La magica follia dell’Orlando ariostesco

Arte, Cultura & Società

Di

di Stefania Romito

Ludovico Ariosto cominciò a scrivere l’Orlando Furioso, poema cavalleresco in ottave, nel 1504 circa. Pubblicò la prima edizione in 40 canti nel 1516, una seconda edizione riveduta e corretta nello stile, nel 1521. L’ultima edizione, la definitiva, in 46 canti, uscì nel 1532. Il poeta impiegò una vita, quasi trent’anni, a correggere la sua opera. Quando morì nel 1533, restavano dei frammenti che egli stesso non aveva voluto inserire nel poema e che vennero pubblicati dal figlio con il titolo di Cinque Canti.

Nel poema gli eventi sono intrecciati in maniera magistrale. Nessun personaggio viene sacrificato a vantaggio di altri. Nessuna situazione resta incompiuta. Le vicende danno l’impressione di poter continuare all’infinito. Si alternano continuamente per evitare che un tema narrativo prenda il sopravvento: il tono drammatico con l’idillico e il comico, l’amoroso con l’avventuroso, il realistico col fantastico, le scene di forza con quelle di tenerezza. Non esiste un luogo fisso: l’azione è sempre dinamica e mutevole.

Vi è un quadro estremamente vario della psicologia umana. Passioni e sentimenti si avvicendano di continuo, senza che mai uno prevalga sull’altro (amore, eroismo guerriero, gusto dell’avventura si armonizzando perfettamente). Tuttavia, nessun personaggio presenta un complesso sviluppo psicologico individuale, cioè un contrasto interiore di bene e male (ad es. Bradamante impersona la fedeltà e solo questa), benché l’Ariosto eviti con cura la figura dell’eroe invincibile, sovrumano. La stessa donna non è più un angelo o un demone (come nel Medioevo), ma un essere umano.

Tuttavia i personaggi restano individualistici, generalmente incuranti dell’interesse generale. Non esiste un riferimento ideale particolare. L’Ariosto esclude dalle vicende terrene ogni intervento provvidenziale o divino. La religione non è mai vista come fonte di dissidio interiore né come guida dell’agire umano. Essa è piuttosto una condizione che influisce esteriormente su alcune situazioni (ad es. Ruggero deve convertirsi al cristianesimo per sposare Bradamante).

I personaggi si muovono sulla base dei loro istintivi impulsi vitali. I caratteri sono naturali, a volte volubili (ad es. Angelica da fredda e altera diventa dolce con Medoro; l’eroe forte e avveduto Orlando diventa pazzo d’amore). Vi sono anche alcuni temi pessimistici: l’amore non apprezzato e non corrisposto, i desideri perseguiti con affannosa tensione e mai appagati, l’inutile correre degli uomini dietro le proprie illusioni (vedi ad es. il castello di Atlante, ove viene rinchiuso Ruggero per impedirgli di sposare Bradamante).

Qui i cavalieri vengono attratti dalla falsa immagine (suscitata dal mago) di un bene a lungo cercato, come ad es. una persona amata, ma una volta entrati nel castello l’immagine subito scompare, per ricomparire appena essi ne escono. La pazzia, la vanità, le illusioni dimorano stabilmente sulla Terra, mentre la ragione è sulla Luna. Infine, il prevalere della “fortuna” (caso) sulla capacità dell’uomo di dominare il proprio destino. L’Ariosto guarda con ironia, cioè con distaccata superiorità le assurde vicende degli uomini, vittime delle loro illusioni e delle loro passioni: però è un’ironia comprensiva non sprezzante. Vi sono anche elementi di critica politica: contro il malgoverno e la follia dei principi italiani che, lottando tra di loro, facevano entrare gli stranieri in patria, cosa che impediva di combattere i turchi, che allora erano molto potenti.

 

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