Insieme o da soli per uscire dalla crisi

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L’Unione Europea al bivio di fronte alle sfide poste dal coronavirus

Markus Krienke *  

Allo scoppio della crisi a marzo, anche il più convinto europeista non poteva che essere preoccupato: la reazione dell’Unione Europea, quella più immediata e spontanea, fu appunto la disunione, secondo la logica dei singoli Stati di cui ognuno applicava i propri protocolli più o meno aggiornati. La Germania, certamente, insieme all’Austria, sembrava soltanto il caso più emblematico e preoccupante di questa reazione. I meccanismi attivati parlavano un linguaggio di desolidarizzazione, e l’impatto sull’opinione pubblica specialmente in Italia fu devastante: con la loro «diplomazia aggressiva della generosità» (Borrell) specialmente Cina e Russia, aiutate anche dalla Cuba, utilizzarono l’assenza dell’Europa e degli USA per spiazzare un’Italia politicamente e strategicamente impreparata alla crisi. Conte minacciava l’Europa di voler «fare da soli», e Di Maio ringraziò questi Paesi con parole che fino ad oggi non avrebbe più utilizzate ugualmente nei confronti dell’Europa. L’impatto di questa situazione e le relative immagini sull’opinione pubblica in Italia fu devastante: l’invio di un milione di mascherine dalla Germania già il 15 marzo, molti altri aiuti concreti e soprattutto le dozzine di ammalati italiani curati nelle stazioni intensive tedesche non riuscirono più a compensare o correggere l’immaginario pubblico dell’Europa anti-solidale e dei “nuovi amici” Cina e Russia.

Ciò che in questa situazione – come in altre, meno gravi, precedenti – non si riesce più a vedere è che, nonostante tutto, l’Unione Europea si è comunque presentata – nei limiti delle sue competenze – come resistente, funzionale e presente. Ciò vale anche oltre la vecchia e nuova frontiera che in questa crisi si è ancora più inasprita tra Paesi (del nord) che rifiutano qualsiasi passo verso un’“unione dei trasferimenti”, e altri (del sud) che reclamano mancanza di solidarietà senza la quale questi Paesi, del resto tra i più colpiti del coronavirus, usciranno da questo momento ancora più svantaggiati rispetto a prima. Tuttavia, nel percorso di questa crisi, non solo la Germania iniziò a giocare sempre più determinatamente un ruolo di “mediazione” che è culminata nella proposta – insieme alla Francia – del Recovery fund del 19 maggio, ma anche la stessa Presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha reagito sin dall’inizio con voce autorevole e chiedendo scusa agli italiani nei primi giorni dell’aprile. E alle sue parole corrisposero i fatti: fu sospeso il Patto di stabilità e spalancata la porta ad aiuti tramite lo sblocco – nei limiti delle competenze dell’Ue – di ogni risorsa possibile. È nato, tra l’altro, il programma SURE contro la disoccupazione e per garantire imprese e posti di lavoro. Il Mes (prestiti fino al 2% del Pil del rispettivo Paese richiedente) è stato profondamente riformato in quanto ormai si rinuncia praticamente a ogni vincolo per l’utilizzo dei fondi, e si è discusso anche dei Coronabond. L’opposizione soprattutto tedesca a quest’ultimi – motivata oltre dai soliti motivi “dogmatici” innanzitutto dal problema come spiegarli alla popolazione e quindi dalla paura di un rafforzamento dell’AfD – è stata ormai superata appunto con il già menzionato Recovery fund. Se questo fund – con le modificazioni da aspettarsi dato che nella settimana prossima deve essere deciso all’unanimità – passerà la sua firma finale, l’Europa avrà senz’altro fatto un passo importante in avanti, dimostrando una consapevolezza maturata sul fatto che soltanto insieme gli Stati europei possono superare questa crisi. Anche la stessa BCE si è spinta all’affermazione, infatti, che gli aiuti Mes per le spese sanitarie dirette e indirette non è sufficiente. Per questo, il Recovery fund che prevede aiuti economici concreti e va oltre la logica del prestito ai singoli Stati crea per la prima volta una reale e concreta solidarietà finanziaria europea. E se per la resistenza specialmente da parte dell’Olanda e dell’Austria – ma anche della Svezia e della Danimarca – non dovesse passare, la raggiunta forte proposta congiunta tra la Francia e la Germania troverà altre strade per realizzare una solidarietà concreta e possibile, non utopica e improbabile come ingiustificatamente si aspetterebbero invece altri. «L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto»: mai queste parole del Piano Schuman si sono avverate come in questa proposta. Macron e Merkel – come nel 1950 Schuman ed Adenauer – hanno presentato di fatto una prospettiva nuova e credibile per l’Europa. Con le misure decise, l’Euro dimostrerà che non sarà a rischio – come invece era il timore specialmente della Germania e dei Paesi Bassi ancora un mese fa. Ormai anche la Presidente della Banca centrale europea Lagarde ha corretto le sue affermazioni anti-solidaristiche di marzo, assicurando a questa nuova prospettiva non solo il sostegno della istituzione da lei rappresentata ma anche esprimendosi per un ripensamento del «patto di stabilità» cioè l’istituzione centrale dell’“austerità”. Se Merkel nel 2010 disse «se cade l’Euro, cade anche l’Europa», lo stesso salvataggio dell’Euro oggi richiede risposte diverse, per cui dopo la crisi del coronavirus l’Europa dovrà ripensare le norme circa i debiti dei singoli Paesi: la strada verso una “nuova Europa” in questo senso, con una politica comune delle finanze, delle tasse e del sociale, ormai con l’accordo tra Merkel e Macron si è fortunatamente avvicinata; a tal fine, certamente, gli Stati membri dovrebbero cedere più sovranità all’Europa e fare un passo coraggioso verso una nuova Ue. In questo loro progetto, la Cancelliera e il Presidente francese – che ha iniziato il suo mandato nel 2017 con l’inno all’Europa e con il suo discorso alla Sorbonne «iniziativa per l’Europa» – situano l’Europa anche in una prospettiva globale dove il mercato più grande ed interessante del mondo, quello europeo, dovrà reggere una nuova e più dura concorrenza dall’est.

