Il Venezuela e l’ambiguità italiana

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Dal momento dell’autoproclamazione di Juan Guaidò (presidente dell’Assemblea Nazionale e leader dell’opposizione) come presidente ad interim del Venezuela, il 23 gennaio scorso, l’equilibrio mondiale è in bilico. La causa? Il riconoscimento o meno del nuovo presidente. Gran parte delle potenze europee hanno riconosciuto pubblicamente Guaidò ma l’Italia continua a tergiversare.

Se idealmente questa vicenda poteva rimanere confinata all’interno degli affari interni venezuelani, nella pratica, un tale ‘golpe’ non poteva che suscitare la reazione delle due principali potenze mondiali: Russia e Stati Uniti. La prima accusa Washington di aver architettato il colpo di stato contro un fedele alleato del Cremlino, mentre la seconda ha risposto duramente riconoscendo sin da subito Guaidò ed imponendo sanzioni alla compagnia petrolifera di stato (la PDVSA- Petròleos de Venezuela). È proprio da questo primario schieramento che le potenze mondiali hanno iniziato a posizionarsi: l’Ue aveva posto un ultimatum di 8 giorni volto alla convocazione di nuove elezioni (l’immediata risposta del ministro degli Esteri Jorge Arreza è stato di rifiuto: “Nessuno può dirci se le elezioni vanno convocate oppure no. Chi siete voti per lanciare un ultimatum ad un governo sovrano?”). A seguito della sua scadenza Francia, Spagna, Portogallo, Olanda, Austria, Regno Unito e Svezia hanno riconosciuto Guaidò come presidente. Ciò che Maduro contesta è l’interferenza degli stati europei negli affari interni di un altro paese: “Perché l’Unione europea deve dire a un Paese del mondo che ha già condotto elezioni che deve ripetere le presidenziali, perché non sono state vinte dai loro alleati di destra?”. Ai paesi europei si sono aggiunti Israele, Canada, mentre sono del parere contrario Cina e Turchia. Evidente è lo schieramento dei paesi mondiali in base alla propria sfera d’influenza sulle tracce lasciate dalla Guerra Fredda.

Il tempestivo schieramento europeo ha sollevato l’immediata critica del Cremlino, espressa dal portavoce Dmitrij Peskov  che sostiene come: “Il tentativo di legittimare l’usurpazione del potere, lo reputiamo un’interferenza diretta e indiretta negli affari interni al Venezuela”.

L’Italia ancora una volta è indecisa e per in momento non si schiera ufficialmente nonostante le compagini di governo si siano espresse in modo discordante: la Lega si dice disposta a sostenere l’Ue contro Maduro (“ultimo dittatore di sinistra, che governa con la forza e affama il suo popolo”), mentre il M5S vuole mantenere una posizione neutrale (“Ci vuole coraggio a mantenere una posizione neutrale in questo momento, lo so. L’Italia non è abituata a farlo. Ci siamo sempre accodati in modo vile agli “esportatori di democrazia. L’Europa dovrebbe smetterla una volta per tutte di obbedire agli ordini statunitensi” Alessandro Di Battista).

Anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella interviene ammonendo il governo giallo-verde: “Non ci può essere né incertezza né esitazione nella scelta tra la volontà popolare e la richiesta di autentica democrazia da un lato e dall’altro la violenza della forza”.

Dunque la situazione si mostra calda per gli alleati di governo che ancora una volta si trovano a fare i conti con la politica del reale, fatta di decisioni, che esula dalle promesse populiste volte a catturare l’elettorato. Riconoscere o no Guaidò può determinare un importante precedente per il governo del cambiamento e la sua legittimazione esterna: sia agli occhi delle potenze mondiali, dimostrando di avere la capacità di tenere una linea politica certa; sia così allineandosi con la sfera russa o con quella statunitense. Si pone però un ulteriore problema di natura interna: il governo continua ancora a mostrare i limiti di un’alleanza improbabile poiché basata su presupposti ideologici, valoriali e simbolici contrapposti. La soluzione probabilmente sarà nella prevalenza di una delle due compagini di governo e, se si conferma la tendenza alla continuità, allora potrebbe prospettarsi l’appoggio della linea leghista.

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