutiamo le nostre paure, le nostre ombre, non saremo mai in grado di metterle in bella vista. Saremo portati invece a nasconderle, a rimuoverle. Ecco perché, nel mio romanzo, i personaggi evitano di mettere in piazza le proprie “meschinità”. Perché le rifiutano. Le chiudono dentro casa.

C’è un personaggio del suo romanzo al quale è più affezionato rispetto agli altri e perché?

Difficile per me avere preferenze. I personaggi sono come figli. Ami anche quelli cattivi. Li denunci se è necessario, li punisci, li redarguisci, ma li ami sempre e comunque. Posso dire di essere fiera di un ragazzino libero e vitale, e di una donna, che alla fine si libera dal male. C’è anche un uomo tra i miei personaggi che mi diverte molto; è nevrotico, infelice, soffocato, eppure…

La convivenza pacifica tra vicini è realtà o utopia?

La serenità in una comunità qualsiasi dipende molto da quanto gli abitanti abbiano voglia di ascoltare l’altro. Di empatizzare. Di mettersi in gioco. Di cambiare idea. Se solo si capisse quanto è importante cambiare idea, allora vivremmo tutti molto meglio. L’elasticità mentale, la capacità di non rimanere ancorati alle proprie abitudini, il coraggio di rischiare, di condividere, sono capacità rare, spesso ostacolate dalla paura. Ma sono fiduciosa. Il grande dialogo che i social ci hanno organizzato, forse, in un modo o nell’altro, nonostante l’apparente ostilità, ci spronerà a una costante riflessione e a un miglioramento. Utopia? Mai smettere di sperare, altrimenti si muore.

Su cosa dovrebbe basarsi questa convivenza pacifica secondo lei?

Si può convivere serenamente se si smette di giudicare l’altro come inferiore. Se avessimo in coraggio di guardare in faccia le nostre ombre, allora ci accorgeremmo di essere tutti uguali nella complessità. E questo ci porterebbe di certo alla comprensione, all’empatia e quindi a una buona convivenza.

Tra i suoi personaggi vi è Romana che subisce violenza fisica e psicologica da suo marito.  In vista del mese di novembre dedicato alla lotta contro la violenza sulle donne, quale messaggio vorrebbe trasmettere alle tante donne che come Romana che non hanno il coraggio di denunciare i propri carnefici?

Il tema sulla violenza sulle donne è una tema a me caro. Difficile mandare un messaggio senza scivolare nella banalità. Potrei dire che bisogna avere il coraggio di denunciare, ma già lo sanno. Quello che non sanno, fino in fondo, è che non è colpa loro.

Non è colpa vostra, donne splendide, se il vostro uomo vi fa del male. Non è colpa vostra se lo accettate, non è colpa vostra se non riuscite a reagire, non è colpa vostre se lo amate ancora.

Non è colpa vostra.

Mariangela Cutrone

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