La difesa della Cina passa dai blogger ultra-nazionalisti “Ziganwu”

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È l’esercito di blogger che sulla più popolare piattaforma social sparge messaggi che cavalcano l’onda del sentimento patriottico e nel mirino finisce chi non si allinea alle posizioni ufficiali 

© stringer / Imaginechina via AFP 
– L’app del social network cinese Weibo

 La difesa della Cina non passa solo attraverso i “lupi guerrieri” della diplomazia, ma anche da un esercito di blogger agguerriti che su Weibo non si lasciano sfuggire occasioni per rimarcare l’amore per la patria e condannare gli attacchi, diretti o indiretti, a Pechino.

Sono gli “ziganwu”, termine che richiama alla mente i commentatori “wumao” (cinque mao, la metà di uno yuan) così chiamati dal compenso ottenuto per la diffusione di ogni post propagandistico: l’esercito di blogger nazionalisti opera in proprio e senza nessun compenso diretto, ma ha guadagnato forte visibilità sulla piattaforma social più popolare in Cina – spesso paragonata a una sorta di Twitter controllato dalla censura – spargendo messaggi e video che cavalcano l’onda del sentimento patriottico.

Tra di loro, uno dei casi più in vista è quello di Guyanmuchang, da cui prende spunto un servizio della Bbc dedicato al fenomeno che ha preso piede sull’internet cinese: la blogger conta 6,4 milioni di follower sulla piattaforma, e dietro un profilo apparentemente placido, lancia attacchi al vetriolo, spingendosi oltre i limiti imposti al linguaggio delle dichiarazioni ufficiali dei portavoce di Pechino.

I “separatisti” di Taiwan, l’Unione Europea “al guinzaglio” degli Stati Uniti, gli attivisti pro-democrazia di Hong Kong, le polemiche sulle violazioni dei diritti umani nello Xinjiang e gli attriti con l’India – con cui dallo scorso anno si sono riaccese le dispute territoriali sul lungo confine himalayano – sono tra i temi più gettonati dai giovani, e ripostati dai follower.

La fama degli ziganwu cresce con l’innalzarsi dei toni della retorica di Pechino. Nessun dissenso è ammesso, e nel mirino degli account social più agguerriti finisce anche chi non si allinea alle posizioni ufficiali: di recente è stato bersaglio di critiche l’esperto di malattie infettive Zhang Wenhong, il “Fauci cinese”, che a un certo punto sembrò avanzare l’ipotesi che fosse necessario convivere con il Covid-19, distanziandosi dalla rigida politica di “casi zero” seguita dal governo; o ancora la scrittrice Fang Fang, che ha attirato l’attenzione internazionale lo scorso anno per un suo diario nel quale ha descritto le fasi iniziali dell’epidemia a Wuhan, e che viene visto come “una pugnalata alla schiena” dagli ziganwu.

Sono esempi di “nazionalismo fast food”, come li definisce l’esperta di social media cinesi, Manya Koetse, interpellata dalla Bbc.

I “separatisti” di Taiwan, l’Unione Europea “al guinzaglio” degli Stati Uniti, gli attivisti pro-democrazia di Hong Kong, le polemiche sulle violazioni dei diritti umani nello Xinjiang e gli attriti con l’India – con cui dallo scorso anno si sono riaccese le dispute territoriali sul lungo confine himalayano – sono tra i temi più gettonati dai giovani blogger ultra-nazionalisti nei loro video e nei loro messaggi, e ripostati dai follower.

La fama degli ziganwu cresce con l’innalzarsi dei toni della retorica di Pechino. Nessun dissenso è ammesso, e nel mirino degli account social più agguerriti finisce anche chi non si allinea alle posizioni ufficiali: di recente è stato bersaglio di critiche l’esperto di malattie infettive Zhang Wenhong, il “Fauci cinese”, che a un certo punto sembrò avanzare l’ipotesi che fosse necessario convivere con il Covid-19, distanziandosi dalla rigida politica di “casi zero” seguita dal governo; o ancora la scrittrice Fang Fang, che ha attirato l’attenzione internazionale lo scorso anno per un suo diario nel quale ha descritto le fasi iniziali dell’epidemia a Wuhan, e che viene visto come “una pugnalata alla schiena” dagli ziganwu.

Sono esempi di “nazionalismo fast food”, come li definisce l’esperta di social media cinesi, Manya Koetse, interpellata dalla Bbc.

Il mix di sentimento nazionalista, avversione per l’Occidente e ripresa della cultura e dell’identità cinese è potenzialmente esplosivo, ma i blogger più agguerriti piacciono anche agli stessi media statali e alle amministrazioni locali, che li invitano agli eventi ufficiali.

E così, cavalcare l’onda del nazionalismo è anche un modo per candidarsi come influencer: Guyanmuchang, il cui vero nome è Shu Chang, è apparsa a eventi organizzati dall’amministrazione di Yantai, a seminari di Youth.cn, il giornale della Lega Giovanile Comunista, e a luglio scorso figurava tra gli “ambasciatori su internet” della provincia del Guangdong, ricorda la Bcc.

Pur operando a titolo gratuito, i blogger pro-Cina guadagnano visibilità e possono ottenere un ritorno economico dai contenuti sponsorizzati e dalla pubblicità: secondo le stime di un accademico Fang Kecheng, citato dall’emittente britannica, un account con oltre un milione di follower può arrivare a fruttare qualche centinaio di migliaia di dollari all’anno.

In sostanza, i giovani blogger pro-Cina sfruttano un sistema che censura le voci di dissenso rinvigorendo il consenso, ma l’operazione non è priva di rischi: l’eccessivo fervore, se finisce con l’allontanarsi dalla retorica governativa, potrebbe comportare sospensioni temporanee, come è capitato, di recente, proprio a Guyanmuchang, che ha immediatamente reindirizzato i seguaci su una pagina Weibo alternativa dopo avere ricevuto uno stop di quindici giorni.

Nel mirino dei blogger ci sono, ovviamente, anche i temi che innescano controversie tra la Cina e l’Occidente, come i diritti umani e la democrazia, e la stessa stampa occidentale, generalmente accusata di distorcere l’immagine della Cina: il servizio della Bbc, come prevedibile, non è piaciuto alla blogger cinese, che lo ha criticato in un video pubblicato nella serata di ieri dove menziona, tra le altre cose, la celebre serie televisiva House of Cards (citata in anni passati dallo stesso presidente cinese, Xi Jinping, per difendere la politica di Pechino dalle accuse di intrighi) e la lunga disputa tra Cina e Australia.

“È pieno di rumors e pregiudizi, ovviamente. Non lo capisco”, è la critica di Guyanmuchang. Anche se i bersagli principali degli ziganwu sono gli stessi del governo cinese, nel mirino dei blogger ultra-nazionalisti finiscono anche molti altri apparentemente insospettabili.

Di recente è stato il turno della nazionale di calcio brasiliana: i giocatori della seleção sono rei di essersi legati le felpe alla vita durante la premiazione per l’oro olimpico conquistato a Tokyo 2020, nascondendo in questo modo il marchio Peak, l’azienda cinese che le ha realizzate. Lo hanno fatto “deliberatamente” e il logo era “completamente invisibile”, sostiene Ziganwuhang, che chiede il boicottaggio delle sponsorizzazioni alla nazionale verde-oro. agi

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