La crisi dei profughi potrebbe unire Grecia e Turchia

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Atene ha fatto sapere non sarebbe stata “la porta verso l’Ue” per gli afghani; il presidente turco Erdogan ha detto che la Turchia non sarà “il deposito di profughi dell’Europa”. Affermazioni che pongono i due governi sulla stessa linea, decise a non essere usate dall’Ue in ottica puramente contenitiva 

  

OZAN KOSE / AFP – Profughi in Turchia

La Grecia ha prima cullato e poi abbandonato poi l’idea di respingere i profughi afghani al confine turco. Una scelta determinata dall’esito della videoconferenza con cui i ministri degli Esteri d’Europa hanno fatto il punto sulla crisi umanitaria scaturita in seguito al ritorno dei talebani al potere in Afghanistan, convenendo sul ruolo imprescindibile di Ankara nel contenimento dei flussi migratori da est.

Un flusso migratorio che negli ultimi anni non si è mai arrestato, ma ora è in predicato di divenire teatro di una crisi umanitaria. Ankara e Atene sono reduci da due anni di accuse durissime, con cui la Turchia ha documentato e ripetutamente denunciato il respingimento illegale di migliaia migranti, la maggior parte proprio afghani, da parte di Atene, sia via terra che via mare.

Circostanze confermate anche da Ong attive alla frontiera, una strategia che Atene ha perseguito per mesi, ma che potrebbe abbandonare presto alla luce del fatto che una collaborazione con Ankara potrebbe risultare assai più proficua di un muro contro muro con il governo turco, che ha gioco facile a tenere la frontiera aperta e mostrare respingimenti illegali e violenti che mettono in cattiva luce Atene e tutta l’Ue.

La stessa linea di Atene e Ankara

Il ministro degli Esteri greco aveva dichiarato che la Grecia non sarebbe stata “la porta verso l’Ue” per gli afghani; il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha detto chiaramente che la Turchia non sarà “il deposito di profughi dell’Europa”. Affermazioni che pongono Ankara e Atene sulla stessa linea, decise a non essere usate dall’Ue in ottica puramente contenitiva.

Il governo turco ha ribadito più volte di essere il Paese al mondo con il più alto numero di rifugiati. Mentre lo stesso Erdogan ha pagato un prezzo altissimo in termini di consenso l’accoglienza garantita ai siriani negli anni scorsi, non può permettersi di sfidare un’opinione pubblica insofferente e sta intensificando i rapporti con il Pakistan nel tentativo di stabilizzare la regione e fermare i flussi di profughi. 

Erdogan non ha margini di errore in vista delle importantissime elezioni del 2023, non potrà permettersi un nuovo accordo di gestione dei profughi, come avvenuto con i siriani nel 2016 ed è prevedibile che in caso la situazione precipiti il confine con Grecia e Bulgaria venga aperto; gli afghani infatti, considerano la Turchia un transito verso l’Europa.

 In base a i dati dell’Agenzia Onu per i rifugiati, Unhcr, la Turchia al momento ospita almeno 117 mila afghani, mentre sono circa 40 mila gli afghani su suolo greco, 20 mila rifugiati e 20 mila richiedenti asilo, a fronte di appena 11.600 rifugiati afghani accolti dai Paesi europei nell’ultimo anno.

L’accordo con la Ue

Atene da mesi cerca di convincere Ankara a riprendere 2 mila afghani le cui domande di asilo sono state respinte, ma potrebbe desistere alla luce del ruolo che la Turchia avrebbe nel contenimento degli afghani. “Siamo dinanzi a un flusso migratorio che si è intensificato negli ultimi 3 mesi, in transito da Iran, Iraq e Turchia. È con questi Paesi che dobbiamo lavorare per prevenire a crisi umanitaria e in questo la Turchia avrà un ruolo fondamentale”, ha dichiarato l’Alto rappresentante per la politica estera europea, Joseph Borrell.

Borrell non ha però parlato di strategie dell’Europa, che sicuramente ponendo criteri per il rilascio dei visti sempre più stringenti e difficili ha spinto moltissimi afghani a scegliere la strada della migrazione illegale.

Il vecchio continente è la meta di un viaggio in tir e a piedi che passa dall’Iran, dalle alte montagne al confine con la Turchia ed è reso ancora più difficile dal muro voluto dal governo turco lungo tutto il confine con Siria, Iraq e Iran, prevede poi l’attraversamento dell’intero Paese da est a ovest.

Ai confini occidentali della Turchia alcuni pagano fino a 5 mila dollari i trafficanti che promettono di portarli in Grecia su imbarcazioni di fortuna, o li sistemano alla meglio su gommoni o piccole barche con cui sfidare le poche miglia nautiche che li separano dalle isole greche, con giubbotti di salvataggio.

Altri preferiscono la marcia fino alla riva del fiume Evros, che segna il confine tra Turchia ed Ue e da là sperano di ottenere lo status di rifugiati, tecnicamente possibile nel primo Paese Ue, o di tentare la rotta balcanica nel caso l’accoglienza venga negata.

Quando l’accordo tra Ankara e l’Ue era ancora in vigore nel 2019 furono 440 mila i migranti irregolari fermati in Turchia, mentre nel 2018 furono 268 mila. Ma il dato più significativo è che il 45,5% del totale erano afghani. Numeri che certificano che la migrazione dall’Afghanistan ha costituito un problema che negli ultimi anni l’Europa non ha mai affrontato e che ora torna prepotentemente alla ribalta con la presa di Kabul da parte dei talebani.

Erdogan ha perso consenso negli ultimi anni proprio a causa della politica delle porte aperte ai siriani, mentre nelle ultime settimane opinione pubblica e i social sono da settimane in fermento per l’arrivo dei profughi e una nuova strategia dell’accoglienza sarebbe un suicidio in vista delle elezioni del 2023.

Atene si trova costretta a premere sull’Ue per una strategia comune che coinvolga e convinca la Turchia, anche se al momento l’unica strada comune per Erdogan e l’Europa sembra quella che porta a fermare il flusso di profughi alla sorgente, un’operazione che se non dovesse riuscire non lascerebbe altra scelta al presidente turco che l’apertura dei confini con l’Ue. agi

Redazione Corriere Nazionale

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