La morte del capo dell’Isis potrebbe essere il fallimento del tentativo di catturarlo

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La suggestione di Carlo Biffani, esperto di sicurezza, intervistato da Agi sul raid compiuto dalle forze statunitensi in Siria concluso con il suicidio di Abdullah Qardash.

© Rami al SAYED / AFP  – I rottami di un elicottero americano perduto durante il raid contro il capo dell’Isis

AGI – Il suicidio del capo di Daesh, Abdullah Qardash, avvenuta questa notte in seguito a un raid compiuto da uno o più distaccamenti delle Forze Speciali americane nel nord della Siria, in una zona prossima a quella dove trovò la morte il califfo al Baghdadi, rappresenta il primo grande successo ‘spendibile’ da un punto di vista mediatico della presidenza Biden. Ne abbiamo parlato con l’esperto di sicurezza Carlo Biffani.

Il raid dimostra che la guerra contro l’Isis è tutt’altro che finita?

La caccia ai target di livello assoluto dei due gruppi terroristici più pericolosi, ovvero ISIS-Daesh ed al Queda, non è stata di certo interrotta, malgrado il rientro di buona parte dei contingenti alleati sia da quel teatro che da quello afghano e malgrado questo tipo di rischi siano stati soppiantati in termini di attenzione della cronaca, da altri. Gli alleati, e in particolar modo gli apparati di intelligence americani ed anglosassoni, non hanno mai smesso di monitorare i segnali, di ascoltare le comunicazioni radio e telefoniche e di annusare l’aria in cerca di tracce, aiutati in questo dai dispositivi di intelligence e tattici delle altre forze alleate e in particolar modo, per quanto attiene all’area di interesse dei gruppi che fanno riferimento al Califfato, da quelli curdi, che sono molto ben posizionati, addestrati e capaci, e che hanno inoltre uomini inseriti in posizioni chiave riguardo alla capacità di monitorare quelle zone. Quella contro i vertici dei due maggiori gruppi terroristici e contro le realtà che di area in area e di zona in zona, agiscono per loro conto e nel loro nome, è una guerra di medio, lungo periodo, e nessuno si sogna di abbandonare la presa. Appare evidente a tutti come, in particolar modo il fenomeno conosciuto come Isis-Daesh, abbia dato e stia dando da tempo, segnali di una ritrovata capacità di ricostruzione e stia muovendosi in maniera sempre più preoccupante, attaccando in diversi settori dello scacchiere.

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© EyePress News / EyePress via AFP

Una ripresa aerea del luogo in cui è stato stanato il capo dell’Isis

Perché la scelta di inviare forze sul campo invece che attendere di colpire con un drone?

Non si mette mai a rischio il personale se non lo rendono necessario le circostanze, il contesto e gli aspetti strategici e tattici. È lecito immaginare che volessero voler tentare una cattura e di sequestrare quanto più materiale possibile, aspetto questo che sarebbe quasi impossibile ottenere effettuando uno strike utilizzando la dimensione aerea, situazione che comporterebbe la parziale o totale distruzione del sito. Il tipo di dispositivo impiegato è solitamente riferibile a due realtà, ovvero quella dei Navy Seals come già accaduto nell’episodio della uccisione del capo di al Qaeda Osama Bin Laden oppure a quella della Delta Force, unità questa già utilizzata in diverse azioni di questo genere, ad esempio nel recente passato contro basi di al Shabab in Somalia e talmente segreta da essere, in pratica, ufficialmente disconosciuta dai vertici militari statunitensi. L’impiego di uomini sul terreno è estremamente complesso e la scelta di passare alla effettuazione dell’azione, comporta l’assunzione di una quantità di rischi notevolissima. Sarà bene ricordare che oltre al team che effettua l’attacco, ci sono componenti del dispositivo che contribuiscono alla difesa dell’area nella quale si trova il bersaglio e che hanno incarico di isolare la zona impedendo a chiunque di intervenire per offrire eventualmente supporto ai terroristi sotto attacco. Inoltre è necessario garantire tutta una serie di attività di supporto in termini di tecnologia di disturbo delle comunicazioni radio e telefoniche, della possibilità di effettuare comunicazioni video e audio sicure tra il dispositivo e il centro di comando e di poter evacuare in maniera sicura e ordinata gli eventuali feriti.

Non ha l’aria di un attacco che si può organizzare in poco tempo…

Si tratta di una azione la cui pianificazione richiede capacità eccezionali e che non si realizza in 24 ore. Sembra così evidente il fatto che gli americani sapessero da tempo della presenza del loro obiettivo nella località colpit e che prima di lanciare l’attacco abbiano tenuto sotto osservazione il sito giorno e notte, sia con la tecnologia più avanzata che grazie al supporto di operatori, inseriti sul terreno secondo le modalità più idonee. Quello che vediamo quando veniamo a conoscenza di una azione di questo genere è solo la parte finale di un film, il cui svolgimento è ben più articolato e complesso di quello che riusciamo a percepire. Si pensi solo al fatto che, ad esempio, quando si trattò di eliminare Osama Bin Laden gli operatori del Team Six dei Navy Seals che portarono a compimento l’azione, si addestrarono in uno scenario che riproduceva il complesso di case che avrebbero attaccato, così da limitare al massimo le possibilità di errore e gli imprevisti e così da rendere quanto più realistiche possibile, le fasi addestrative preparatorie. L’altra analogia con quanto accadde ai tempi della cattura dell’emiro Bin Laden starebbe nella perdita di un elicottero che, vuoi perché danneggiato dal fuoco nemico, oppure perché vittima di una avaria, si è scelto di non abbandonare sul terreno e di distruggere facendolo esplodere.

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© Abdulaziz KETAZ / AFP

La casa in cui si nascondeva il capo dell’Isis, obiettivo del raid americano

L’obiettivo del blitz era solo la cattura o l’uccisione di Abdullah Qardash

In questo tipo di operazioni, si perseguono più obiettivi. Il primo è quello di eliminare la minaccia e di entrare in possesso di quante più informazioni possibili. Il secondo e non meno importante è quello di decapitare la testa dell’idra, lanciando al contempo un messaggio potentissimo, ovvero quello di essere capaci, a tempo debito, di individuare ed eliminare il nemico, per quanto lo stesso possa essere forte e ben radicato, oltre che protetto e nascosto e questo ultimo tipo di aspetto relativo alla comunicazione fa da contrasto alla propaganda jihadista che tende ad enfatizzare i successi militari delle azioni che il terrorismo porta a compimento.

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