La dimensione geopolitica dalla “guerra nell’ombra” tra Armenia ed Azerbaigian

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Markus Krienke

Ufficialmente si tratta di una reazione a provocazioni da parte dell’Armenia: fatto sta che l’Azerbaigian sembra sfruttare la situazione che la Russia, potenza protettrice dell’Armenia nonché con 2000 soldati presenti nel Caucaso del Sud garante di una pace apparente, sta vivendo un momento difficile nella guerra con l’Ucraina: nel quasi totale silenzio dei media internazionali, nella notte tra il 12 e il 13 settembre l’Azerbaigian ha rotto il cessate il fuoco raggiunto da Putin nel 2020, entrando nelle parti meridionali del Paese, concretamente nelle province di Syunik e Gegharkunik. Mentre l’Armenia accusa l’Azerbaigian di aver aperto il conflitto, quest’ultimo si giustifica con provocazioni e azioni militari di Yerevan sul confine. Ieri sera alle ore 20 è entrato in vigore un cessate il fuoco, dopo qualche tentativo nei giorni scorsi auspicabilmente quello definitivo, annunciato dall’Armenia ma finora non confermato da Baku. Nei due giorni di scontro armato, sono caduti 105 soldati armeni, mentre l’Azerbaigian comunica 54 morti. Certamente sono dati emessi dalle due parti e difficilmente accertabili.

Solo due anni fa, il complicato processo di pace, che il Gruppo di Minsk – formato dall’OSCE nel 1992 intorno a Francia, Russia e Stati Uniti – da trent’anni cerca di garantire invano, fu bruscamente interrotto da uno scontro che in sei settimane ha causato 6.600 morti. Entrambi i Paesi si contendono da più di un secolo l’enclave di Nagorno-Karabakh, di maggioranza armena e quindi cristiano-ortodossa, ma sotto controllo internazionalmente riconosciuto dell’Azerbaigian musulmana. Negli scorsi tre decenni, sotto la protezione della Russia – e prima ancora come parte dell’Unione Sovietica – l’Armenia è sempre riuscita a garantire la quasi indipendenza del territorio, chiamato Artsakh, che ha poi anche permesso la formazione di un’amministrazione praticamente autonoma. Dalla fine dell’URSS, però, Baku – e del resto nemmeno l’Armenia – non ne ha mai riconosciuto l’indipendenza.

Con la rivoluzione pacifica in Armenia del 2018, aumentarono le speranze in una soluzione del conflitto che iniziò 100 anni fa quando Nagorno-Karabakh fu assegnato, con l’aiuto dell’Impero Ottomano e la Gran Bretagna all’Azerbaigian. Tale decisione fu confermata dall’Unione Sovietica nel 1920 che d’ora in poi avrebbe garantito la pace con la sua potenza militare, fino appunto al suo crollo. Agli anni 1992-1994 risale infatti il momento più sanguinoso del conflitto con 30.000 morti. Questa situazione molto instabile sfociò poi nella guerra del 2020 in cui la Turchia aiutò l’Azerbaigian musulmana anche con l’impiego di tecnologie militari avanzate. L’Armenia cristiano-ortodossa ricevette aiuto da parte della Russia che mediò poi anche il cessate il fuoco del 9 novembre 2020.

Ora, mentre Putin si trova nel Gruppo di Minsk insieme alla Francia e gli Stati Uniti a intimare la Pace, la Turchia ha subito dichiarato le proprie garanzie per Baku. Si è creato, insomma, un conflitto che nell’attuale situazione internazionale, determinata dalla guerra in Ucraina, potrebbe avere effetti di interferenza che nessuna delle parti del conflitto vorrebbe. Mosca chiama entrambi i Paesi alla moderazione e a risolvere il conflitto per via politico-diplomatica, evitando di schierarsi dalla parte di Yerevan in quanto ciò causerebbe delle tensioni con la Turchia. E un altro fronte Putin in questo momento non vuole aprirlo per certo. A rendere la situazione ancora più complessa, per gli equilibri internazionali, è il fatto che il 18 luglio, e quindi nemmeno due mesi fa, Ursula von der Leyen ha twittato: «L’Ue si sta rivolgendo a fornitori di energia più affidabili. Oggi sono in Azerbaigian per firmare un nuovo accordo»: si è concordato, infatti, un raddoppio della fornitura entro il 2027 che arriva in Europa attraverso il Gasdotto Trans-Adriatico il quale approda in Puglia. Molti gli elementi in comune, quindi, con l’attuale conflitto nell’Ucraina: dato che si tratta di un’aggressione da parte di Azerbaigian, come si posizionerà l’UE?

Come si comprende immediatamente, questa ulteriore destabilizzazione nel Caucaso, sul confine tra l’Europa e l’Asia e carico di una divisione etnica e religiosa, nella situazione mondiale attuale in cui le grandi potenze riescono sempre di meno a garantire una situazione di ordine e pace, inoltre al centro di una questione di rifornimenti energetici importanti, non può che essere visto con preoccupazione da parte della comunità internazionale. Ci fa senz’altro capire che l’ordine internazionale sarà uno dei problemi centrali del futuro, e che le virtù imprescindibili dei suoi protagonisti saranno prudenza e lungimiranza nonché moderazione e spirito di collaborazione.

fonte balcanicaucaso.org

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