In Piemonte si contano i danni, chiesto lo stato di emergenza

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La zona maggiormente messa in ginocchio dalle piogge è quella di Limone Piemonte e del Col di Tenda al confine con la Francia, con pesanti ripercussioni su un nodo della viabilità molto importante anche per i collegamenti Oltralpe 

© Soccorso alpino speleologico Piemonte  
– Maltempo in Valle Gesso (Cn) 

AGI – A due giorni dalla pesante ondata di maltempo che ha investito gran parte del Piemonte si cerca di fare una prima stima dei danni, e si è impegnati a raggiungere abitazioni e frazioni ancora senza elettricità o acqua. Si lavora, inoltre, incessantemente per ripristinare un minimo di viabilità nelle zone, dove frane, allagamenti e cadute di tronchi rendono ancora impossibile la circolazione.

Ieri il presidente della Regione, Alberto Cirio ha visitato alcune aree alluvionate della provincia di Cuneo e ha annunciato che “martedì porterà al ministro dell’Interno una prima stima complessiva dei danni” dichiarando di “confidare che il Consiglio dei ministri riconosca lo stato di emergenza già oggi con lo stanziamento economico e la procedura semplificata per potere intervenire”.

Oggi Cirio, accompagnato da alcuni assessori, sarà nelle aree colpite del vercellese e del biellese mentre il vicepresidente Fabio Carosso si recherà nelle zone alluvionate del Verbano-Cusio-Ossola. La parte del Piemonte maggiormente messa in ginocchio dalle piogge è certamente quella di Limone Piemonte e del Col di Tenda al confine con la Francia con pesanti ripercussioni su un nodo della viabilità molto importante anche per i collegamenti Oltralpe. E in territorio francese, nei pressi del Col di Tenda è stato ritrovato ieri il cadavere del malgaro, travolto dalla piena del torrente Vermenagna, che risultava ancora disperso. “La situazione in Piemonte è grave – ha ribadito al termine dei sopralluoghi di ieri il Governatore Cirio – e lo stato di emergenza non è solo un aiuto ma un’esigenza imprescindibile. Il Piemonte non è abituato a chiedere ma questa volta chiede e lo Stato ci deve essere”.

Le cause di tanto disastro sono sempre le stesse: da 20 anni a questa parte, nessuno fa più la manutenzione, nè ordinaria nè straordinaria di ruscelli, torrenti e fiumi, Se non in casi rari e dovuti sempre all’urgenza. Le montagne, con lo spopolamento e la mancata cura costante dei boschi, seguono la stessa sorte. Appena piove le strade forestali, che come una gigantesca ragnatela segnano il sottobosco dell’arco alpino, diventano a loro volta torrenti impetuosi. Ecco dunque che l’acqua si porta giù tutto: tronchi, recinzioni, colline, case, persone.

Una tragedia nella tragedia, quando poi si contano i morti. Ma l’emergenza, non per chi vive in montagna e con essa lavora, scompare quasi subito. Bastano solo poche ore di sole. E con la tragedia impariamo nuove parole, prima quasi sconosciute: reticolo idrografico, rischio idrogeologico, frane, esondazione, smottamenti.

Ma questa ‘palestra’ etimologica serve a poco, se poi, non ci si fa promotori di quelle pratiche di buon senso e prevenzione che fino a non molti decenni addietro consentivano un serio e approfondito lavoro sul campo per conoscere il territorio e la sua gestione reale. Un’alleanza fra territorio e ambiente naturale che pensava ogni giorno alla costruzione di proposte innovative, senza perdere di vista lo sviluppo e la rigenerazione degli ambienti naturali, così come delle popolazione che li abitavano.

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