La Pasqua tarantina fra “taradde” e “scarcedde”

Agroalimentare & Enogastronomia

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La Pasqua tarantina fra “taradde” e “scarcedde”

di Evelyn Zappimbulso

L’arte dei dolci tradizionali raccontata dal panificatore Gianfranco Perrone.

“Scarcedde”: rotonde, a forma di pupa oppure di troccola. E le “taradde”? Che bontà, zuccherati e anche con il pepe. I dolci pasquali tarantini non conoscono concorrenza. Le vetrine dei panifici li espongono in gran rilievo, magari accostandoli alla caratteristica “pecorella” di pasta reale.

Preparazione delle scarcelle

 

I fornai ce la mettono tutta nella preparazione, ognuno con il proprio segreto per un prodotto che solletichi la golosità dell’acquirente. Non mancano le famiglie che continuano a farli in casa. La differenza, a loro dire, si sente. Più di tutti l’avvertono i vicini che difficilmente resistono alla tentazione di bussare, con una scusa, per farsi offrire qualcuno di quei dolci. Se ne mangerà nei giorni principali della Settimana Santa mentre i “perdune” percorrono le nostre vie. Non mancherà una buona scorta anche la Domenica di Pasqua e nell’uscita di Pasquetta, senza che il trascorrere dei giorni ne abbia intaccato la fragranza. E non ci sarà concorrenza di colomba che tenga.

A parlare della tradizione gastronomica tarantina, fra una ricca esposizione pecorelle di marzapane e scarcelle, è Gianfranco Perrone, titolare del rinomato panificio “Trieste” in via Regina Elena, vicino alla chiesa di Sant’Antonio. Il panificatore ricorda i tempi dell’intenso andirivieni nel suo esercizio di spianatoie colme di taralli e scarcelle da cuocere (erano tempi in cui il forno in casa era privilegio di pochi). Il panificio negli anni 40 era in via Garibaldi, aperto da Giuseppe Perrone, che poi si spostò al di là del ponte girevole. Ora al panificio Trieste (chiamato così dal fondatore in memoria della moglie, deceduta prematuramente in quella città) c’è il nipote Gianfranco che ha fatto della riscoperta degli antichi sapori dolciari della Pasqua la sua missione.

Panificatore Gianfranco Perrone

Spiega Gianfranco: “Prima la clientela si contendeva le scarcelle a sei e persino a dodici uova. Ne producevamo in grandi quantità, soprattutto nell’imminenza di Pasquetta. Poi, il netto calo. Ci siamo adeguati a farne di meno e di piccole dimensioni, a un solo uovo, richieste soprattutto da persone di una certa età, spinte anche dal desiderio di far conoscere ai più piccoli le nostre tradizioni culinarie: lo fa, ad esempio, un nostro cliente di 92 anni, che ogni anno ne regala ai nipotini”. Lo stesso accade per le pecorelle di marzapane: i più piccoli, dice, continuano a divertirsi un mondo a dare il primo morso alla testa e poi ai piedi fino a far fuori l’intera ‘pecheredde’. “Ne preparavamo di grandi dimensioni, fino a tre chili, impreziosite da ovetti pasquali e ‘anesine’ tutt’attorno, poggiate su vassoio ricco di decorazioni: veri capolavori da ammirare e, poi, da gustare – continua il panificatore – Oggi invece ne produciamo in piccole quantità, dal peso di circa cento grammi ciascuna. Eppure, chi ne assaggia, resta deliziato”. Va senz’altro meglio la vendita dei taralli, dolci e al pepe, la cui produzione, nella Settimana Santa, si aggira sui dieci chili al giorno. “Li prepariamo artigianalmente, controllandone la cottura che in fin dei conti è il segreto delle nostre specialità – spiega – Molto incide l’uso di prodotti naturali, secondo la ricetta del nonno. Per quelli al pepe adoperiamo “‘u luate”, il lievito prodotto con il prolungato trattamento di un pezzetto di impasto”. Insomma, con queste bontà ce n’è abbastanza per confezionare il tradizionale pacco per i giovani universitari che potranno, tra un morso e l’altro, tornare con la mente agli affetti di casa.

Redazione Corriere di Puglia e Lucania 

Corriere Nazionale

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