Il governo di Mario Draghi è stato salutato come un punto di rottura con gli esecutivi precedenti soprattutto dal punto di vista della comunicazione. Non sono pochi i commentatori che hanno lodato il silenzio dell’ex banchiere, paragonandolo a una forma di sobrietà istituzionale concentrata più sui fatti che sulle parole. In netta discontinuità con il Conte bis, la comunicazione di Mario Draghi avrebbe avuto una componente meno emotiva ma più concreta e sarebbe stata la fine di quella “annuncite” che da anni ammorba lo scenario politico italiano.

Anche una parte consistente dell’opinione pubblica la pensava così, almeno fino agli ultimi eventi che hanno riguardato le chiusureMcKinsey e soprattutto il caso di AstraZeneca che in molti reputano apertamente un “fallimento comunicativo” a tutti i livelli, dalla politica alla sanità. Dopo appena un mese, a lodare la comunicazione di Mario Draghi sono soltanto i giornalisti. Il resto dell’opinione pubblica, disorientata e impaurita dagli eventi appena delineati, chiede risposte che, prima o poi, costringeranno il sobrio ex banchiere ad aprire un canale di dialogo meno essenziale con gli italiani. E in parte sta già succedendo, come è stato possibile notare dall’ultima conferenza stampa con i giornalisti.

Ma non c’è soltanto il sentiment tra le chimere della comunicazione di Mario Draghi, ci sono anche i partiti e gli intramontabili problemi di opportunità politica. Non passerà molto tempo che questo vuoto informativo verrà colmato dai partiti e dai loro leader. Un esempio è quello di Matteo Salvini e delle minacce circa le riaperture pasquali, tema sul quale Draghi è stato “costretto” ad intervenire. Chi occupa il vertice di un istituzione non può esimersi dal trasmettere un flusso costante di informazioni verso il basso circa le decisioni che intenderà prendere. Lasciare mano libera ai partiti di intestarsi questo o quel provvedimento creerebbe soltanto ulteriore confusione in un periodo in cui questa regna già sovrana.

Il silenzio come strategia comunicativa

In molti l’hanno ribattezzata “comunicazione pragmatica“, cioè un tipo di comunicazione avvezza agli annunci, alla politica pop a cui l’Occidente è ormai abituato e che si attiene soltanto ai fatti dimostrati empiricamente. Nonostante l’enfasi mediatica con cui questa definizione è stata presentata, le evidenze dimostrano che gli annunci fanno parte anche del sobrio esecutivo del banchiere. Dai vaccini alla ripartenza del Meridione, passando per le premesse della transizione ecologica che non sorridono alle aspettative degli ambientalisti.

Il pragmatismo della comunicazione di Mario Draghi poggia sulla solida base dell’autorevolezza del soggetto e su un particolare secondario come il fatto di non dover massimizzare il consenso per le prossime elezioni. L’ex banchiere è un tecnico e non punta ad accrescere il proprio consenso elettorale al quale normalmente puntano partiti e leader politici in un orizzonte temporale sempre più ristretto. D’altronde, egli non è nemmeno un politico di professione e non ha un partito di riferimento. Il suo, poi, non è un esecutivo “normale” in senso stretto, bensì il classico “governo del presidente” basato su una maggioranza molto larga e su espedienti di responsabilità aventi il fine di portare a termine una missione politica già decisa in partenza.

A dieci anni dall’ultimo esecutivo tecnico, la comunicazione politica ha subito dei profondi cambiamenti. I dibattiti in tv sono urlati, la propaganda serrata non lascia spazio alla sobrietà e l’uso dei decibel della propria voce è ormai una tecnica collaudata ed efficace a discapito degli argomenti. In una visione comunicativa di questo tipo, il silenzio diviene “assenza” e in alcuni casi può risultare addirittura lesivo. Le interpretazioni in questo caso sono due: da un lato il silenzio indica carenza di informazioni, nella convinzione comune che chi non comunica ha qualcosa da nascondere e preferisce celare i meccanismi della politica all’opinione pubblica; dall’altro il silenzio può indicare la volontà di non far emergere certe istanze, di solito quelle dei più deboli. Entrambe sono percepite negativamente dalla collettività, la quale finisce per affidarsi a quella “voce fuori dal coro” in grado di “rompere” il silenzio.

