Kim Jong Un ad un passo da Guam (e dagli Stati Uniti)

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Il recente invio di un missile da parte del regime di Pyongyang avvenuto il 28 agosto nasconde un altro intento: dimostrare agli Stati Uniti la capacità nordcoreana di danneggiarli tramite l’isola di Guam. Lo stesso Kim Jong Un ha dichiarato che il lancio sarebbe “il primo passo delle operazioni militari dell’esercito popolare della Corea nel Pacifico e un significativo preludio per il contenimento di Guam”. Perché l’isola è così importante per il governo statunitense?

Essendo poco distante dalla capitale della Corea del Nord (circa 3.000 km), Guam è un’importante sede strategica sia di supporto in caso di emergenza che di controllo del Pacifico occidentale dal punto di vista militare. L’isola infatti è protetta dal sistema Thaad composto da missili balistici che sono stati usati recentemente come prova di forza durante i precedenti invii di vettori da parte di Pyongyang. Innegabile è la funzione deterrente rispetto a quest’ultimo e alla Cina, grazie alla presenza di munizioni, sottomarini nucleari, caccia-bombardieri e di militari statunitensi che, nel caso in cui provenisse una qualche offensiva da uno di questi stati, sarebbero pronti ad una risposta tempestiva.

Seppure il dittatore nordcoreano abbia lanciato circa 18 missili solo nel 2017, l’invio di quest’ultimo ha provocato una massiccia risposta mondiale. Proprio la reale necessità di difesa da un avversario comune, ha provocato l’avvicinamento di due grandi potenze economiche e finanziarie: Stati Uniti e Cina, che accantonata momentaneamente la guerra economica, si sono incontrate per discutere su un piano di gestione del problema Kim Jong Un. Nello specifico, gli Usa hanno invitato Pechino ad esercitare una maggiore pressione in vista della reale minaccia che essi possono rappresentare per Pyongyang in caso di offesa. Di fatto, il generale Joe Dunford avrebbe “consegnato un messaggio chiaro sul fatto che i programmi balistici e di armi nucleari della Corea del Nord minacciano l’intera comunità mondiale, comprese la Cina, la Russia, gli Stati Uniti e i nostri alleati. Nell’interesse della stabilità regionale, gli Stati Uniti vedono con crescente urgenza la necessità per la Cina di aumentare la pressione sul regime nordcoreano”. Lo stesso Donald Trump ha replicato all’attacco garantendo di reagire con “fuoco e furia”.

La risposta dell’ONU è giunta rapidamente: il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha condannato il gesto all’unanimità per l’azione oltraggiosa contro un altro stato membro dell’Organizzazione chiedendo, inoltre, al dittatore, di abbandonare tutte le armi e i programmi nucleari. La reale minaccia nordcoreana ha spinto la vicina Cina ad assumere una posizione molto più decisa, dichiarando che “sosterrà completamente e per intero le risoluzioni del Consiglio”. Dalle analisi sui resti dei missili disintegrati si rilevano componenti prodotte da paesi esterni alla Corea, di conseguenza gli Stati Uniti hanno sanzionato sia la Russia che la Cina (10 compagnie e 6 individui) accusati di aver aiutato il regime a sviluppare il sistema missilistico e nucleare tramite la fornitura di materie prime oppure finanziamenti.

Questa condotta, secondo l’idea americana, rappresenterebbe un disincentivo ad aiutare un governo che sviluppa armi di distruzione di massa e che costituisce una reale preoccupazione per gli equilibri mondiali. La strategia statunitense consiste proprio nell’usare la propria posizione tattica e predominante nello scenario mondiale per esercitare pressioni e sanzioni a chiunque sostenga in maniera diretta o indiretta il governo di Pyongyang. Seppur l’intenzione nordcoreana sarebbe quella di attaccare Seul tramite i propri armamenti, il reale scopo rimane quello di colpire il nemico ideologico e economico: gli Stati Uniti e Donald Trump.

Sara Carullo

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