Il titolo della discordia

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Il quotidiano Libero, il 23 gennaio 2019, titola sulla prima pagina: “C’è poco da stare allegri. Calano fatturato e PIL ma aumentano i gay”. Una scelta che ha suscitato l’indignazione generale visti i toni omofobi e la mancanza di nesso tra i due fatti.

Nell’editoriale di oggi, il direttore Pietro Senaldi ha provato a spiegare il perché di questo titolo: “Ci fanno notare: che nesso c’è tra il calo del fatturato e del Pil e l’ aumento dei gay? Nessuno diretto, e infatti nella titolazione non abbiamo legato le due notizie con un rapporto causa-effetto. Abbiamo scattato una fotografia del Paese, specificando nel sommario che l’Italia è economicamente a terra e gli omosessuali sono gli unici a non sentire la crisi, tant’è che aumentano”; ma continua comunque a mancare una spiegazione razionale. Il direttore si dice rattristato dal fatto che la notizia più importante, ossia quella riguardante l’aspetto economico, sia passata in secondo piano rispetto a quella omofoba.

Questo titolo ha creato una quantità enorme di critiche specie da parte del Movimento 5 Stelle che ha minacciato di tagliare i soldi pubblici ai quotidiani come Libero; infatti il sottosegretario con delega all’Editoria Vito Crimi scrive così in una nota: “Provo disgusto per il titolo del giornale Libero. Un giornale che riceve soldi pubblici che prima pubblica titoli razzisti contro, poi oggi anche omofobi. Avvierò immediatamente una procedura interna per vagliare la possibilità di bloccare l’erogazione dei fondi residui spettanti a un giornale che offende la dignità di tutti gli italiani e ferisce la democrazia”. Lo stesso ribadisce Luigi di Maio con un tweet: “Abbiamo fatto bene o no a tagliare i fondi a giornali del genere?”.

Intanto, in questo mare di indignazione, il principale sponsor del quotidiano, Ristora, ha deciso di ritirare a pubblicità come ha dichiarato l’europarlamentare dem Daniele Viotti.

Questo episodio dovrebbe far riflettere su due questioni: fino a che punto la libertà di stampa e di opinione sono concesse? Chiunque può esprimersi nel modo in cui crede più opportuno, nonostante sia palese agli occhi dei più la faziosità e l’offese ad una comunità, quale quella omosessuale, che già presenta numerose problematiche relative all’omofobia.

Il secondo punto è: può lo stato, decidere di tagliare fondi ad un quotidiano che non esprime un’idea in linea con quella del governo o con quella della maggioranza? La censura può essere la risposta giusta? Libero è conosciuto per essere una testata che frequentemente usa le notizie eclatanti come marchio di fabbrica, per aumentare la loro salienza ma anche la notiziabilità; annunci che spesso sono opinioni, discutibili, ma pur sempre opinioni. Un titolo del genere non è una novità (“Ai meridionali 3 cariche istituzionali su 4. Comandano i terroni”, 11 gennaio 2019, “Lo hanno portato gli immigrati. Torna il colera a Napoli”, 4 ottobre 2018) per un giornale che vive e si nutre anche di queste polemiche, portando un’importante ondata di popolarità. Ne sono infatti derivate ospitate nei talk show, e nei programmi di approfondimento politico e culturale, che hanno contribuito ad accrescerne la rilevanza.

Condannare, tagliando i fondi ad un quotidiano che, nonostante tutto, dice ciò che dice in virtù della libertà di stampa, potrebbe non essere una soluzione poiché vittima dunque di una cappa censoria che tiene fuori gli altri giornali. Ma lo stesso trattamento potrebbe essere riservato a qualunque testata per qualsiasi motivo. Dunque sarà questa la soluzione migliore?

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