Intrattenimento fluido: tutti contro tutti per conquistare il tempo degli utenti

Economia & Finanza

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Tra televisione fuori dal televisore, piattaforme digitali da vedere e ascoltare, cambia il concetto di concorrenza: il vero bene finito non è fatto di euro ma di minuti.

© Inti St Clair – Streaming

AGI – Gennaio 2019: dopo una trimestrale al di sotto delle aspettative, Netflix spiegava che il problema non è tanto la concorrenza delle altre piattaforme di streaming: bisognava fare i conti con “tutte le attività che fanno trascorrere tempo davanti a uno schermo”. La società affermava di temere più Fortnite che Hbo, più Youtube di Hulu.

Tre anni fa, Prime Video non era diffuso come oggi, Apple Tv+ e Disney+ non erano neppure state lanciate. Ma quella spiegazione di Netflix, allora dominatore dello streaming, si sta dimostrando più che mai corretta, anche alla luce delle sue recenti difficoltà. L’intrattenimento è diventato fluido.

Se Auditel e Censis hanno parlato di “televisione fuori dal televisore”, anche i contenuti digitali sono usciti dai propri confini. Le emittenti tradizionali offrono palinsesti on demand da guardare anche sullo smartphone, mentre Youtube ha affermato di voler crescere sui televisori connessi. Streaming, podcast, musica, tv. Disancorati da un solo dispositivo fisico, tutti si contendono lo stesso bene finito: il tempo degli utenti.

Intrattenimento digitale, copertura totale

Secondo gli ultimi dati di Comscore, relativi a gennaio 2022, un minuto su cinque trascorso online viene destinato a contenuti legati all’intrattenimento. Solo i social network (22,9%) fanno meglio. Negli ultimi tre anni, il tempo medio per visitatore è aumentato del 44%. I 18-24enni trascorrono in media 42 ore al mese (oltre una e venti al giorno) su siti e app della categoria “Entertainment”, da Netflix a Youtube fino a Spotify. Il volume diminuisce con l’avanzare dell’età: 20 ore tra i 25 e i 34 anni, 15 nella fascia 35-44 anni e 12 oltre i 45 anni.

È lecito pensare che i contenuti digitali continueranno a farsi spazio, non solo per questioni anagrafiche. Fino a pochi anni fa, era necessario passare da un imbuto tecnologico stretto: una fetta consistente degli italiani non aveva accesso a Internet o una connessione efficiente.

L’imbuto c’è ancora, ma si è allargato: sempre secondo Comscore, il 96,2% della popolazione digitale italiana (circa 39 milioni di utenti) ha utilizzato siti o app d’intrattenimento. Non siamo ancora ai livelli della televisione (il 97% delle famiglie, connesse o meno, possiede almeno un televisore) ma la strada è quella: una copertura totale.

Tutti contro tutti: cosa racconta la crisi di Netflix

Il video online rappresenta la più diffusa tra le forme di intrattenimento digitale. Youtube, che raggiunge il 95% della popolazione digitale italiana, è vicino alla saturazione. Ma ci sono anche le piattaforme di gruppi televisivi nazionali, come Mediaset Infinity (che raggiunge il 29% degli utenti) o RaiPlay (21%), e internazionali, come Netflix (24%). La società guidata da Reed Hastings ha perso abbonati per la prima volta dopo dieci anni.

Netflix è il leader dello streaming in Italia: secondo i dati di JustWatch, la quota sta calando ma è ancora al 28%, simile a quella di Prime Video (che però gode delle consegne Amazon incluse nell’abbonamento) e quasi doppia rispetto a Disney+ (che però cresce). È vero che la concorrenza tra servizi simili è cresciuta e che le famiglie hanno un budget limitato da dedicare agli abbonamenti. Ma, di nuovo: la corsa che più conta è quella per la conquista del tempo. Secondo Comscore, Netflix viene visto per 3 ore e mezza al mese. Molto più di Prime Video (un’ora abbondante) ma molto meno di Youtube (su cui si spendono oltre 16 ore e mezza) e Spotify (circa 14 ore).

Alla ricerca del tempo mai avuto

Youtube e Spotify hanno un punto di forza su cui streaming video e (in parte) televisione non possono contare: possono essere anche ascoltate. Cioè fruite mentre si sta facendo altro. È chiaro per Spotify, che produce contenuti audio. Ma è vero anche per Youtube, dove a gennaio circa un utente italiano su due ha cliccato su un contenuto musicale pubblicato da SonyBmg o Warner Music.

In un universo dell’intrattenimento fluido e sempre più saturo, nel quale il bene da contendersi è il tempo, non basta più conquistare i minuti disponibili: è necessario trovarne altri.

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