La musica è pericolosa: intervista a Nicola Piovani

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PADOVA – “Compositore, pianista e direttore d’orchestra, Nicola Piovani ha vinto numerosi premi: David di Donatello, Nastro d’Argento, Ciak d’oro, Golden Globe e, nel 1999, il premio Oscar. Ha firmato la musica di due album di Fabrizio De André: Non al denaro non all’amore né al cielo, e Storia di un impiegato. Per Rizzoli ha pubblicato l’autobiografia La musica è pericolosa: un’espressione coniata da Federico Fellini impaurito dalla musica perché “essa non ha concetti, non racconta nulla di preciso, eppure mi emoziona nel profondo”. L’ultima sua partitura per il cinema è quella del film Il traditore di Marco Bellocchio”. Ad intervistare il musicista e compositore in occasione di una tournee in Canada è stato Vittorio Giordano, che firma questo articolo per il “Messaggero di Sant’Antonio – edizione per l’estero”.
“La carriera di Piovani ha sempre viaggiato sulla cresta dell’onda, tra musica, cinema, teatro e poesia.
Lo abbiamo incontrato a Toronto, in Canada, in occasione di un evento al TIFF Bell Lightbox organizzato dall’Istituto Italiano di Cultura, dal Consolato Generale d’Italia di Toronto, dall’Italian Contemporary Film Festival e dal TD Toronto Jazz Festival, durante il quale Piovani ha ricevuto il premio ICFF Lifetime Achievement Award 2019.
D. Lei ha scritto la musica di quasi 190 film, ha collaborato con registi come Bellocchio, Monicelli, i fratelli Taviani, Moretti, Benigni e Fel lini. È famoso in tutto il mondo per la colonna sonora del film La vita è bella di Benigni. Oltre a questo, quale altro film le sta a cuore?
R. Devo dire, senza discriminare nessuno, che ho un rapporto particolare con la colonna sonora del film Ginger e Fred che ho scritto per Federico Fellini, con quella di Salto nel vuoto per Marco Bellocchio, con la colonna sonora de La notte di San Lorenzo per Paolo e Vittorio Taviani, e la musica di Caro Diario per Nanni Moretti.
D. Come nasce una colonna sonora? In particolare quella de La vita è bella?
R. Nasce da una profonda intesa fra il regista che è il vero poeta del film, e il compositore. Roberto Benigni è stato molto bravo a farmi capire cosa voleva fare, e cosa non voleva fare del suo film. E io, attraverso la musica, ho cercato di mandarlo nella direzione che lui voleva.
D. Suo padre suonava nella banda del paese di Corchiano, in provincia di Viterbo. Quando ha capito che la musica avrebbe fatto parte del suo destino?
R. Praticamente da sempre. Ho iniziato a suonare la fisarmonica per gioco, all’età di 3 anni. Poi sono passato al pianoforte. Quindi ho cominciato a guadagnarmi da vivere lavorando al piano-bar, suonando ai matrimoni, ai funerali, in chiesa. Ho fatto tutta la gavetta.
D. Risale al 1968 la sua prima colonna sonora, quella per il Cinegiornale del Movimento studentesco della Facoltà di Filosofia, a Roma. Come nacque questa simbiosi con il mondo accademico?
R. Ero studente, e proprio nel 1968 arrivò quella grande ondata di vitalità. Chi non si faceva coinvolgere, era già spento in partenza.
D. Tra i tanti registi stranieri con cui ha collaborato, ce ne può citare qualcuno che le ha lasciato un segno indelebile?
R. Ero diventato molto amico di Bigas Luna, con cui condividevo diverse passioni: oltre alla politica, anche il cibo. Mi portava in giro per la Catalogna in posti dove si mangiava bene. Insieme abbiamo fatto tre film che mi hanno dato grandi soddisfazioni. Così come ho avuto grandi soddisfazioni da Philippe Lioret, in Francia, con cui ho fatto diversi film, l’ultimo dei quali, Welcome, mi ha emozionato in modo particolare. Lei ha composto musica per il teatro.
D. E ha scritto anche canzoni. Come si passa dal teatro al cinema, e dal cinema alla musica leggera?
R. Dal teatro al cinema si passa capendo che sono due cose diversissime: il cinema richiede una musica di sottofondo, una musica inconscia, una musica che commenti alle spalle. Il teatro, invece, richiede una musica protagonista, che venga alla ribalta, che si faccia sentire. Io preferisco il teatro per tanti motivi, in particolare perché ho fatto ormai quasi 190 film e ho trascurato un po’ la musica sinfonica, da camera, di teatro. Nella fase attuale della mia vita, voglio dedicarmi soprattutto a questo. Ho finito di scrivere due sinfonie. Un genere che mi piace molto; oltre a girare il mondo col mio gruppo, o con le orchestre sinfoniche per tenere concerti, anche di musica da film.
D. La musica per il teatro, percepita come musica per pochi eletti, non rischia di apparire come una scelta un po’ anacronistica nell’era digitale?
