La marcia dei migranti raggiunge il Messico

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Il Centro di Tapachula è completamente invaso. I vescovi messicani affermano che “le grida dei poveri ci interpellano”. I presuli dell’Honduras chiedono che siano garantiti i diritti umani di quanti sono in cammino
Sono già almeno 5 o 6mila i migranti in marcia per raggiungere gli Stati Uniti, perlopiù honduregni, entrati in territorio messicano, nonostante l’iniziale sbarramento delle forze dell’ordine. Fin dalla serata di venerdì è stata data la precedenza a donne e bambini. In gran parte i migranti arrivano in Messico dall’ultimo avamposto in terra guatemalteca, Tecún Umán, dove si ammassano in migliaia per attraversare il ponte sul rio Suchiate e giungere così a Ciudad Hidalgo, primo centro in territorio messicano. Tapachula dista pochi chilometri ed è lì che si concentra la prima accoglienza. “Qui è un caos – ha detto ieri all’Agenzia Sir padre padre César Augusto Cañaveral Pérez, coordinatore della mobilità umana della diocesi -. Il centro è completamente invaso”.

Vescovi messicani: “le grida dei poveri ci interpellano”
In un comunicato diffuso ieri e ripreso dal Sir, la Conferenza episcopale messicana (Cem) afferma che “oggi ci inquieta il grido che ci scuote dei nostri fratelli dell’Honduras e di altri Paesi centroamericani, che hanno intrapreso una carovana per cercare la sopravvivenza”. Un grido “inarticolato, che si esprime totalmente nella silenziosa e inumana migrazione forzata”. Contemporaneamente, “assistiamo stupiti al fatto che parti della società stanno cercando di soffocare queste grida, viste come una minaccia al proprio livello economico e ai propri interessi”. Nel comunicato si fa riferimento al Piano pastorale globale elaborato dall’episcopato messicano, nel quale ci sono l’impegno ad ascoltare le grida dei poveri e l’attenzione al “dolore generato dalla migrazione forzata e dalla conseguente vulnerabilità giuridica”. “I nostri fratelli migranti forzati – conclude il comunicato – sono autentici poveri, siamo chiamati a rivolgere su di loro il nostro sguardo per ascoltare il loro grido e riconoscere le loro necessità. Tutti, nella Chiesa e nella società, siamo chiamati a uscire incontro ai migranti e a offrire il nostro aiuto, sia organizzato che spontaneo, come principio di umanesimo e di carità”.

Vescovi dell’Honduras: garantire i diritti umani di quanti sono in cammino
“La soluzione non è chiedere loro di tornare, la soluzione la troveremo nell’aprire opportunità permanenti per la loro realizzazione personale e familiare, creando possibilità di lavoro per tutti. Ora è il momento di cercare corridoi umanitari per la popolazione che cammina in carovana, però è anche l’ora che con il Governo, il settore finanziario e imprenditoriale, i lavoratori e i contadini, la società in generale intraprendiamo insieme il compito di stabilire un nuovo patto sociale”, per trovare una definitiva soluzione a questo “dramma sociale” che si verifica in Honduras. È questo uno dei passaggi più forti del comunicato diffuso dalla Conferenza episcopale honduregna,sulla marcia dei migranti verso gli Stati Uniti. Nel documento i vescovi chiedono ai Paesi fratelli “che si rispettino i loro diritti fondamentali e che siano aiutati per motivi umanitari”. Il fenomeno migratorio si verifica, riflettono i vescovi, quando non esistono queste condizioni. Del resto nel comunicato si fa notare – riferisce il Sir – che il fenomeno migratorio dall’Honduras esiste da tempo: “Quante centinaia di honduregni sono partiti individualmente tutti gli anni e quanti sono tornati dal Messico e dagli Stati Uniti! Siamo stati sordi davanti alle grida per gli abusi e le violazioni dei loro diritti durante questa rotta e siamo stati ciechi nel non vedere questa realtà. Abbiamo preferito rallegrarci per l’arrivo delle rimesse, come se questa fosse una soluzione ai nostri problemi interni”. La novità sta dunque nel fatto che ora questo si è trasformato in un fenomeno di massa. Nella seconda parte del documento, la Ceh auspica che i Paesi più sviluppati, a partire dagli Stati Uniti, cessino di favorire la xenofobia e di condannare i migranti come fossero dei criminali”. (Agensir)

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