La disfatta del progetto renziano

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Con l’elezione di Maurizio Martina a nuovo segretario del Partito Democratico si chiude, almeno formalmente e (forse) temporaneamente, la ‘fase’ di Matteo Renzi. Forse un uomo giusto ma al momento sbagliato, ma in grado da spaccare il Pd come mai nessuno aveva fatto prima.

Renzi, con la sua leadership forte e pseudo populista, ha diviso l’opinione pubblica, tra chi lo ama e chi lo odia. Si è reso colpevole di aver portato il Pd ai minimi storici alle elezioni del 4 marzo 2018: il 19% per l’unica forza vagamente di sinistra presente sullo scenario politico italiano è una enorme disfatta, non per la percentuale in sé, ma per colpa della eccessivo contro bilanciamento della destra populista che tra Forza Italia, Fratelli d’Italia, Lega e M5S sfiora il 69% dei consensi (per semplicità e per la limitatezza dell’impatto politico non considero i partiti minori sia della coalizione di centrodx che di centrosx).

La domanda da farci è: il Partito Democratico oggi, quale sinistra rappresenta? O meglio si può considerare un partito di sinistra? L’elettore di appartenenza legato a figure quali Walter Veltroni o Piero Fassino, può essere confuso nel votare il Pd odierno poiché raffigura una sinistra moderna e fin troppo in linea con l’attualità.

Renzi è stato in grado di trasformare il Pd in una macchina funzionale alla sua leadership populista. Non che sia giusto o sbagliato, ma ha attuato la strategia tipica del berlusconismo del primo decennio del Duemila: il partito è al servizio del leader. Ma la differenza rispetto a Forza Italia di Berlusconi è che mentre Fi è nato come tale, con una forte impronta mediatica e personalizzata, dove il fondatore è quasi venerato come figura carismatica; il Partito Democratico non ha mai avuto una simile tendenza, anche a causa della natura congressuale tipica della sinistra tradizionale. Dunque una simile ‘rivoluzione’ è stata un azzardo in una formazione politica tipicamente impegnata nel vivace dibattito interno, tipico del pluralismo della sinistra. Un pluralismo che nel contesto italiano non si è mai spento e che continua a mantenere la riflessione viva, anche se fonte di dissidi e (anche) di divisioni.

Il momento più critico dell’opposizione interna all’ex segretario è stata la scissione di alcuni dei membri fondatori del Pd quali Pier Luigi Bersani, Massimo D’Alema, Roberto Speranza che hanno fondato Articolo 1-Movimento Democratico e Progressista (25 febbraio 2017), e Pietro Grasso che costituisce Liberi e Uguali (3 dicembre 2017).  Nonostante la riconferma a segretario nell’aprile del 2017, la contestazione a Matteo Renzi non accenna a placarsi.

Maurizio Martina dunque rappresenta la speranza di rinascita di un partito troppo abituato ad essere concentrato più sullo scontro che sull’incontro, più conosciuto per i litigi interni che per i meriti politici. Martina rappresenta l’uomo tipico della sinistra: moderato, pacato, gradito alle varie correnti del Pd. È l’uomo del compromesso per una sinistra che stava sparendo e che oggi ha bisogno di tempo per rimettersi in piedi e accreditarsi come forza capace opporsi all’ondata populista che ha investito la penisola italiana.

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