La donna etiope che alla quinta gravidanza scoprì gli anticoncezionali

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Amarech ha 36 anni. La sua storia diventa un racconto corale di una battaglia per affermare i diritti e “lo spazio vitale” delle donne etiopi. Entrando nelle sue sfide sanitarie ed economiche si apre uno spaccato di un Paese che grida l’urgenza di una forte emancipazione della donna

© EDUARDO SOTERAS / AFP- Donne etiopi

Secondo la sede regionale africana dell’Organizzazione Mondiale della Salute, le interruzioni dei servizi sanitari essenziali dovute alla pandemia di COVID-19 hanno avuto un pesante impatto sulla salute delle ragazze e delle donne. Il 40% dei Paesi africani riporta interruzioni dei servizi sanitari sessuali, riproduttivi, materni, neonatali, infantili e adolescenziali.

Amarech, il cui nome in Etiopia significa “desiderabile”, è una donna di 36 anni. La sua storia di mamma di sette figli diventa un racconto corale di una battaglia per affermare i diritti e “lo spazio vitale” delle donne etiopi. Entrando nelle sue sfide sanitarie ed economiche – legate anche alle sue gravidanze ripetute – si apre uno spaccato dell’Etiopia che grida l’urgenza di una forte emancipazione della donna. Siamo nella zona rurale di Walaita, nella regione Sud dell’Etiopia, e il film documentario di Elias Amare e Dagmawi Yimer, segue Amarech e i suoi incontri con le altre donne del villaggio.

La sua attività quotidiana è quella di una donna determinata a cambiare la propria situazione famigliare e quella della comunità in cui vive. Pronta a confrontarsi con uomini e leader religiosi, per cambiare il corso delle cose, su temi tabù: sesso, salute sessuale, pianificazione familiare. Un confronto duro, esplorato in maniera palese nel film documentario, dove la donna si scontra con un leader religioso.

“Sono qui per conto della chiesa”, dichiara il leader religioso, nel documentario. “Voglio parlarti della pianificazione familiare: va contro il volere di Dio”. Per questo motivo, Amref Health Africa, negli anni, ha lavorato duramente per sfatare i pregiudizi sull’uso della contraccezione: ha tenuto diversi incontri con i leader religiosi e tradizionali per poter discutere insieme delle conseguenze di una mancata pianificazione familiare.

La storia di Amarech inizia con un racconto straziante della sua prima gravidanza. “Furono i miei suoceri a dirmi che ero incinta”, racconta. “Io ero ancora una bambina, non sapevo cosa volesse dire. Non mi sentivo a mio agio con mio marito, volevo mia mamma”. La sua gravidanza fu accompagnata da sensazioni da forti disagi e un debilitante senso di depressione. “Volevo morire, provavo vergogna, venivo da una famiglia povera e non avevo via di scampo”.

“Al quarto mese di gravidanza, incinta del mio quinto figlio, presi un medicinale senza prescrizione, per abortire”, continua il suo racconto Amarech. “Vidi la morte in faccia. Salvarono me e mio figlio con un intervento d’urgenza. Solo allora scoprii i metodi contraccettivi. Nessuno me ne aveva mai parlato”. Nonostante le intimidazioni della chiesa, Amarech decise di limitare le probabilità di nuove gravidanze.

Amarech dedica oggi la sua vita a sensibilizzare le donne della zona rurale di Walaita, andando di casa in casa, spiegando loro l’importanza della pianificazione familiare e raccontando loro i rischi delle gravidanze precoci o troppo ravvicinate. “Non augurerei a nessuno la sofferenza che ho provato io”.

Come ricorda il regista Yimer, chiamato a raccontare le sfide della donna e i temi della salute sessuale “ad Addis Abeba, la sensibilizzazione sulla pianificazione familiare, è presente fin dagli inizi degli anni 90”. Poi ricorda un aneddoto: “Era così popolare che ne nascevano perfino storie curiose”. Il regista ricorda il racconto di un padre che seguiva una formazione rivolta alle famiglie, sul tema del vantaggio sanitario ed economico di dilazionare la nascita dei figli. In un incontro l’uomo rispose al formatore: “Sì, io ho diversi figli. Uno in Harar, una in Jimma, un altro in Addis Abeba”.

Aveva pensato che si parlasse di distanza fisica e non temporale nel fare figli, rivelando la difficoltà di spiegare certe terminologie in un contesto africano nel quale fare figli è visto ancora oggi come una benedizione. Trenta anni dopo lo stesso argomento viene introdotto nelle zone rurali. Il documentario mostra con efficacia quanto oggi le donne siano più attive nell’innescare processi di partecipazione, che le vedono protagoniste del family-planning.

Il documentario “Amarech” – titolo provvisorio – è stato girato in Etiopia nel bel mezzo della pandemia di COVID-19. Situazione che, se da una parte ha reso difficile gli spostamenti e la programmazione delle riprese, dall’altra invece ha reso possibile la creazione di strategie di collaborazione tra due registi che vivono in luoghi lontani: Elias Amare in Etiopia e Dagmawi Yimer in Italia.

Il documentario, parte del progetto RESET Plus – finanziato dall’Unione Europea e che vede Amref Health Africa parte di un consorzio di organizzazioni che operano sul territorio – ha come obiettivo principale contribuire alla resilienza delle comunità delle aree di Wolayta, South Omo, Wag Himra, Bale e Borena attraverso consolidate pratiche di pianificazione familiare, parità di genere e riduzione della pressione demografica.

Solo nel 2020, circa 519 mila persone sono state raggiunte attraverso 206 progetti di pianificazione familiare, in Africa. Tra questo, il progetto RESET Plus, che deriva da una presa di coscienza della stretta correlazione che esiste tra pianificazione familiare, salute sessuale-riproduttiva e dalla capacità delle comunità di reagire a crisi di vario genere. Dal 2018, un’alleanza composta da Amref Health Africa, CARE, Save the Children, We-Action, sta operando su questi temi in tre Regioni dell’Etiopia: Amara, Oromia, la Regione delle Nazioni, Nazionalità e Popoli del Sud.     agi

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