La Corte Suprema bacchetta Trump ma non troppo

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Duecento anni fa, un grande giurista della nostra Corte ha stabilito che nessun cittadino, nemmeno il presidente, è al di sopra del dovere comune di produrre evidenza se viene citato in un’indagine penale”. Così John Roberts, presidente della Corte Suprema statunitense, ha confermato che Donald Trump deve produrre i documenti richiesti dalla procura di New York che sta indagando illeciti nella campagna elettorale del 2016. Si tratta dei tentativi della campagna del 45esimo presidente di silenziare due presunti rapporti con la pornostar Stormy Daniels e l’ex modella di Playboy Karen McDougal. Il procuratore Cyrus Vance Jr. potrà dunque avere accesso ai documenti relativi a tasse e contabilità dell’attuale inquilino della Casa Bianca da usare nel Gran Giurì, il che significa che resteranno fuori dalla conoscenza del pubblico.

La sconfitta di Trump (7-2) nella Corte Suprema è stata però raddolcita dall’altra sulle richieste delle dichiarazioni dei redditi di Trump da parte di tre Commissioni del Congresso. In questo caso la Corte ha rimandato la richiesta a una Corte di grado inferiore, considerando le richieste delle Commissioni non abbastanza specifiche. Secondo gli analisti, ci vorrà tempo e quindi gli americani non vedranno le dichiarazioni dei redditi del presidente come hanno potuto fare con quasi tutti gli altri candidati presidenziali negli ultimi decenni.

Nonostante le due apparenti sconfitte Trump ne esce bene poiché la Corte non ha imposto la consegna immediata di questi documenti. Vance dovrà ancora lottare per ottenerli e i presidenti delle tre Commissioni dovranno ancora sudare sette camice per arrivare alla loro meta. Si crede che ciò potrebbe arrivare a dopo l’elezione del 3 novembre. La Corte ha dunque bacchettato Trump sulla questione della sua immunità assoluta ma allo stesso tempo gli ha dato tempo per continuare le battaglie legali e continuare a mantenere segreti i suoi affari. Ovviamente, se Trump non fa vedere le sue dichiarazioni di redditi aumenta i sospetti che esiste qualcosa di poco limpido. Fino ad adesso ciò non lo ha danneggiato politicamente ma Joe Biden userà questo tema per aumentare i dubbi sul suo avversario.

Il fatto che Trump non possiede immunità assoluta ha rassicurato tutti poiché ci conferma che la Corte Suprema ha fatto il suo dovere ed ha agito da contrappeso alle tendenze autoritarie dell’attuale inquilino alla Casa Bianca. Gli lega le mani anche se non troppo. Conferma però il concetto basico che l’attuale presidente e quelli del futuro hanno dei limiti nei loro considerevoli poteri. Considerando che i repubblicani al Senato hanno chiuso non uno ma ambedue gli occhi alle trasgressioni di Trump almeno uno dei tre rami del potere americano ha fatto valere la sua voce. Ciononostante la decisione manda un messaggio poco rassicurante. Un presidente che non vuole cooperare con il Congresso e rispettare gli atti di comparizione può cercare di seguire la strada tracciata da Trump, cioè di ritardare e fare scadere l’orologio. Dimostra anche che la giustizia non è uguale per tutti poiché quelli con risorse, come Trump, possono usare il sistema legale facendo uso di avvocati e farla franca o almeno decelerare le decisioni e spingerle nel futuro finché i loro avversari si stanchino e alla fine prevalere.

La “vittoria” del 45esimo presidente però si potrebbe rivelare una vittoria di Pirro. Tutte le previsioni ci dicono che Trump perderà le elezioni e in sei mesi dovrà uscire dalla Casa Bianca. Non avrà più dunque i poteri del presidente e dovrà difendersi usando completamente le sue risorse di cittadino privato. Trump potrebbe concedersi la grazia come ha indicato in un tweet del 2018 in cui asserisce di avere il “potere assoluto di concedersi la grazia”. In tale eventualità lancerebbe di nuovo un’altra sfida alla Corte Suprema di decidere poiché la Costituzione non è chiara se il potere presidenziale di concedere la grazia include anche il presidente stesso. Trump potrebbe anche dimettersi e farsi graziare da Mike Pence, il suo vice, il quale avrebbe l’opportunità di divenire il 46esimo presidente, anche se per poco tempo. La grazia però sarebbe valida solo in questioni federali e non si applica ai suoi problemi legali con la procura di New York che verte su questioni statali. Quindi l’ipotesi di correre il rischio per frode fiscale e elettorale rimane.

Il rischio di condanna non è remoto. Come ha testimoniato il suo ex avvocato Michael Cohen, è molto probabile che Trump abbia mentito nelle sue richieste di prestiti alle banche gonfiando il valore delle sue proprietà ma poi sgonfiandolo quando ha fatto le sue dichiarazioni fiscali. Da aggiungere anche che, nel caso di frode elettorale che ha causato a Cohen il carcere, si cita che l’ex avvocato ha agito in coordinazione con “l’individuo numero 1”, cioè Trump stesso, i cui assegni firmati dal presidente sono stati presentati al Congresso. Queste sono alcune ipotesi che il procuratore Vance affronterà al più presto non appena riuscirà ad ottenere le informazioni richieste che la Corte Suprema ha deciso dovranno essergli consegnate. I legali di Trump hanno già intrapreso le vie legali per ostacolare o almeno ritardare di consegnare questi documenti.

Nulla sarà in ogni caso di aiuto a Biden per le elezioni del 3 novembre. I procuratori e i giudici non vogliono agire nel periodo vicino alle elezioni per non essere accusati di interferenza di parte e influenzare l’esito di un’elezione presidenziale. Il pericolo per Trump però esiste. La mezza sconfitta della Corte Suprema potrebbe rivelarsi pericolosa.

Nel suo recente comizio a Tulsa Oklahoma Trump si è auto congratulato per i “due grandi giudici alla Corte Suprema”, Neil Gorsuch e Brett Kavanaugh, da lui nominati. Anche loro però hanno votato contro di lui, dimostrando una certa indipendenza, capendo molto bene che Trump scomparirà dalla scena fra breve e la loro carica invece durerà per parecchi decenni. Il 45esimo presidente si è sentito “tradito” e lo avrebbe espresso ai suoi collaboratori. A differenza dei suoi altri collaboratori, però, Trump non può licenziare i giudici come ha recentemente fatto con Brad Parscale, il manager della sua campagna elettorale, a cui ha addossato la colpa per la situazione disastrosa in cui si trova secondo tutti i sondaggi.

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Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della  National Association of Hispanic Publications.

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