La Brexit: l’osso duro di Theresa May

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Nella giornata del 12 dicembre Theresa May, Primo Ministro della Gran Bretagna, sarà sottoposta al voto di fiducia a causa dei contrasti che si sono verificati tra Ue e Uk in merito alla Brexit. La raccolta delle firme per la proposta del voto fiduciario ha interessato 48 parlamentari conservatori (la regola vuole che lo debba richiedere almeno il 15% dei membri del partito) e se verrà riconferma, May rimarrebbe la leader del partito per almeno un anno.

La problematica principale per la premier inglese è la ricerca di voti necessari al supporto dell’accordo sull’uscita della Gran Bretagna dall’Europa poiché la bozza individuata non soddisfa le promesse fatte agli elettori, tanto da portare ad un’ondata di dimissioni come quello della ministra del Lavoro Esther McVey, del ministro della Brexit Dominic Raab e della sottosegretaria Suella Braverman, della sottosegretaria all’istruzione Anne-Marie Trevelyan. In seguito a queste vicende la May ha commentato: “Sono dispiaciuta che alcuni colleghi abbiano deciso di lasciare il governo, ma credo con ogni fibra del mio essere che il percorso creato è quello giusto”.

Ma cosa prevede l’accordo stipulato con l’Unione europea? La questione più problematica è quella con l’Irlanda del Nord che continuerà a rimanere nel mercato unico temporaneamente fino all’accordo definitivo (cosiddetto backstop): si rimanda dunque la questione della creazione di un confine fisico tra i due paesi, facendo scontenti i più ardui sostenitori della Brexit ma impedendo la creazione di una ulteriore tensione rispetto all’Irlanda e di una frammentazione dell’Uk. Secondo il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker “il grande problema è il backstop sull’Irlanda, abbiamo tutto in nostro potere per non usarlo ma averlo a disposizione è necessario. L’Irlanda non sarà mai lasciata sola”.

Un’altra problematica è quella relativa agli affari commerciali: essa continuerà a rimanere all’interno dell’unione doganale fino ad un accordo commerciale bilaterale con l’Europa.

La precarietà della situazione politica interna ha obbligato la premier inglese a rimandare il voto alla Camera dei comuni, previsto per il 21 gennaio, ma non risolvendo di fatto il problema: Juncker definisce il negoziato come ‘unico possibile’, così come Angela Merkel che ha dichiarato “abbiamo detto che non c’è un’ulteriore apertura sull’accordo di uscita, non è possibile cambiarlo”. I Brexiter più intransigenti sarebbero sempre più inclini ad un’uscita senza accordo piuttosto che un negoziato troppo sbilanciato a favore dell’Unione Europea.

Tuttavia il tempo stringe poiché il prossimo 29 marzo alle ore 23 la Brexit sarà definitiva.

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