Il sottotetto è comune fino a prova contraria

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Alcuni condòmini agiva in giudizio per sentir accertare e dichiarare dal Tribunale la natura condominiale di un sottotetto dell’immobile. La domanda veniva accolta in primo grado, con sentenza confermata dalla Corte d’Appello, la quale rilevava che, effettivamente, il contestato vano avesse natura e destinazione condominiale, senza che fosse stata provata l’esistenza di un titolo idoneo in senso contrario da parte dell’appellante tale da riscontrare la sua funzione pertinenziale rispetto all’immobile di proprietà esclusiva di quest’ultimo.

La Corte di Cassazione, pronunciandosi definitivamente sulla controversia con ordinanzan. 3310 del 5 febbraio 2019, ha confermato la sentenza della Corte d’appello, ribadendo la natura condominiale del vano sottotetto in questione.

Scatta la presunzione di comproprietà senza prova contraria. Secondo i Giudici di legittimità, non è stata fornita la prova dell’esistenza di alcun titolo dal quale desumere l’eventuale proprietà esclusiva del sottotetto. Tale bene, invece, era risultato di fatto strutturalmente destinato ad un servizio o ad un’utilità comune per la collettività condominiale di cui fanno parte i controricorrenti quali condomini.

Quando un bene può dirsi comune? Il ragionamento dei giudici di merito è dunque corretto e conforme all’univoca giurisprudenza della Cassazione, secondo la quale, in tema di condominio negli edifici, per tutelare la proprietà di un bene appartenente a quelli comuni, non è necessario che il condominio dimostri con il rigore richiesto per la rivendicazione la comproprietà del medesimo.

È infatti sufficiente, per presumerne la natura condominiale, che il bene abbia l’attitudine funzionale al servizio o al godimento collettivo, e cioè sia collegato, strumentalmente, materialmente o funzionalmente con le unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini, in rapporto con queste da accessorio a principale.

Spetta al condomino che ne affermi la proprietà esclusiva darne la prova (onere, nel caso di specie, non assolto dalla ricorrente), senza che, peraltro, a tal fine sia sufficiente l’allegazione del suo titolo di acquisto ove lo stesso non contenga in modo chiaro ed inequivocabile elementi idonei ad escludere la condominialità del bene.

La soluzione del caso. Nella fattispecie in esame, la Corte d’appello ha anche spiegato adeguatamente l’ininfluenza a fini probatori del regolamento condominiale e delle cc.dd. schede alloggi, poichè tali documenti non potevano sortire alcuna rilevanza sul piano degli effetti traslativi di immobili. Allo stesso modo i giudici hanno ritenuto irrilevanti le previsioni del regolamento condominiale in cui sono, in linea essenziale, riportate le tabelle millesimali necessarie per la ripartizione delle spese condominiali tra i singoli condomini.

Niente da fare, quindi, per la ricorrente, che dovrò anche pagare le spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi euro 4.200,00, oltre accessori.

Giuseppe Nuzzo

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