La disinformazione e il suo impatto sull’opinione pubblica

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di DONATELLO D’ANDREA

Da quando si è verificato il primo caso di coronavirus a Wuhan, i media hanno cominciato a diffondere una mole impressionante di informazioni, aggiornamenti e indiscrezioni circa la sua diffusione. Un numero così elevato che ha costretto l’Organizzazione mondiale della sanità a dichiarare la pandemia da Covid-19 una infodemia.

Tra i continui aggiornamenti, ovviamente, si celano anche notizie che con la verità c’entrano ben poco. Il video del TGR Leonardo sulle sperimentazioni cinesi e il comunicato dell’AGI circa le intercettazioni sono soltanto l’ultima di una lunghissima serie di bufale scritte o in video.

I maggiori responsabili della diffusione delle notizie circa il coronavirus sono, ovviamente, i media digitali i quali, operando sui social, contribuiscono a mantenere aggiornata la popolazione con il rischio di rendere virale una bufala, pericolosa per l’impatto sociale che può generare.

Per questo semplice motivo la stessa OMS ha deciso di avviare una collaborazione con tutti i social e i motori di ricerca come Google e Facebook con l’intento di porre fine alla disinformazione, controllare i falsi miti e sventare i complotti. 

La stessa OMS si è anche rivolta a tutti gli utilizzatori dei social media: ognuno di noi ha infatti il dovere di condividere coscientemente le informazioni sulla pandemia, evitando il più possibile la diffusioni di bufale virali o di notizie dubbie.

Per la prima volta l’umanità sta sperimentando una pandemia che va combattuta non solo sul campo della scienza ma anche in quello dell’informazione.

Una pandemia al tempo della disinformazione

La battaglia, dunque, non è solo medica bensì anche mediatica. A Wuhan è nata un’epidemia che, per la prima volta nella storia, si è evoluta in infodemia. In questo senso la disinformazione gioca un ruolo fondamentale nel instillare cattivi pensieri all’interno delle menti degli ignari lettori. Come spesso accade, le fake news sono nemiche nel trovare una soluzione e alimentano ossessioni circa modi di fare controproducenti. E’ il caso delle amuchine fatte in casa adoperando la candeggina oppure di mascherine fai da te.

L’infodemia sta ostacolando gli sforzi per contenere la pandemia, diffondendo panico e pregiudizi, quando invece la solidarietà e la collaborazione sarebbero state imprenscindibili per salvare vite umane.

In rete abbondano teorie oscure e cospirative, false rivendicazioni circa l’origine del virus come creato in laboratorio e avente l’obiettivo di destabilizzare l’umanità. La più famosa è sicuramente quella dell’arma batteriologica. Le false teorie circolano rapidamente online in tutti i Paesi del mondo e in quasi tutte le lingue più diffuse contribuendo alla loro rapida diffusione.

Combattere la contraffazione mediatica è diventata una sfida, non l’unica quando si parla della disinformazione ma certamente la più importante.

Il problema è complesso. Non si tratta di eliminare solamente delle notizie false bensì di instillare nella popolazione un metodo per riconoscere la contraffazione mediatica attraverso l’accesso sicuro e tutelato ad informazioni accurate e certificate su come proteggere sé stessi e gli altri.

Coronavirus: il complotto, la propaganda e il TGR Leonardo

Come ormai è noto, il fantomatico servizio del TGR Leonardo del novembre 2015, il quale trattava il tema di un virus realizzato in Cina, è l’ennesima notizia falsa, diventata virale, e che ha catturato l’attenzione di un certo numero di utenti social innamorati del complotto.

“Un gruppo di ricercatori cinesi innesta una proteina presa dai pipistrelli sul virus della SARS, la polmonite acuta, ricavato dai topi”. Basterebbe questa spiegazione per comprendere che non si tratta del nuovo coronavirus. Perché? Per il semplice motivo che il Covid-19 conosce come prima fonte il pipistrello e non il topo.

