In venti milioni davanti alla tv per il processo su Capitol Hill

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La prima audizione della commissione d’inchiesta della Camera sull’assalto al Congresso Usa del 6 gennaio 2021 è stata trasmessa in ‘prime-time’ sulla maggior parte dei network televisivi americani. La seconda udienza è in programma lunedì 13 giugno.

di Massimo Basile

© Jabin Botsford / POOL / AFP
– L’udienza della Commissione della Camera sull’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021

 

AGI – Sono stati venti milioni gli americani che hanno seguito la prima audizione della commissione d’inchiesta della Camera sull’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021.

La seconda “audizione televisiva” è in programma lunedì, giorno in cui verrà chiamato a testimoniare, tra gli altri, Chris Stirewalt, l’uomo che su Fox News fu il primo a dichiarare nella lunga notte elettorale del 2020 che Joe Biden aveva vinto nello Stato chiave dell’Arizona.

Quel risultato viene considerato ancora oggi il punto di svolta nella corsa alla Casa Bianca, perché fermò l’entusiasmo debordante trumpiano.

Stirewalt venne attaccato dai Repubblicani e dallo stesso Donald Trump, a gennaio venne licenziato dalla Fox.

Ma Biden, come ha poi confermato anche una commissione elettorale a guida repubblicana, aveva vinto davvero. La convocazione del commentatore si inserisce nel canovaccio che la commissione intende seguire, e che si basa su due passaggi: dimostrare che le accuse di brogli elettorali erano infondate e provare il coinvolgimento diretto di Trump e del suo cerchio magico nell’organizzazione dell’assalto al Congresso.

“Il presidente Trump – ha detto la vicepresidente della commissione, la Repubblicana Liz Cheney, isolata dal suo stesso partito – convocò gli assalitori, li radunò e accese la fiamma dell’attacco”.

Cheney ha aggiunto che verranno presto mostrate le prove che il tycoon non fece neanche una telefonata dal dipartimento Difesa o ad altre agenzie federali della sicurezza durante l’assalto al Campidoglio, e che non intervenne nonostante le suppliche del suo staff e degli stessi familiari; anzi appoggiò la linea dei rivoltosi che volevano impiccare il vicepresidente Mike Pence, “colpevole” di non aver ribaltato il risultato elettorale.

“Forse – aveva commentato Trump – i nostri sostenitori hanno l’idea giusta. (Pence, ndr) se lo merita”. Il punto è come raccontare tutto questo, in prima serata, mantenendo alta l’attenzione di una platea divisa.

La scansione dei fatti, l’uso dei vocaboli e il ritmo degli interventi dei membri della commissione, aiutati dal teleprompter con il testo da leggere che scorreva sotto i loro occhi, è sembrato seguire i trucchi cinematografici di una serie tv alla Netflix. Il racconto si è fatto sempre più intenso e sconvolgente.

Alla parola “politica” se n’è aggiunta un’altra: pathos. Ciò che i media trumpiani hanno bollato come “triste spettacolo da Hollywood” nasconde il senso, e il rischio, di questo appuntamento: i Democratici sanno di dover raccontare la storia in modo trascinante a un’America polarizzata, in cui milioni di persone ritengono quella protesta giustificata, in un Paese dove la partecipazione all’insurrezione è considerata una medaglia d’onore, e sanno che Trump gode ancora di grande popolarità nella base.

Ma la commissione punta a dimostrare che i fatti restano lontani da quella “gita turistica” a cui fanno riferimento i Repubblicani. Serve, però, un racconto freddo e emotivo allo stesso tempo.

Le testimonianze mostrate giovedì sera dell’allora Attorney General William Barr sull’inconsistenza delle accuse di brogli elettorali (“Ho detto al presidente che era una str… io non ne volevo fare parte”) e quella della figlia del presidente, Ivanka Trump (“L’opinione di Barr ha avuto impatto sulla mia prospettiva: io ho stima dell’Attorney General Barr, per cui ho accettato quello che sosteneva”) sono state inserite per dimostrare come il tycoon fosse isolato nella sua campagna per screditare le elezioni.

Il documento sulle violenze degli insurrezionisti, il ruolo organizzativo del gruppo estremista di destra dei Proud Boys, e la testimonianza della poliziotta Caroline Edwards, ferita, ma coraggiosa al punto da rimettersi in piedi e aiutare i colleghi a opporsi all’orda di assalitori, servono a stringere il cerchio delle responsabilità attorno a Trump, considerato non “spettatore” ma “regista” di un “tentato colpo di Stato”.

I membri della commissione dicono di avere le prove e se la costruzione dell’accusa seguirà davvero i canoni di una serie Netflix, quelle prove dovranno uscire, perché come ogni sceneggiatore sa, se un film comincia con una scena cult poi è chiamato a mantenere quel livello, per non ottenere l’effetto opposto, di delusione nel pubblico.

Per questo resta molta attesa in vista della prossima audizione, fin da lunedì, mentre da più parti si chiede perché la commissione, che in più di un anno ha sentito un migliaio di testimonianze, non abbia deciso ancora di convocare Ginni Thomas, la controversa moglie del giudice della Corte Suprema Clarence Thomas, che inviò email a 29 legislatori repubblicani dell’Arizona perché ribaltassero il risultato elettorale.

Proprio quello Stato che sarà protagonista con l’audizione dell’ex commentatore della Fox, Stirewalt. Forse la risposta alla domanda è nella sceneggiatura che la commissione intende seguire: prima informare gli americani del peso dell’Arizona nella contesa elettorale, poi, con il tempo, forse arriverà il momento del colpo di scena: la convocazione di Ginni.

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