R. No. La penso esattamente al contrario. Ritengo che il diffondersi di video ovunque: nei bar, sui telefonini, su tutti i mezzi, abbia annacquato il valore della percezione, mentre, secondo me, il rapporto teatrale rappresenta la lingua del futuro. Un luogo dove ci si raduna, fisicamente, dove cala il buio per una o due ore, e si sta insieme ad ascoltare un’opera da capo a fondo. Oggi la fruizione dell’arte riprodotta è tutta parcellizzata: è una rarità che qualcuno veda un film dall’inizio alla fine, a casa, in televisione, sul dvd, sul telefono. Si vede a pezzi, si salta, si va indietro. C’è un po’ uno smembramento dell’opera d’arte. Il rispetto dell’opera d’arte lo sento molto di più in teatro. E credo che questo sia il futuro dell’arte.
D. Nella raccolta Cantabile c’è il meglio delle sue canzoni riarrangiate per diversi strumenti solisti, e con ospiti d’eccezione: Jovanotti, Mannoia, De Gregori, Morandi, ecc. Com’è il Piovani autore di testi musicali?
R. Ho una grande passione per la canzone classica, e sono ignorante in fatto di musica commerciale, di consumo, di classifiche. La maggior parte delle canzoni di successo non le capisco. Mi danno un certo senso di estraneità. Ma quando capita l’occasione di scrivere una canzone per un film o per uno spettacolo teatrale, non mi tiro indietro. Tutte le canzoni che ho scritto, le ho raccolte in un album in cui ho chiesto agli amici di venire a cantare, e ognuno ne ha cantata una.
D. Lei ha detto di condividere un’espressione del celebre compositore Nino Rota: “Io non scrivo musiche per il cinema, io risolvo problemi cinematografici attraverso la musica”. Perché?
R. Perché mette a fuoco esattamente il lavoro del musicista quando fa cinema. Quando, invece, scrive per il teatro o per i concerti, è tutt’altra cosa. Il cinema è una “bottega” dove il costumista, il musicista, il montatore o lo scenografo devono risolvere problemi di drammaturgia, mettersi a disposizione per raccontare. Questo faceva Nino Rota, e questo ho cercato di fare anch’io.
D. Nicola Piovani ed Ennio Morricone. Cosa vi accomuna, e cosa vi differenzia?
R. Tantissime cose. Quando ci vediamo, parliamo di musica, del nostro lavoro, della lingua musicale sua, che è tanto diversa dalla mia, del suo successo che è tanto più grande del mio. E parliamo anche di calcio: siamo entrambi tifosi della Roma.
D. Come nasce, nella vita quotidiana, una colonna sonora?
R. Nel lavoro degli artisti c’è una quota di lavoro, di artigianato, di attenzione, di fatica, di studio, di applicazione e anche di sudore. E poi c’è un’altra quota che riguarda il mistero, e che noi non conosciamo. D. A parte Fellini, quale altro regista ha segnato la sua personalità artistica?
R. Vittorio De Sica perché era un regista per il quale avevo una passione sconfinata. E anche Charlie Chaplin, ammirato dal mondo intero.
D. Ci parli del suo rapporto musicale con Fabrizio De André, un’icona della musica italiana.
R. Ho lavorato tre anni con De André per comporre due dischi. Io ero giovanissimo. Lui era un artista dal quale ho imparato moltissimo: non solo per quello che diceva, ma per la coerenza con quello che faceva.
D. In questi cinquant’anni di carriera, lei cosa ha imparato dalla vita e dalla musica?
R. Ho imparato che pensare in grande fa male. Pensare in piccolo, pensare al dettaglio, pensare a fare bene un piccolo spettacolo in un piccolo teatro, questo è un seme che può dare frutti. Se si lavora pensando a se stessi in grande, molto spesso si sbatte contro un muro e, comunque, a me non piace.
D. Se non fosse diventato un maestro, un compositore e un direttore d’orchestra, cosa le sarebbe piaciuto fare?
R. Non riesco a pensarmi in un altro modo. Però credo che avrei lavorato sicuramente su un palcoscenico, magari facendo la maschera teatrale. Lei viaggia spesso per lavoro.
D. Come viene percepita la cultura italiana nel mondo?
R. Purtroppo, negli ultimi tempi, abbiamo avuto una rappresentanza che non è stata all’altezza della tradizione dell’Italia. La grandezza del nostro Paese sta nella sua cultura, sta nel Rinascimento, nella poesia, nella musica. La grandezza dell’Italia si deve ai nomi di geni come Caravaggio, Michelangelo, Dante, Giuseppe Verdi. Troppo spesso, invece, abbiamo avuto una classe politica che ha confuso la cultura con il divertimento, col giochetto d’evasione.
D. Quanto la inorgoglisce essere un’eccellenza italiana nel mondo, un grande ambasciatore dell’italianità?
R. Sono parole troppo grandi. Io continuo a fare il mio lavoro come l’ho sempre fatto, quando mi chiamano, e dove mi chiamano. Percorro tutta la provincia italiana e, su richiesta, vado anche all’estero. E sono felice di farlo.
D. Quale colonna sonora dedicherebbe ai tanti italiani nel mondo?
R. Il mio disco Cantabile. La cantabilità della vita è importante. Vivere rispettando la cantabilità della vita fa stare meglio tutti.
D. Lei è molto attivo su Twitter. Un aspetto modernissimo della sua personalità.
R. Mi piace, ogni tanto, scrivere dei pensieri su Twitter. Sono come degli appunti sparsi che conservo, e poi condivido con i miei followers. D. Progetti per il futuro?
R. Sto scrivendo un’opera che andrà in scena nel maggio del 2020”. 

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