Al plauso dei giornalisti potrebbe sostituirsi un certo malumore da parte dei comuni cittadini, disorientati dall’assenza di qualsivoglia tipo di comunicazione istituzionale e in cerca di rassicurazioni e informazioni che arrivano con il contagocce. Inoltre, l’incertezza potrebbe facilmente confondere la comunicazione istituzionale con la sempreverde comunicazione elettorale, che i partiti adottano con fare fraudolento anche quando sono al governo per le più disparate esigenze di consenso. Quello di Salvini è soltanto uno dei molteplici esempi di come un partito al governo possa comportarsi come uno di opposizione e trovare anche chi gli ascolta.

Le insidie della comunicazione di Mario Draghi

Le masse reagiscono agli stimoli. Un uomo politico dovrebbe saperlo ma urge ricordare che Mario Draghi non lo è. Il Presidente del Consiglio è innanzitutto un economista e un burocrate, uno dei migliori, il quale basa le sue scelte sul mero calcolo contabile e non tiene conto del sentiment dei suoi concittadini semplicemente perché non ne ha bisogno. Se da un lato una tale soluzione potrebbe risultare una virtù, dall’altro risulta chiaro che una nazione non è una banca fatta di freddi numeri.

La nazione è formata dal popolo, da persone dotate di sentimenti e problematiche quotidiane che necessitano di risposte. Occorre occuparsi anche di loro se un governo si pone l’obiettivo di farsi seguire e comprendere. Durante una pandemia poi, la comunicazione è quanto mai necessaria. I cittadini hanno bisogno di indicazioni, di rassicurazioni, di empatia. Un governo per avere un seguito deve obbligatoriamente instaurare un rapporto solido con la popolazione attraverso una comunicazione efficace e costante.

Inoltre, come già sottolineato, se il governo Draghi rinunciasse a comunicare lascerebbe questo onere ai partiti che alla comunicazione istituzionale preferiscono quella elettorale. Per ora l’ex banchiere è riuscito tutto sommato a controllare l’umore delle formazioni politiche ma è improbabile che, in procinto delle elezioni comunali, questa pax draghiana reggerà. Quando la campagna elettorale entrerà nel vivo, il caos comunicativo generatosi costringerà il governo a compiere spericolate giravolte sugli argomenti del momento con conseguenze pesanti sulla sua credibilità e autorevolezza.

In molti ricorderanno quel periodo in cui Lega e Fratelli d’Italia diffusero la bufala dell’approvazione del MES da parte del precedente esecutivo. In quel momento Giuseppe Conte fu costretto a intervenire in diretta nazionale per smentire questa eventualità. Si trattò di un gesto estremo, che ha suscitato controversie, ma necessario poiché la notizia avrebbe fortemente indebolito il suo governo in un momento fin troppo delicato per lasciare spazio all’incertezza. Le fake news colpiranno anche Draghi, su questo non c’è dubbio. Un primo assaggio ha riguardato il vaccino di AstraZeneca, nel cui caso la mancanza di una risposta tempestiva ha generato commenti e reazioni sconfortate, accomunata dalla richiesta di spiegazioni chiare e immediate per cercare di comprendere cosa fare in un momento di tensione.

La politica del silenzio non può essere una soluzione a lungo termine. Alla logorrea del Conte bis, il governo Draghi non può rispondere con un’afasia controproducente. Sui social, ad esempio, una corretta comunicazione istituzionale può funzionare da filtro di notizie troppo semplicisticamente date in pasto al pubblico dai portatori sani di propaganda. Inoltre, in alcuni casi anche la funzione emozionale dei social, che annulla la distanza piazza-palazzo, può tornare utile a quel governante di turno troppo rigido in pubblico e che cerca soluzioni alternative. In questo senso i social sono un mezzo formidabile.

In sostanza, la comunicazione del governo Draghi non è esente da effetti collaterali. Complice il periodo di crisi scaturito dalla pandemia Covid-19, i flussi di informazione sono elevatissimi e l’utilità di una voce unica in grado di ridurre al minimo la sensazione di incertezza dell’opinione pubblica è quanto mai necessaria. L’ex banchiere dovrà essere in grado di a superare l’irrigidimento contabile in nome di un ruolo più dinamico e in cui la responsabilità si esercita anche attraverso la comunicazione, la quale, è bene ricordarlo, non è un semplice orpello bensì una delle tante virtù dell’attività politica.

Donatello D’Andrea