In Libia milizie schierate e il voto si allontana

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Nuove incertezze sulle elezioni in programma per il 24 dicembre  

© YOAN VALAT / POOL / AFP 
– Il presidente del Consiglio presidenziale, Mohammed Al-Manfi

Milizie armate hanno circondato nella notte tra mercoledì e giovedì gli uffici governativi a Tripoli e sono state avvistate in diversi quartieri della capitale libica: una dimostrazione di forza che getta nuove incertezze sulle elezioni in programma il 24 dicembre, mentre si moltiplicano le voci di rinvio. Il leader della Brigata al-Samoud, Salah Badi, originario di Misurata, ha dichiarato che le elezioni non ci saranno.

Per la prima volta, un funzionario dell’Alta commissione elettorale, ha ammesso che sarà “impossibile” votare il 24 dicembre, confermando il timore che circola da settimane. Anche quelle del capo della commissione Interni della Camera dei rappresentanti, Sulaiman Al-Harari, sembrano dichiarazioni di resa: tutti i segnali portano al necessario rinvio delle elezioni, ha avvertito chiedendo al capo dell’Alta commissione elettorale di ammettere di non essere in grado di organizzare le elezioni.

La mobilitazione dei gruppi armati sotto l’autorità di varie forze militari e di sicurezza a Tripoli “è avvenuta – ha spiegato una fonte militare alla France Press – poche ore dopo che il generale Abdelkader Mansour si è insediato come nuovo comandante militare della regione di Tripoli su ordine del Consiglio presidenziale”.

Mercoledì il Consiglio, massima autorità esecutiva e ufficialmente alla guida degli eserciti, ha licenziato il generale Abdelbasset Marouane, titolare di questo incarico da diversi anni, per sostituirlo con Mansour.

Le immagini diffuse dai media e sui social hanno mostrato diversi veicoli militari e decine di uomini armati, presentati dalla stampa locale come vicini al generale Marouane, attraversare le principali arterie di Tripoli per poi prendere posizione all’interno del perimetro della sede del governo e in prossimità di altri edifici istituzionali. E’ probabile che il presidente del consiglio presidenziale, Mohammed al Menfi, sia stato trasferito su sua richiesta in un non meglio precisato luogo sicuro.

La fonte militare ha minimizzato l’accaduto, attribuendolo ad un’azione volta garantire la sicurezza delle istituzioni statali e ha negato che i gruppi armati avessero circondato gli edifici governativi.

La capitale libica è sotto il controllo di una miriade di gruppi armati affiliati ai ministeri della Difesa – portafoglio senza ministro – e dell’Interno, nella cornice del governo ad interim.

Presentate come il culmine di un processo di pace sotto l’egida delle Nazioni Unite per chiudere questo lungo capitolo di divisioni e instabilità, le presidenziali restano al momento confermate per il 24 dicembre. Ma l’assenza di una lista ufficiale di candidati e i persistenti disaccordi tra rivali fanno quantomeno dubitare che si possa rispettare la scadenza. La situazione della sicurezza rimane molto precaria nel Paese, nonostante i progressi politici registrati nell’ultimo anno.

La tensione resta altissima anche a Sabha, dove da giorni si scontrano un’unità dell’Esercito nazionale libico (Lna) del generale della Cirenaica, Khalifa Haftar e un gruppo armato affiliato al governo di unità nazionale.

Il 24 dicembre i libici dovrebbero eleggere il primo presidente dopo la cacciata e l’uccisione di Muammar Gheddafi, avvenuta più di 10 anni fa. Per quasi un anno, le elezioni sono state al centro degli sforzi internazionali. Ma chi ne chiede il rinvio, avverte che il voto potrebbe gettare il Paese in una nuova spirale di violenza, perché la Libia resta fortemente divisa tra fazioni armate che molto probabilmente non riconoscerebbero alcuna vittoria di rivali al voto.

La candidatura di alcune delle figure più polarizzanti della Libia, incluso uno dei figli di Gheddafi, rende la situazione ancora più esplosiva. Sono quasi 100 i soggetti hanno annunciato la propria candidatura, ma la commissione elettorale non ha ancora diffuso l’elenco definitivo dei pretendenti a causa di controversie legali. Anche le regole che disciplinano le elezioni sono controverse, con il fronte politico occidentale che accusa il Parlamento con sede nell’Est del Paese di averle adottate senza consultazioni.

La Libia da anni è divisa tra amministrazioni rivali a Est e a Ovest, ciascuna sostenuta da milizie e governi stranieri, con un conseguente problema di presenza di combattenti stranieri sull’uno e sull’altro fronte. L’attuale processo politico è emerso lo scorso anno dopo l’ultimo round di brutali combattimenti seguiti all’offensiva lanciata su Tripoli da Haftar. Dopo un cessate il fuoco mediato dall’Onu nell’ottobre 2020, un gruppo di fazioni denominato Forum politico ha elaborato una road map che ha portato alla creazione di un governo ad interim per guidare il Paese fino al voto del 24.

Il governo provvisorio non è stato in grado di unificare le istituzioni del Paese, in particolare i militari, non è riuscito a smantellare le milizie e a garantire l’uscita dei mercenari dal Paese.

Questioni che – ammette una fonte Onu anonima citata da Sky News Arabia – avrebbero dovuto essere risolte prima del voto. Tarek Mitri, un ex inviato delle Nazioni Unite per la Libia, ha avvertito che “senza forze militari unificate, le elezioni rappresentano una minaccia per la pace”. In uno sforzo ulteriore per salvare il processo politico, il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha nominato inviato speciale l’americana Stephanie Williams: la diplomatica ha guidato i colloqui che hanno portato all’accordo di cessate il fuoco dell’ottobre 2020.

Domenica Williams ha incontrato i funzionari libici a Tripoli e ha esortato tutte le parti a rispettare “la inequivocabile richiesta del popolo libico di eleggere i propri rappresentanti attraverso elezioni libere, eque e credibili”.

Williams non ha menzionato però la data del 24 dicembre. Gli Stati Uniti e una buona parte della comunità internazionale spingono perché si voti. Per l’Onu la scadenza del 24 deve essere rispettata perché il voto è “un passo di fondamentale importanza che apre le porte a soluzioni future”.

Sia Haftar che Saif al-Islam Gheddafi, un tempo erede legittimo, hanno annunciato le loro candidature. Anche il primo ministro del governo ad interim, Abdul Hamid Dbeibah, ha sorpreso tutti candidandosi nonostante le rassicurazioni in senso contrario fornite quando assunse l’incarico.

L’opinione pubblica è sempre più convinta che tutti affermino pubblicamente di sostenere il voto, mentre di fatto cercano di sabotarlo.  

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