“La controffensiva di Kharkiv non può essere replicata”, spiega il generale Bertolini

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Gli ucraini hanno subito perdite troppo pesanti per ripetere un’avanzata così efficace, osserva l’ex comandante della Folgore intervistato dall’Agi: “Ora Zelensky tratti, o Mosca sceglierà l’escalation”.

di Francesco Russo

AGI – La controffensiva ucraina nella regione di Kharkiv, probabile frutto di un errore dell’intelligence russa, non cambia in modo significativo le sorti del conflitto in Ucraina ma riapre uno spiraglio negoziale che deve essere colto per porre fine alle ostilità. È il parere espresso in un’intervista all’Agi dal generale Marco Bertolini, ex comandante del Comando operativo interforze e della Folgore e autore, con Giuseppe Ghini, di “Guerra e pace ai tempi di Putin”.

Secondo Bertolini, il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, può sfruttare questo indubbio successo tattico per sedersi al tavolo delle trattative da una posizione di maggiore forza. Se il percorso diplomatico restasse chiuso, avverte però il generale, il Cremlino potrebbe optare per l’escalation, laddove Kiev non avrebbe uomini sufficienti per replicare un blitz come quello dei giorni scorsi, propiziato dalla superiorità numerica.

Gli ucraini avevano annunciato per mesi una controffensiva a Kherson, spingendo i russi a sguarnire il fronte orientale, rafforzando le posizioni a Sud, per poi trovarsi in inferiorità numerica nel settore di Kharkiv (secondo le autorità filorusse locali, con un rapporto di uno a otto). C’è stato un errore di intelligence?

“Sicuramente c’è stato un errore di intelligence, un obiettivo errore di valutazione. In guerre come questa si avanza e si indietreggia a seconda dei rapporti di forza, che in questo caso sono stati molto favorevoli agli ucraini. Fa pensare che, nonostante tutte le quinte colonne che hanno in Ucraina, i russi non siano riusciti a vedere i rischi di un’offensiva che stava montando. Non credo però che quanto accaduto possa cambiare nei fondamentali l’andamento della guerra. Gli ucraini senza dubbio hanno dato una dimostrazione di valore e anche di capacità di pianificazione e di intelligence. Questa intelligence non è del tutto farina del loro sacco: hanno saputo individuare i punti deboli dell’avversario e per farlo hanno fatto ricorso ai satelliti a disposizione della Nato e degli americani. Sebbene siano riusciti a dare una dimostrazione importante, credo che per gli ucraini questo sia il momento giusto per cercare di andare a un tavolo di negoziato da una posizione di forza per strappare delle condizioni onorevoli. Se così non sarà, quello che temo – e in questo mi rifaccio alle espressioni del Papa – è un’escalation, perché di fronte a un colpo del genere la Russia non può certo permettertsi semplicemente di incassare. È un momento molto delicato dal punto di vista operativo, che potrebbe essere una buona opportunità da un punto di vista diplomatico”.

Ritiene che questa opportunità verrà colta? Lavrov domenica scorsa è tornato a esprimersi a favore di un negoziato e ha accusato Kiev di ritardarlo… 

“Il pallino in mano lo hanno i diplomatici, non credo che da un punto di vista militare questa controffensiva possa portare a una sconfitta di Mosca. Finora la Russia ha ripiegato poche volte e perché ha impiegato poche forze, indicando la volontà di fare una guerra veloce che portasse subito a un negoziato. E il negoziato è saltato. Credo che la Russia avesse all’inizio l’intenzione di arrivare a un negoziato che ponesse fine a una situazione pericolosa e credo che questo interesse lo abbia ancora. Lavrov, un diplomatico vero, ha gettato un seme importante, ha visto anche lui una finestra di opportunità nel fatto che gli ucraini possano rivendicare un successo che consenta loro di trattare senza il cappello in mano. Se invece si dovesse arrivare a un muro contro muro, avremmo un’escalation pericolosa, considerando che abbiamo sempre il problema della centrale nucleare di Zaporizhzhia. Su questo fronte, tutti accusano l’avversario. Io non credo che i russi si bombardino da soli. Quel che è certo è che una bomba su Zaporizhzhia creerebbe una situazione dalla quale sarebbe difficile tornare indietro. Di fronte a un disastro, si supererebbe una linea rossa davvero pericolosa senza sapere in concreto chi sia responsabile”.

L’iniziativa ucraina nel Donetsk e nel Lugansk, dove sono stati riconquistati alcuni insediamenti, ha lo scopo di rafforzare la futura posizione negoziale o Kiev punta davvero a riprendere il controllo delle due repubbliche separatiste?

“La guerra contro le due repubbliche è iniziata nel 2014 e, se non sono riusciti occuparle da allora, è difficile ci riescano adesso. È vero, ci sono stati gli aiuti occidentali che cambiano parecchio ma è anche vero che le forze da mettere in campo sono sempre quelle e non so come potrebbero attaccare Donetsk e Lugansk dove, sostanzialmente, il confine si è mosso di ben poco. Va inoltre ricordato che gli ucraini hanno mobilitato la popolazione in maniera considerevole, cosa che i russi non hanno fatto. Se si spingesse la guerra fino a un punto di non ritorno, la Russia potrebbe procedere a una mobilitazione generale . Siamo a un punto di svolta che in gergo militare definiremmo “punto decisionale”, ovvero un punto non decisivo ma delicato, nel quale i comandanti devono prendere una decisione”.

È possibile per gli ucraini replicare a Kherson quanto visto a Kharkiv?

“Ritenevo più probabile che l’Ucraina contrattaccasse a Kherson perché lì i russi si trovano il fiume Dnepr alle spalle che rende difficile sia la logistica che il rifornimento del personale, quindi credevo potesse essere un obiettivo più facile. Invece, più che una controffensiva, abbiamo una penetrazione abbastanza importante che non ha avuto grandi risultati e ha provocato molte perdite da parte ucraina. Credo che Kiev abbia interesse a mantenere questo lunghissimo fronte impegnato perché i russi hanno schierato poche forze e, se devono mantenerle anche a Kherson, dove c’è una pressione che potrebbe diventare pericolosa, potrebbero avere più difficoltà a rafforzare il fronte Est. A meno di una mobilitazione (o meglio dell’invio di altre forze seguite da una mobilitazione, che non si fa da un giorno all’altro), credo che continuerà a esserci una pressione su Kherson che non è detto possa trasformarsi in controffensiva, poiché gli ucraini hanno un problema di burnout e hanno subito moltissime perdite. Quanto visto a Kharkiv non può essere replicato”.

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