Certamente, un ulteriore momento critico si è realizzato il 5 maggio con la sentenza della Corte costituzionale tedesca che la Corte europea di Lussemburgo non avrebbe esercitato sufficiente sorveglianza nei confronti del programma della BCE sotto Draghi per il salvataggio dei Paesi a rischio. Le competenze cedute all’Europa da parte degli Stati membri e quindi sancite dal Grundgesetz non permetterebbe una responsabilità “comune” per i debiti di un Paese membro. Giustamente questa sentenza è stato uno shock in quanto si teme che potesse legittimare in futuro le Corte costituzionali anche di altri Paesi a delegittimare l’Europa. Una lettura positiva – e non molto diffusa in Italia – potrebbe però leggervi un giudizio critico sul fatto che l’Europa nella sua situazione attuale non è in grado di caricare su di sé troppi rischi. In questa ottica, e considerando che l’Ue dispone di un budget dell’1% del PIL europeo, le politiche di von der Leyen possono essere considerate davvero nella loro reale portata come un forte segnale per l’Europa stessa, nonostante il fatto che i populisti in tutti i Paesi, specialmente in Italia, fanno di tutto a coprire questi fatti con i loro soliti slogan anti-Bruxelles. Al contrario, proprio ai sovranisti che lamentano ingiustificatamente una presunta assenza dell’Ue, sarebbe da rivolgere la domanda circa i loro impegni per un’Ue più solidale. L’Ue non è uno Stato, e le sue competenze sono misurate dai singoli Stati e da ciò che riescono a realizzare come politiche comuni. In altre parole: desolidarizzandosi con l’Europa, non si può rimproverare alla stessa Europa mancanza di solidarietà. Ciò anche perché le politiche non sono decise in istituzioni dove l’Italia non fosse rappresentata, ma sono un impegno dell’intera comunità: che senz’altro ha dimostrato in questa crisi anche la sua disfunzionalità e i suoi limiti, ma forse proprio per questo ha attraversato un momento di maturazione e di apprendimento.

Lagarde ha sottolineato nella sua reazione alla proposta franco-tedesca un ulteriore punto decisivo: l’Europa manterrà anche dopo la crisi del Covid il suo progetto verso un’economia verde e il suo impegno per le tecnologie ed etiche dell’Intelligenza artificiale e del digitale. Con ciò afferma in mezzo alla Laudato si’ week voluta da Papa Francesco, quanto sia stata profetica questa enciclica di cinque anni fa: il coronavirus non solo ci ha fatto sperimentare con le nostre vite e sulla nostra pelle quanto “tutto è connesso” e che dobbiamo realizzare nuove solidarietà con tutti gli uomini e l’ambiente per realizzare un’economia sostenibile. Realizzando questa prospettiva anche con l’aiuto delle nuove tecnologie – per le quali Papa Francesco e la Dottrina sociale della Chiesa dimostrano uguale interesse come per l’ambiente – specialmente l’Europa si prospetterebbe verso il futuro e con una nuova consapevolezza nella scena economica e geopolitica mondiale. Nessuno Stato singolo potrà affrontare da solo né il presente – combattere il virus e salvare l’economia – né il futuro. Certamente, questi compiti del futuro esigono un’Europa non solo politicamente ma anche culturalmente più unita. La prospettiva di una giusta antropologia – che mette la persona nella sua dignità al centro e determini il suo giusto rapporto all’ambiente e alla tecnica – è pertanto indispensabile. Ecco perché proprio la Laudato si’ sembra scritta proprio per il presente momento: e come De Gasperi, Adenauer e Schuman traevano le loro ispirazioni dai primi documenti della Dottrina sociale, così anche questo recente documento può farci capire che l’Europa ha il compito, nella situazione attuale del coronavirus, di ricomprendersi come economica e politica, culturale e cristiana.

Dopo più di un decennio di continua gestione di crisi che dallo shock economico e finanziario del 2007/2008 non ha potuto godere di una tregua, il post coronavirus sarebbe l’ora di riprendere quella dinamica che dopo il rifiuto della Costituzione da parte della Francia e dell’Olanda nel 2005 e del Trattato di Lisbona nel 2006 ha subito un significativo rallentamento: solo un’Europa più unita può essere di quel vantaggio per tutti gli Stati membri che De Gasperi, Adenauer e Schuman hanno individuato in libertà, solidarietà, pace e prosperità per tutti. Dopo il “decennio dell’austerità”, l’Europa deve essere rafforzata e istituzionalmente più unificata – ciò pare l’unica possibile risposta all’attuale crisi. Ad inizio aprile, l’opinione universalmente condivisa era che il caso del coronavirus costituisce un momento make it or brake it per l’Europa: al giorno di oggi possiamo definitivamente guardare con speranza al futuro, in quanto la convinzione che l’Ue supererà questa prova si consolida con ogni giorno.

Markus Krienke * (Lugano-Roma-Milano-Messina)

redazione@corrierenazionale.net

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