La normalità negata a politica ed economia

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Nel buio della crisi, abbiamo sperimentato sulla nostra pelle il ritorno di un concetto in sé banale, e cioè che la politica è il luogo della sintesi e della decisione. E’ cioè, ma guarda un po’, esercizio del potere. 

Trump parla alla Conservative Political Action Conference nel 2011 / Gage Skidmore from Peoria, AZ, United States of America, CC BY-SA 2.0 , via Wikimedia Commons

Nella dissolvenza di un anno orribile a favore di quello della speranza sanitaria, dal droplet assassino al vaccino salvifico, si sente un bisogno profondo di normalità.

La nostalgia per “quel che c’era prima” vale però solo per le nostre personali aspettative.

Non per la politica e l’economia, due categorie del vissuto collettivo che già prima non erano per nulla in ordine.

Quando ci toglieremo la mascherina, il panorama ci offrirà una prospettva che un anno fa avremmo considerato terrificante: un debito più vicino al 200% che al 100%, la traumatica caduta di tutte le protezioni sociali di emergenza e per di più, – chiamata a gestire qualcosa di simile ad un dopoguerra – avremo a disposizione una dirigenza politica ancora figlia del Papeete!

E’ il quadro che osserviamo in questi giorni: una maggioranza non più tale, per la caduta verticale di credibilità del partito più grande, per il resto già paralizzata dalla scelta del futuro Presidente della Repubblica, sotto la regia impropria di Gofffredo Bettini. Un’opposizione che, così come è ora, non riuscirebbe ad accreditarsi in Europa, nonostante gli sforzi di Berlusconi e l’intelligenza politica della Meloni, veloce nella conversione “conservatrice”.

Limiti resi evidenti dalla pessima gestione preliminare del “recovery”, che dovrebbe essere uno straordinario programma di salvataggio, ma è già un problema perchè la politica è incredibilmente sopraffatta dall’occasione di “fare”.

Due cose almeno, la grande crisi dovrebbe averci insegnato: non giocare a dispetto con la politica e capire l’importanza dell’Europa.

Nel buio della crisi, abbiamo sperimentato sulla nostra pelle il ritorno di un concetto in sé banale, e cioè che la politica è il luogo della sintesi e della decisione. E’ cioè, ma guarda un po’, esercizio del potere.

Se poi diventa cattiva sintesi e scarsa decisione dipende dalla qualità dei governanti – e dall’attenzione con cui i popoli li hanno scelti o subiti – ma è ora fuori di dubbio che demolire la politica ha indebolito la difesa degi interessi generali, quando più ne avremmo avuto bisogno. La pandemia è stata una prova terribile per chiunque nel mondo, ed errori ne hanno fatti tutti, ma non si possono negare certe differenze. Ne sa qualcosa Donald Trump, che ha perso elezioni che sembravano scontate. Ne sanno qualcosa gli europei, constatando che la leadership della Merkel è basata sul valore della competenza politica, che si avvale dell’apporto degli esperti ma decide in proprio. Per guidare un Paese non è per nulla vero che uno vale uno. Si è anche visto che un governo dei virologi sarebbe stato quanto meno avventuroso.

Quando la tragedia incombe, le scelte precedenti della superficialità demagogica si pagano ancor più care.  Quando tutto sembrava “normale”, non abbiamo investito ma abbiamo elargito redditi sul divano e abbiamo costruito feticci anti Fornero assai costosi, sempre da far pagare alle future generazioni.

Tornare a “prima” non significa tornare a questi errori, magari incoraggiati dall’effimero momento attuale in cui nasce un bonus al giorno (persino sui rubinetti) e il Parlamento dispensa il 12% della manovra alle corporazioni (fatalmente non a tutte).

Anche l’Europa è stata a lungo considerata solo un luogo di burocrati e di affari per multinazionali e banche. Molti lo pensano ancora oggi, ma dove saremmo senza la reazione delle istituzioni comunitarie nel momento del pericolo?

Ora, però, la nuova Europa del debito comune sarà molto severa con noi. I cittadini tedeschi e del Nord che ci prestano direttamente i loro soldi ce ne chiederanno conto e il commissario italiano Gentiloni, che ci ha messo la faccia più di Conte, ci ha fatto sapere che nulla è scontato. E non si pensi (non lo pensa per primo lui stesso) che un Draghi senza un Paese attorno sia il grande risolutore.

L’economia mondiale non è ferma dietro la safety car. La Cina è già in grande ripresa e gli equilibri geopolitici sono tutti in discussione. La capacità di utilizzare bene e fino in fondo il recovery e l’efficienza della distribuzione del vaccino faranno la differenza tra Serie A e Serie B del mondo.

Beppe Facchetti

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