In particolare il video mostra uno studio di una dottoressa che vuole dimostrare come la famiglia dei coronavirus possa compiere salti di specie. Nel servizio si parla dell’SHC014-CoV, un coronavirus tipico dei pipistrelli, il quale aveva il potenziale per effettuare un salto di specie, inserendo nella struttura generale del vecchio SARS-CoV una proteina dal nome “spike” e notando che infettava dei topi geneticamente affini al modello umano con una malattia non letale.

In poche parole, non si tratta del “nostro” coronavirus bensì di un esperimento che dimostra, per motivi scientifici e di studio, come le famiglie di coronavirus siano in grado di compiere un salto di specie.

Il servizio non è la classica fake news infondata. La cosa non veritiera è il contesto in cui lo stesso è stato inserito. In questo frangente si inserisce l’uso propagandistico delle notizie false per fini politici.

La disinformazione per scopi politici è un’arma adoperata in tutti Paesi per diffondere sfiducia nei media tradizionali, negli avversari politici e soprattutto nelle istituzioni. Nel caso italiano questa, rispetto agli altri Paesi, è ancora allo stadio embrionale. A questo proposito come non citare le fake news adoperate per favorire la Brexit o per favorire l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca. La tecnica di utilizzo della disinformazione per fini politici, nel nostro Paese, non è ancora a questo livello ma comunque esiste, è in rapida espansione e sta conoscendo, ora più che mai, nuova linfa con il Covid-19.

Sia gli sfoghi propagandistici che i complotti si adoperano di studi scientifici, come nel caso del servizio del telegiornale, rimodulati secondo l’esigenza del momento. Inoltre non vengono menzionate opinioni di esperti e ulteriori studi semplicemente perché non utili ai fini del complotto. Non si tratta di omertà, di cui spesso si accusa la comunità scientifica sospettata di sapere troppo e di non divulgare perché schiava dei “poteri forti”, bensì di un fine unico facente riferimento alla volontaria disinformazione.

Nel particolare, vengono citati studi compiuti nel fantomatico laboratorio di Wuhan ma viene volutamente nascosto che l’isolamento del coronavirus in più parti del mondo abbia dimostrato che sullo stesso non ci sono tracce di ingegnerizzazione, cioè di manipolazione. Non è possibile nemmeno che lo stesso sia stato “allevato” in laboratorio e gli studi in merito hanno sempre dimostrato di non avere basi scientifiche. Le ricerche sui patogeni di origine zoonotica, soprattutto sui pipistrelli, sono cosa normale da diversi anni e sono sempre avvenute alla luce del sole.

Non sono solo le evidenze scientifiche, di difficile lettura, ad aver smentito qualsiasi origine complottista alla base del coronavirus, ma anche gli esperti. In Italia diversi scienziati si sono mobilitati, bocciando senza appello le suggestioni del virus ingegnerizzato. A partire da Roberto Burioni, il virologo dei social che ha citato il famosissimo articolo di Nature, definendo il complotto come “ultima scemenza”.

Anche professori del calibro di Guido Silvestri hanno riferito che le teorie del complotto sono “pericolose e infondate”. L’epidemiologo Lopalco ha spiegato che creare un virus in laboratorio “funzionante” sarebbe costoso e difficile, poiché alcune particelle virali, come accade spesso, verrebbero uccise dal sistema immunitario delle persone. In barba a queste importanti testimonianze, però, molte suggestioni sono partite proprio da questo assunto: l’arma creata contro l’uomo.

L’ultima testimonianza illustre in chiave anti complotto è quella di Massimo Galli, primario del Sacco di Milano, il quale ha ribadito che sulla base delle caratteristiche e del suo comportamento in natura, questo non sia altro un virus che si è evoluto al di fuori di un laboratorio.

Un problema di responsabilità

L’OMS alla luce di quanto detto, ha coinvolto non solo i social ma anche i giornalisti e i media digitali nella propria battaglia contro la disinformazione. La carta stampata ha la responsabilità di mettere la salute pubblica davanti ai titoli da clickbait che diffondono il panico.

Informare correttamente il pubblico risponde ad un preciso dovere che va ben oltre il codice deontologico che ogni giornalista sottoscrive moralmente ogniqualvolta si ritrova a dover scrivere un articolo. Combattere i falsi miti e fornire solide prove sono passi fondamentali per sconfiggere la malattia, sensibilizzando un’opinione pubblica già spaventata dal numero dei morti.

Come nel caso della Brexit, l’impatto che una fake news può provocare sull’opinione pubblica è variegato. Si va dall’incredulità più certa alla cieca fiducia come nel caso di una coppia statunitense che ha ingerito della clorochina, contenuta in un disinfettante per acquari, dopo aver ricevuto un messaggio su Whatsapp. Attualmente il marito è morto, la donna è ricoverata in gravi condizioni. Con la mole di notizie fuorvianti circolanti sui social, gli episodi del genere potrebbero moltiplicarsi. Fake news di questo calibro ci sono e vanno dall’autodiagnosi ai disinfettanti fatti in casa. Che impatto potrebbero avere informazioni del genere su una popolazione impaurita?.

In alcuni Paesi la diffusione di fake news è stata usata come pretesto per ingabbiare i dissidenti del governo, come in Ungheria. In democrazia, quella vera, questo compito spetta non solo al governo, bensì anche all’opinione pubblica e al suo buonsenso.

I social si stanno rivelando un’importante veicolo per le informazioni che vengono da fonti ufficiali. In questo frangente svolgono un ruolo positivo. I giornalisti di tutto il mondo hanno utilizzato i social cinesi per ottenere informazioni sulla situazione. Inoltre, l’abbondanza di notizie circolanti sui social ha portato il governo di Pechino a dare informazioni più precise circa il coronavirus, pur non volendo. Sugli stessi si è manifestato anche il malcontento dei cittadini nei confronti dello stato circa “l’imbavagliamento” dei primi medici che hanno parlato del virus.

La disinformazione, dunque, non deriva dall’esistenza dei social bensì dal loro utilizzo. In alcuni frangenti gli stessi si sono rivelati utili per veicolare le informazioni e costringere i governi a rivolgere più attenzione all’opinione pubblica. I problemi maggiori derivano dal loro utilizzo per scopi politici, come nel caso della Russia che ha diffuso false notizie per screditare l’Unione Europea o come nel contesto italiano e di alcuni partiti politici che in barba al senso di responsabilità hanno usato il Covid-19 per fare campagna elettorale.

Affinché la disinformazione abbia fine, è importante rispolverare Cartesio, il quale definiva il dubbio come l’inizio della sapienza. Il trucco per riconoscere una fake news è quello di diffidare, non dando per vero qualsiasi cosa circoli sul web, orientarsi, cioè stilare una lista di siti affidabili dove confrontare la notizia, controllare su questi siti l’esistenza di ciò che avete trovato nel web e, infine, aspettare una smentita ufficiale. Esistono varie guide circa la verifica di una notizia fuorviante redatte da giornali e addirittura dagli stessi social, da diversi anni in prima linea contro la disinformazione.

Inoltre, se si tratta di notizie false diffuse da politici per avere qualche ritorno elettorale, un richiamo alla responsabilità sarebbe gradito. Non è tempo per la propaganda elettorale, con decine di migliaia di morti in Italia e nel mondo; il virus va combattuto solamente con il buonsenso e l’unità. Questa emergenza, di cui chiunque avrebbe fatto volentieri a meno, è l’opportunità per affilare l’orgoglio nazionale e sfoggiarlo con fierezza in ogni luogo, in primis condividendo con saggezza ciò che si trova in rete, facendo attenzione a non alimentare inutili allarmismi.

Per approfondire:

Articolo di Nature: https://www.nature.com/articles/s41591-020-0820-9

Guida alle fake news: https://www.liberopensiero.eu/25/03/2020/attualita/come-riconoscere-una-fake-news-ed-evitare-di-condividerla/

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